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Giunge al suo 11° appuntamento Scatti, il progetto promosso e ospitato da Marsèll Paradise Milano dedicato a dei fotografi italiani e stranieri che si relazionano con il tessuto urbano milanese. Caratterizzate da un taglio stilistico eterogeneo e imprevedibile, Scatti è seguito da Mirko Rizzi e Federica Tattoli, che selezionano i vari progetti fotografici mediante un call pubblica.
Dopo le passate edizioni che hanno visto le proposte di Alan Maglio, Claudia Difra, Sombrero Twist, Arianna Arcara, Mara Palena, Petra Valenti, Marta Marinotti, Shyla Nicodemi, Francesco Villa e Alessio Costantino, gli spazi di Via Privata Rezia ospitano il progetto di Francesco Dolfo.
Il fotografo friulano, residente dal 1998 a Milano, presenta Snaps, What Remains?, una riflessione sul variegato mondo di persone e personaggi che invadono la città durante le settimane della moda. Per approfondire la sua ricerca Scatti 11 – Francesco Dolfo – Snaps, What Remains?
Seguono alcune domande a Francesco Dolfo —
ATP: Quali sono le tue fonti d’ispirazione?
Francesco Dolfo: Essendo immerso in mare di immagini a volte ho come un senso di repulsione nei confronti della fotografia. Musica, libri, film, mostre, passeggiare per la strada, viaggiare, cucinare, fare sport, parlare con gli amici, confrontarsi, ma anche fare chiacchiere stupide o fare cose che non ti va di fare: sono tutte cose utili perchè mi forniscono punti di vista diversi al il mio inconscio fotografico.
ATP: Come racconteresti la tua ricerca fotografica?
FD: Il più delle volte è un back and forth tra le foto scattate e quelle che voglio scattare. La fortuna diciamo di fare foto da 20 anni mi da la possibilità di avere una sorta di archivio personale composto da luoghi, cose, persone. A volte riguardando foto fatte 3, 4 o 10 anni fa, riesci a ri-vederle in modo diverso, forse perchè sei distaccato dal pathos del momento. Questo distacco mi permette di fare dei collegamenti tra le immagini per poi creare un filo conduttore più o meno logico o estetico. Così è successo per Scatti 11/Snaps, What Remains? dove ho riguardato delle foto prodotte nell’arco degli scorsi 4 anni, con occhi nuovi, se così si può dire.
Una volta ho letto in intervista fatta a Sugimoto il quale diceva che bisogna riguardare i propri lavori per molto, molto tempo prima di decidere di mostrarli al pubblico. Condivido molto questo pensiero e aggiungo che il fotografo può decidere di non scattare fotografie.
ATP: Sei più interessato a catturare l’istante o la durata intrinseca all’immagine?
FD: La cosa che mi affascina maggiormente della fotografia è che è un arte dinamica. Puoi catturare l’ istante, come faceva H.C. Bresson, ma penso che quando guardi la foto la tua mente vede un prima e un dopo, come se stessi guardando un frame di un film. Ammetto che ci sono certe foto, che hanno congelato il tempo e catturato istanti di storia, costume e società, (mi viene in mente il miliziano di Capa, il bacio di Doisneau o la foto del tuffatore di Nino Migliori), ma forse nel mio immaginario sono legate ad una fotografia del passato. Attualmente, in special modo dopo l’avvento della digitalizzazione parlare di durata dell’ immagine vuol dire confrontarla con la sovraesposizione delle immagini stesse. Di base non ho mai creduto nell’attimo irripetibile, in quanto se perdi un attimo c’è ne subito un altro appena dopo o appena prima. Prediligo la situazione all’istante. Tanto poi la foto dura per sempre, no?
ATP: Quando lavori a un progetto espositivo, solitamente cosa segui per scegliere le immagini? Qual è il filo conduttore?
FD: Come dicevo, il filo conduttore parte da un click nel mio cervello. Puoi guardare e riguardare le foto mille volte, ma se non si accende la scintilla è difficile accendere il fuoco. Il click può arrivare in qualsiasi momento, ed in genere arriva quando sto facendo tutt’altro, come quando pensi fortemente al nome di una persona, ma più ci pensi e meno te lo ricordi, poi invece parli d’altro e come per magia affiora il nome dal caos della memoria!
Una volta che hai l’ idea, o la chiave di lettura è facile scegliere le immagini in quanto ti accorgi subito di cosa funziona e cosa no. il filo conduttore è una linea sottile che lega tutto, un aurea che tiene unito il lavoro. Va al di là delle immagini stesse, pesca nell’ immaginario collettivo ma rimanda al privato-personale.
ATP: In merito all’appuntamento da Marsèll Paradise, SCATTI, cosa racconti con la tua sequenza di immagini?
FD: La sequenza di 26 immagini che ho presentato è il mio racconto di quel che succede durante la fashion week Milanese, ma è soprattutto il racconto del mio lavoro o meglio, di ci che rimane del mio lavoro.
Quello che ho esposto è “quel che non serve”, lo scarto di lavorazione, “l’in-più”. Da un lato si può sorridere guardando le situazioni buffe dietro alle sagome bianche, ma dall’altro il tutto può essere visto come un punto di vista sul fashion system e come una ricerca antropologica sulle conseguenze della moda.
ATP: Progetti futuri?
FD: Sto lavorando ad una serie di foto di luoghi che ho visitato, ma non è ancora scattato “il click” ! In quel mentre continuo a scattare fotografie… click click…
The best is yet to come!