ON — Dopo, Domani — Intervista con Ludovica Carbotta

Monowe ricalca la struttura della polis, con tutti i suoi sistemi, le sue infrastrutture, intrattenimenti, costringendola a misura del singolo, ad uso privato, individuale. Riproduce un sistema comunitario in una versione per il singolo, al di sopra di quello esistente.
5 Febbraio 2016

  • Ludovica Carbotta, Monowe, 2016 - Installation view - Courtesy ON, Bologna
  • Ludovica Carbotta, Monowe, 2016 - Installation view - Courtesy ON, Bologna
  • Ludovica Carbotta, Monowe, 2016 - Installation view - Courtesy ON, Bologna
  • Ludovica Carbotta, Monowe, 2016 - Installation view - Courtesy ON, Bologna
  • Ludovica Carbotta, Monowe, 2016 - Installation view - Courtesy ON, Bologna
  • Ludovica Carbotta, Monowe, 2016 - Installation view - Courtesy ON, Bologna
  • Ludovica Carbotta, Monowe, 2016 - Installation view - Courtesy ON, Bologna
  • Ludovica Carbotta, Monowe, 2016 - Installation view - Courtesy ON, Bologna

Fino al 28 febbraio sarà possibile vedere la grande installazione di Ludovica Carbotta “Monowe”. Parte del progetto ON – giunto alla sua 6° edizione e capitanato da Martina Angelotti – “Dopo, Domani”, il progetto della Carbotta specula sui tanti significati del termine futuro: tema scelto per questa edizione e sviscerato in modo diverso anche da Adelita Husni Bey, l’altra artista scelta per questo progetto bolognese (per leggere l’intervista con la Husni Bey). Con “Monowe”, Ludovica Carbotta prosegue la sua ricerca sull’esplorazione fisica delle città e sulle modalità di fruizione messe in atto dai suoi abitanti. Reale e immaginario si rincorrono nella sua ricerca per dare libera circolarità alla riflessione sul futuro dello spazio pubblico della città. Relazionandosi con gli ingombri architettonici preesistenti, il suo intento è quello di rappresentare un ambiente ipotetico per un’immaginaria comunità del futuro.

Abbiamo posto all’artista alcune domande.

ATP: Per la tua installazione “Monowe”, è stato scelto il Parco del Cavaticcio. Perché avete scelto questo luogo e quanto ha influenzato la gestazione dell’installazione che presenti? 

Ludovica Carbotta: L’installazione è composta di due elementi installativi e un’audioguida. Le due strutture sono l’inizio lavori della città di Monowe: il punto di accesso della città e uno dei primi piloni che sosterranno i ponti e le passerelle da cui è formata questa città immaginaria. La scala, l’entrata principale di Monowe guarda al canale del cavaticcio ed è stata installata esattamente nel punto in cui sarebbe dovuto essere costruito un ponte secondo il progetto di Aldo Rossi per la manifattura delle arti. Un ponte che avrebbe collegato l’area di via Azzo Gardino al Museo Mambo. Trovo interessante il fatto che ci fosse questo incompiuto, il progetto di Aldo Rossi è stato rimaneggiato da diverse persone prima di definirsi nella sua forma attuale e visivamente il belvedere invitava a proseguire un’architettura.

Dal canale, infatti, ci sono delle gradinate, una sorta di teatro dove il proscenio è il canale stesso. Le gradinate proseguono poi restringendosi in una scala per risalire verso il giardino John Klemlen, l’entrata di Monowe è la prosecuzione di questa scalinata. La seconda struttura si trova in via don Minzoni, nel punto dove si passa sopra il canale: il passaggio pedonale si allarga in forma triangolare formando un belvedere sul parco. Il canale del cavaticcio, di cui emerge un tratto nel parco, è l’unica testimonianza della città sottostante.

Monowe ricalca la struttura della polis, con tutti i suoi sistemi, le sue infrastrutture, intrattenimenti, costringendola a misura del singolo, ad uso privato, individuale. Riproduce un sistema comunitario in una versione per il singolo, al di sopra di quello esistente.

ATP: Cosa si cela dietro al titolo “Monowe”? Perché lo hai scelto?

LC: Il titolo del progetto è anche il nome della città. E’ una combinazione di due parole,  mono e we.

Ludovica Carbotta,   Monowe,   2016 - Installation view - Courtesy ON,   Bologna

Ludovica Carbotta, Monowe, 2016 – Installation view – Courtesy ON, Bologna

ATP: Nella tua ricerca metti in atto delle esplorazioni fisiche delle città. In questo appuntamento bolognese, come hai sviluppato l’indagine sul territorio cittadino? Cosa hai scoperto nelle tue osservazioni?

LC: Il processo di esplorazione è stato abbastanza chiaro fin dall’inizio, l’interesse è andato subito verso l’area della manifattura delle arti proprio perché mi sembrava un’area indecisa. L’indecisione è il risultato di diversi progetti e piani di riqualificazione urbana (vedi ponte Aldo Rossi, cinema Embassy e manifattura tabacchi) che rendono questa porzione della città un ibrido tra nuovo, ‘riqualificato’ e sedimentato. Inoltre quest’area è caratterizzata dalla presenza sotterranea di diversi canali che s’incrociano proprio in un punto e sonol’ultima testimonianza dell’antico livello della città sottostante. La città all’interno della città esistente è progettata per una persona sola. Esaspera contraddicendo il significato stesso di città-polis.

Si tratta di una città costruita in altezza, che sovrasta quella attuale. La città per una persona sola rappresenta l’esasperazione di processi di speculazione edilizia e riproduce il meccanismo delle gated communities: un luogo talmente esclusivo da diventare una sorta di prigione nella quale l’unico abitante decide di viverci spontaneamente. In parte, risponde alla paura dell’altro e alla volontà di difendere con confini netti i propri beni ed effetti personali; dall’altra ragiona sul modello di città utopica come un ripensamento da zero della dimensione cittadina fino a contraddirne il suo stesso significato: non più insieme di cittadini ma un’istituzione per un singolo.

ATP: Reale e immaginario si incontrano nella tua ricerca per dare spazio ed espressione a nuovi territori di esplorazione sociale. Mi racconti come metti in relazione questi due piani percettivi: quello concreto e tangibile del reale con quello inventivo e ipotetico dato dall’immaginazione? 

LC: Il mio obiettivo era quello di proporre un’esperienza in tempo reale di un architettura immaginaria del futuro. Recentemente sto esplorando quello che definisco ‘fictional site specificity’, una forma di pratica site-specific che elabora territori immaginari o incarna luoghi reali con contesti di finzione, recuperando il ruolo dell’immaginazione come valore fondamentale per costruire la nostra conoscenza. Con l’immaginazione si può effettivamente creare un luogo di appartenenza, ma questo sarà inevitabilmente condizionato dalla realtà del linguaggio che lo costituisce come oggetto. Le due strutture installate nello spazio pubblico (rispettivamente, un pilastro ed una scala di accesso alla città per un uomo solo) accennano solamente ad un potenziale sviluppo della città verso l’alto, e si completano grazie alla parte narrativa del lavoro, in forma di audio guida. L’elemento scultoreo in questo caso presenta volutamente un’estetica incompleta mentre l’audioguida descrive le forme a venire suggerendo le potenzialità d’uso della città e quindi aumentando le possibilità di ricezione. In questo meccanismo di compenetrazione tra forme scultoree non concluse e descrizioni narrative, la partecipazione dello spettatore avviene attraverso l’immaginazione e l’interpretazione individuale.

Ludovica Carbotta,   Monowe,   2016 - Installation view - Courtesy ON,   Bologna

Ludovica Carbotta, Monowe, 2016 – Installation view – Courtesy ON, Bologna

Ludovica Carbotta,   Monowe,   2016 - Installation view - Courtesy ON,   Bologna

Ludovica Carbotta, Monowe, 2016 – Installation view – Courtesy ON, Bologna

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