Testo di Aurelio Andrighetto —
In Pianura (Einaudi, Torino, 2021) Marco Belpoliti ricorda il suo primo incontro con Gianni Celati al Dams di Bologna: “è in piedi e di colpo comincia a lanciare i libri. I volumi passano sulle nostre teste. Una mano appena dietro di me si protende per afferrarne uno al volo, lo tocca. Il libro rimbalza e quindi finisce sulla mia testa” (p. 42). Come il libro lanciato da Celati, la scrittura di Belpoliti sorvola generi letterari diversi, poi rimbalza e cade tra i lettori sfiorandoli o colpendoli in pieno. L’autore racconta il cinema di Celati e la fotografia di Luigi Ghirri, i libri di Piero Camporesi e il Teatro Vagante di Giuliano Scabia, le “istantanee” di Annarella sul palco dei CCCP e i film di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi. Belpoliti trasforma la critica letteraria e artistica in un racconto in cui il discorso che comunica la storia ha un carattere cinematografico. La sua narrazione è fatta di inquadrature fisse alternate a piani sequenza e a panoramiche di 360°. Forse è questo il suo sguardo dominante: il “guardarsi intorno” assecondando il passo della scrittura, che ha il ritmo del camminare in una pianura dove i confini si perdono nella nebbia.
Celati è un altro di questi viandanti della valle padana che scelgono di vedere, pensare e scrivere con un’andatura che modifica la percezione del paesaggio. Nel documentario Case sparse. Visioni di case che crollano, girato nel 2002, Celati doppia in italiano John Berger: “Questo è un film sulle case in rovina nella valle del Po, sui casali che crollano in abbandono […] quando ci accostiamo a quelle macerie non sappiamo veramente cosa pensare. In qualche modo sentiamo che c’è bisogno di nuovi concetti, di nuovi modi di pensare, che vadano d’accordo con le nostre percezioni”.
“Ci sono pensieri che stanno sospesi per aria e li puoi afferrare al volo quando vuoi, sono come palloncini che galleggiano senza volare via; basta allungare un braccio e li riprendi. Ma altri no, sono pensati in un istante, e poi scappano via, come se scendessero giù per uno scivolo da bambini: non riesci ad inseguirli” scrive Belpoliti riferendosi alle fotografie di Luigi Ghirri, forme esemplari del pensare qualcosa in un attimo (p. 28). Nel capitolo Lugo d’Armenia, dedicato a Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, Belpoliti racconta dei film visti insieme ai due artisti, delle vere e proprie sedute spiritiche in cui sogno e realtà si mescolano tra loro, con-fondendosi in una nebbia. Forse è la stessa in cui si perdono i confini tra generi artistici e letterari per dar forma a uno di quei pensieri che scappano via, o che in questa nebbia si dissolvono.
La scrittura cinematografica di Belpoliti ha un rapporto con le sceneggiature di Ed Atkins, là dove queste generano pensiero attraverso visioni che rovinano i confini. Nelle opere dell’artista britannico il testo ha sempre una parte rilevante e in alcuni casi costituisce l’opera stessa. Nei suoi lavori di esordio, Atkins passa dalla scrittura di una sceneggiatura alla pittura, girovagando tra le rovine del cinema, tra ciò che non si ricompone nel linguaggio cinematografico da cui pur proviene: la sceneggiatura non è stata scritta per la realizzazione di un film, il colore chroma key non servirà per elaborare l’immagine in fase di post produzione.
Da queste rovine Atkins preleva materiali da reimpiegare per costruire qualcosa di nuovo, forse pensando a quello che dice Berger a proposito delle case crollate nel film di Celati, la cui visione suscita il “bisogno di nuovi concetti, di nuovi modi di pensare”. Nella polvere sollevata da questi crolli ci si può perdere, come nella pianura padana quando sale l’umidità. Meglio se in compagnia, come fa Belpoliti per il quale il piacere di fare le cose insieme e l’amicizia con Celati, Ghirri, Camporesi, Gianikian, Scabia e gli altri vengono prima di tutto. Per le generazioni successive, nelle nebbie e nelle polveri sottili dell’arte e della letteratura ci si perde in solitudine.
Per Atkins, la morte del padre e il suo corpo senza vita sono un punto di riferimento. Questo sin dall’inizio della sua ricerca. Da qui l’interesse dell’artista per l’immagine che mostra un’assenza attraverso una presenza. Scavando a fondo questa concezione dell’immagine intesa come “un essere altrove all’interno stesso dell’essere qui” troviamo un termine: εἴδωλον – eidôlon. Jean-Pierre Vernant ne esamina il significato ricostruendo il passaggio che, attraverso Platone, conferisce al termine un significato diverso: associato ad eikôn e a phantasma diventa illusione priva di sostanza e realtà. (Le mutazioni delle immagini). Da qui provengono gli avatar di Atkins: fantasmi che s’impossessano della sua voce come le anime dannate s’impossessano dei corpi.
Nella mostra Ed Atkins: Get Life / Love’s Work, che avrà luogo al New Museum (Manhattan, dal 30 giugno al 3 ottobre 2021), l’artista darà corpo a questi fantasmi utilizzando tecnologie che dichiarano di “catturare” la vita. Il progetto per il New Museum comprende una serie di animazioni realizzate usando tecnologie di facial and motion capture, che documentano interviste a persone in isolamento sociale. Scopo dell’artista è mettere alla prova i limiti della rappresentazione e della comunicazione digitale, portando l’attenzione sui modi in cui le tecnologie mediano l’intimità e controllano i rapporti sociali.
Atkins “cattura” la vita attraverso la tecnologia in una nube di polvere, nella quale galleggiano immagini, testi, voci e rumori, in un pulviscolo velenoso sollevato da un crollo analogo a quello dell’11 settembre 2001.
L’artista vaga solitario in questa nebbia cancerogena (egli paragona la sua opera a escrescenze tumorali). Belpoliti vaga invece in compagnia degli amici nella nebbia padana, che ha un rapporto con quella di Atkins, un rapporto sottile, come le polveri che inquinano la pianura.
Crolli (Einaudi, Torino, 2005) è un altro libro di Belpoliti che bisogna leggere per comprendere la nostra epoca e le sue nebbie nelle quali si con-fondono la letteratura, l’arte, il cinema e la fotografia.