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Material Life | Intervista con Davide Ferri

[nemus_slider id=”63943″] English text below E’ visibile ancora per pochi giorni la mostra “Material Life”, a cura di Davide Ferri, ospitata nella galleria The Goma di Madrid. Attraverso le opere pittoriche di Riccardo Baruzzi, Michael Bauer, Luca Bertolo, Merlin James e David Schutter, il curatore ha tracciato un percorso eterogeneo per riflettere “su alcuni aspetti […]

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E’ visibile ancora per pochi giorni la mostra “Material Life”, a cura di Davide Ferri, ospitata nella galleria The Goma di Madrid. Attraverso le opere pittoriche di Riccardo Baruzzi, Michael Bauer, Luca Bertolo, Merlin James e David Schutter, il curatore ha tracciato un percorso eterogeneo per riflettere “su alcuni aspetti della figurazione attuale, sull’idea di una figurazione che, convivendo con la fine del quadro come finestra, come spazio coerente e organico di rappresentazione e racconto, sopravvive come pulsione inevitabile.”
Frutto di molteplici suggestioni – un libro di Margherite Dumas, un dipinto del XVII secolo di un artista fiammingo, Cornelijus Gisbrects, Quadro Girato, e l’importante saggio di Victor Stoichita, L’invenzione del quadro – la mostra si presenta come un’apertura sul concetto, il significato e l’importanza, della ‘pittura’: tematica sempre viva e affascinante, a maggior ragione se analizzata mettendo a confronto la storia dell’arte con delle opere contemporanee. Uno dei nodi su cui Ferri più si interroga è la “crisi della figurazione”: “qual è l’ultimo quadro in cui la figura si dispiega in uno spazio coerente e organico di rappresentazione, su una superficie che è ancora finestra? In che modo il quadro ha modificato le sue strategie di racconto da – diciamo – La zattera della Medusa fino a L’architetto di Luc Tuymans? E perché gli artisti continuano a dipingere – e a dipingere figure – dopo una crisi così lunga come quella di cui stiamo parlando?”
Nell’intervista che segue, Davide Ferri ci racconta e spiega la gestazione di questa costellazione pittorica. 

ATP: Come suggerisce il titolo della mostra, “Material Life”, la selezione di opere che hai compiuto è strettamente legata alla dimensione fisica – “presenza oggettuale” –  della pittura. Il riferimento storico che citi, nel testo di introduzione alla mostra, è molto lontano nel tempo: il pittore fiammingo Cornelius Gijsbrechts con Quadro Girato. Come hai ritrovato questa dimensione negli artisti che hai selezionato?

Davide Ferri: Quadro girato è un dipinto realizzato nel diciassettesimo secolo, ma è l’approdo di una storia molto lunga, che ha a che fare con la presa di coscienza, nel mondo fiammingo rinascimentale e post rinascimentale, della natura materiale del dipinto, della presenza del quadro come oggetto. Ed è a tutti gli effetti un dipinto figurativo, che rappresenta un rovescio tale e quale a quello che l’artista vedeva dall’altra parte, e che riproduce ogni cosa di quel rovescio reale, comprese con l’impurità, la sporcizia, e l’usura dei materiali. Come dici è stato realizzato molto tempo fa, ma questo tempo idealmente si riduce se penso al fatto che l’artista avrebbe voluto vedere il dipinto esposto, non sulla parete, ma a terra, appoggiato al muro (è una cosa che dice Victor Stoichita ne L’invenzione del quadro), per invitare il pubblico a prenderlo in mano e girarlo.
Io non so bene perché sono così ossessionato da questo dipinto, ma se ci penso è all’origine di almeno due mostre che ho curato di recente: La figurazione inevitabile, al Museo Pecci, nel 2013 (una mostra che hanno visto in pochi e – concedimi un piccolo sfogo – di cui purtroppo non c’è neppure più traccia nel sito del museo, nonostante vi fossero inclusi artisti del calibro di Richard Aldrich, Tal R, Matthias Weischer, Katy Moran, Joe Bradley, ecc) e questa di Madrid, Material Life, che, pur più piccola, è come se approfondisse alcuni aspetti di quella. Il punto è che Quadro girato è l’emblema di una figurazione problematica, non assertiva, se vuoi anche autoreferenziale e virtuosistica – tutti aspetti che per me caratterizzano la più interessante figurazione del nostro tempo.

ATP: Sempre in merito a Gijsbrechts (l’artista che ha dipinto il rovescio di un quadro), si potrebbe pensare a “Quadro Girato” come a un fenomeno limite della pittura illusionista. Considerato come uno still-life, l’opera rinuncia ai contenuti tradizionali della figurazione. Pensandolo come un gesto di negazione, possiamo traslare questa intenzione agli artisti in mostra? In altre parole, i cinque artisti selezionati, hanno compiuto un consapevole gesto di rifiuto di considerare il quadro come “una finestra sul mondo”?

DF: Più che consapevole questo rifiuto mi sembra inevitabile, perché il quadro non è più finestra da molto tempo, da quel momento che coincide con la crisi della pittura da cavalletto (per citare Greenberg), e che collochiamo attorno alla metà del diciannovesimo secolo. Io credo che quando riflettiamo sulla figurazione oggi, sulle ragioni delle sua permanenza/sopravvivenza, non dovremmo smettere di interrogarci sulla storia della pittura in generale. Voglio dire: qual è l’ultimo quadro in cui la figura si dispiega in uno spazio coerente e organico di rappresentazione, su una superficie che è ancora finestra? In che modo il quadro ha modificato le sue strategie di racconto da – diciamo – La zattera della Medusa fino a L’architetto di Luc Tuymans? E perché gli artisti continuano a dipingere – e a dipingere figure – dopo una crisi così lunga come quella di cui stiamo parlando?
Sembrano questioni troppo ampie, ma sono sempre quelle che mi guidano quando provo, anche attraverso una piccola mostra come Material Life, a riflettere sulle ragioni della figurazione nel nostro tempo, un ambito che mi dà la possibilità di ricucire la mia formazione di storico dell’arte con l’attività di curatore di mostre.

Luca Bertolo, Veronica 16#04 2016 Oil on canvas 70 x 80 cm  - The Goma Madrid
Luca Bertolo, Veronica 16#04 2016 Oil on canvas 70 x 80 cm – The Goma Madrid

ATP: Tra le opere che hai selezionato, quali sono quelle che mettono in evidenza una stretta relazione tra soggetto dipinto e la fisicità del quadro? Penso ad esempio alla ricerca di Merlin James, che compie tagli e lacerazioni della tela e utilizza capelli, segatura, ecc.

DF: Tutti i pittori che ho invitato a Madrid si trovano a dipingere nei meandri, negli interstizi, nelle pieghe materiali del dipinto. Riccardo Baruzzi, ad esempio, dipinge nature morte utilizzando entrambi i lati della tela, fronte e retro, lasciando che il colore traspaia dalla trama della tela, e dando vita a immagini di frutti che paiono contenere l’ultimo residuo di vitalità e il preannuncio del loro deperimento. E Michael Bauer, con la serie di lavori che hanno fatto parte della sua ultima personale da Norma Mangione (uno dei quali è incluso nella mia mostra), ritorna al genere classico a partire da uno spazio frammentato e disomogeneo, da conglomerati cangianti e multiformi (di macchie, scarabocchi, cancellature) che si ricompongono attorno all’idea di ritratto.

ATP: Tra le varie ricerche pittoriche, quella di David Schutter si avvicina molto alla totale astrazione. Mi spieghi il suo tentativo di ricreare “a memoria” un dipinto di Gaspard Dughet?

DF: Alcuni dipinti di David Schutter, e anche quello esposto a Madrid, sono tra i più emozionanti tra quelli che ho visto negli ultimi anni di un artista della mia generazione. Certo, si tratta di “quasi monocromi”, ma di “quasi monocromi” in cui puoi vedere – in una forma piuttosto evanescente e mutevole – le tracce di qualcosa che appartiene al dipinto che lo ha ispirato: nuvole, alberi, il profilo di una roccia, piccole presenze, quando non proprio contorni di figure, che abitano il dipinto.
È un processo molto lungo quello di David: ha a che fare con un dialogo con un autore del passato che si basa su una frequentazione quotidiana e sulla memoria. Dunque: l’artista visita il quadro prescelto quasi ogni giorno (nel caso del lavoro in mostra a Madrid si trattava di un dipinto di Gaspard Dughet incontrato alla Galleria Corsini di Roma mentre David era in residenza all’American Academy lo scorso anno), fa piccoli schizzi e disegni come un conoscitore settecentesco per fissarne al meglio le caratteristiche (composizione e variazioni di luce e spazio), poi ogni giorno va in studio e, a partire da una tela che adotta le stesse dimensioni del dipinto di partenza (e da una tavolozza dove sono incluse le stesse tonalità usate nel quadro originario), dà vita a superfici che, strato dopo strato, sono il risultato di un lungo dialogo, a tratti di una battaglia, tra due forme di autorialità diverse (la sua e quella dell’autore del dipinto di partenza), molto distanti tra loro ma probabilmente alle prese con gli stessi problemi.

ATP: Ho sempre pensato che la ricerca sviluppata da Luca Bertolo negli anni, sia tra le quelle più interessanti nel panorama italiano. In questa circostanza hai selezionato dei dipinti con un tema molto preciso. Me lo introduci brevemente, anche in relazione al taglio della mostra?

DF: Sono d’accordo con te, anzi, sai cosa ti dico? Luca Bertolo è secondo me il pittore italiano più importante della sua generazione perché è capace di dipingere quadri figurativi che non smettono mai di ricordarci che la figurazione è un problema, nel nostro tempo, e di farlo in una forma che non è mai assertiva, ne troppo letterale e quasi sempre anche molto lirica.
In mostra a Madrid, di Luca, ci sono due quadri recenti: ognuno dei due trae ispirazione da un soggetto classico della pittura, la Veronica (il velo su cui è impresso il vero volto di Cristo), e si traduce in un trompe l’oeil che riproduce un semplice velo ma senza il volto di Cristo. In pratica un’altra tela dipinta sulla tela reale, una tela vuota – e qui sta l’attinenza con i temi della mostra – che magari ricopre una figura retrostante o in attesa di una figura, di un volto.

ATP: Idealmente, se avessi potuto esporre altri pittori nel panorama internazionale – contemporanei ma anche legati al passato – le cui opere fossero calzanti con la ricerca da te compiuta per “Material Life”, quali artisti avresti invitato?

DF: Due nomi tra i contemporanei, che erano inclusi nella mia lista di potenziali inviti per questa mostra e che non ho invitato solo per ragioni di spazio: Richard Aldrich, le cui figure convivono talvolta con strappi e tagli sulla tela, ed Helene Appel le cui virtuosistiche riproduzioni di piccoli oggetti (chicchi di riso, reti da pesca, pellicole di plastica, nastro adesivo, rametti, tessuti e filo da cucito) sono dipinte direttamente sulla tela grezza.

Material Life - Exhibition view - Courtesy The Goma, Madrid
Material Life – Exhibition view – Courtesy The Goma, Madrid

Material Life

Artists: Riccardo Baruzzi, Michael Bauer, Luca Bertolo, Merlin James, David Schutter.
Curated by Davide Ferri.
21/01/2017 – 12/03/2017

Material Life is an exhibition of paintings selected with a set of unrelated things in mind: a book by Marguerite Duras (from which the show takes its name) in which the authoress re-frames the practice of writing against a backdrop of dense materiality and objects of everyday life; a painting by a 17th century Flemish artist, Cornelis Gijsbrechts, The Reverse of a Framed Painting, a true copy of the back of a painting and its material ramifications – including its shadows, impurities, wear, and dirt – all depicted as if the artist were looking through it from behind; and an essay by Victor Stoichita, L’Instauration du tableau, which narrates the progressive coming to terms with a painting’s physicality in 16th century Flanders.

From these points of departure, the exhibition aims to provide cause for reflection – through allusion and notes – on certain aspects of contemporary representation, on the idea of a figuration that coexists with the end of painting as window – a coherent and complete place of representation and narration – which continues to survive as inevitable drive. This troubled and fragmentary figuration dialogues with and reinterprets the entity of a painting as an objective presence, taking up a position in its meanders, even in the pores and the creases of its canvas.

Material Life is therefore a presentation of figures, albeit figures in a certain sense indescribable, fragile or unresolved that may also make vague reference to elements of reality or appear as potential images or fleeting epiphanies in a landscape thick with materiality tending towards abstraction or monochrome. The show also bespeaks genres, of painting’s inevitable tendency to return to classical – landscapes, still lifes, portraits – even in the uneven and disjointed space of the canvas.

The exhibition includes landscapes by Merlin James, where certain gestures (rips and tears in the canvas, the incorporation of hairs and sawdust) interfere/interact with the painted image, moving it into a dimension that cannot be detached from the painting’s corporeality; recent paintings by Luca Bertolo that seem to be monochromes from afar but appear more as trompe l’oeil inspired by the Veil of Veronica (the cloth on which the visage of Christ was imprinted) when viewed close up, sites of potential image, but also veils that virtually double the material presence of the canvas; a painting by David Schutter, with a vibrant surface that is resulting of an extended period of frequentation (between the artist and a painting by an old master), his attempt to re-create a painting by Gaspard Dughet (at Galleria Corsini in Rome) “by heart” after memorizing the quality of the tones and brushstrokes and the variations in light and space; works

by Michael Bauer, free proliferations of form (splats, doodles, erasing, brushstrokes) that may also become fragments of bodies and faces, shimmering, multi-form conglomerations capable of re-composing around the idea of portraiture; and the still lifes by Riccardo Baruzzi painted on both sides of the canvas (lines on one side, color on the other side, in the form of patches or fields, emerging from the weave of the canvas) that give way to figuration and images of pieces of fruit that seem to hold the ultimate spark of life and presage their own decay.

Michael Bauer, Men and Nitrogen (Pool Party) 2016 Oil on linen 61 x 50 cm - Courtesy The Goma, Madrid
Michael Bauer, Men and Nitrogen (Pool Party) 2016 Oil on linen 61 x 50 cm – Courtesy The Goma, Madrid