Si è svolto martedì primo aprile il secondo incontro all’ Istituto Svizzero di Milano proposto dall’artista francese Johanna Viprey. L’appuntamento fa parte del ciclo di appuntamenti che rientrano nel progetto Die Young or Stay Pretty: momento di condivisione tra lei ed un altro artista, per riflettere sulla differenza che sussiste tra il formarsi da autodidatta, lontano dagli insegnamenti accademici e dagli schemi pedagogici, e il crearsi il proprio bagaglio in una scuola. Il dialogo della Viprey, e di conseguenza l’incontro avvenuto nella sede milanese dell’Istituto, si è svolto con Jeff Perkins, taxista americano che ha fatto della relazione-con-l’altro il punto saliente da cui dare origine alla sua riflessione, che se prima potevamo inserire in una dimensione prevalentemente sociale, ora rientra, attraverso gli incontri con la Viprey, anche in un piano artistico. Da privati (e quasi intima), gli incontri e scambi esistenziali che per anni Perkins ha avuto nel suo taxi, ora assumono una dimensione collettiva e, più in generali, un allure poetica.
Parlando direttamente con la Viprey, mi spiega che la conversazione di Perkins l’ha attratta per il “livello creativo sul quale si dipana. L’ho incontrato, poi l’ho intervistato, dopo ancora sono ritornata da lui e gli ho proposto dei progetti che avremmo potuto fare insieme. Lui ha accettato”. Il lavoro che lei mette in atto è quindi rivolto a scandagliare “the different connections”, le diverse connessioni, così le definisce Perkins stesso, che lui instaura con le persone sul suo taxi. In queste congiunzioni relazionali traspaiono innumerevoli storie riguardo l’infanzia, a cui Perkins è sempre stato interessato, chiamandole “generation gifts”: dei regali umani che si ravvivano di generazione in generazione. Ma cosa di questo personaggio ha attratto la Viprey? “That he is always and simply interested in everybody he meets”: questo suo interesse costante e naturale per ogni persona incontrata e con cui ha iniziato una discussione, in modo limpido e dialogico. Lui vuole fare in modo che le conversazioni accadano da sé, senza forzature o presupposti. È questo amore per la relazione nel suo senso più intimo e per il dialogo nel senso etimologico (dia + logos: tra i discorsi) che ha attirato Viprey.
Nell’incontro, sono stati inoltre messi a disposizione per il pubblico la riproduzione del film “The Painters, Sam Francis” prodotto e diretto dallo stesso Jeff Perkins e quella del video-documentario su George Maciunas -con la interviste a nomi quali Yoko Ono, Jonas Mekas, Richard Foreman, Nam June Paik, Jon Hendricks, Henry Flynt, Shigeru Kubota, etc-, dal cui concetto di Fluxus la Viprey prende spunto per la riflessione sulla formazione accademica e sulle etichette-nomenclature che qui vi si apprendono. È stata inoltre realizzata l’installazione However, con le registrazioni VHS delle conversazione di Perkins, un pc con la riproduzione delle stesse digitalizzate e un piccolo libello scritto dalla Viprey per descrivere la sua esperienza con Perkins; il tutto per finire col video che trasmetteva la performance Bear Dream (With Rabbit), eseguita all’Istituto il 12 marzo, e con Cave of Forgotten Dreams (2010) di Werner Herzog.
Report di Marco Arrigoni