Intervista di Giuseppe Amedeo Arnesano —
Prosegue in piena Fase 2 l’inchiesta di F.I.A. – Future Interviews’Archive dedicata ai protagonisti nazionali del mercato dell’arte contemporanea. Il 18 maggio è stata una data importante, uno spartiacque decisivo durante il quale anche i musei e le gallerie hanno riaperto al pubblico (con obbligo di mascherine e prenotazioni per le visite), da adesso in poi proviamo a comprende quali sono le necessità, le problematiche e le prospettive che animano il sistema.
In questa occasione facciamo il punto della situazione con il contributo del collezionista e consulente finanziario di IWBank Fabio Agovino (Napoli, Torre del Greco 1971) che nell’appartamento di Palazzo Sessa, ubicato nel centro storico del quartiere San Ferdinando a Napoli, ha allestito la sede della sua collezione. Agovino, attento osservatore e sostenitore degli artisti emergenti, punta da anni alla sinergia tra il mondo della finanza e l’arte contemporanea.
Giuseppe Amedeo Arnesano: Come prosegue il lavoro del collezionista durante la quarantena?
Fabio Agavino: Il mio viaggio nel mondo dell’arte è nato allo scopo di trovare delle risposte sul senso della vita e non ha certamente pretese di esaustività, ma proprio perché motivato da una ricerca che va oltre l’acquisto e il possesso di un bene, non posso esimermi dal continuare l’esplorazione. L’impossibilità di continuare a visitare mostre e incontrare artisti, azioni abituali prima del Covid-19, ha spostato la mia attenzione sulle opportunità offerte dal digitale, colte anche in precedenza ma senza andare troppo in profondità, come ad esempio le viewing room o le dirette streaming su Instagram. Ciononostante resto profondamente ancorato alla percezione sensoriale e esperenziale; l’ultima opera entrata in collezione è stata infatti “by the Exit” (2019) di Sam Pulitzer, vista allo spazio Fanta durante il mio ultimo viaggio a Milano, nei giorni in cui il mondo si preparava a chiudere per la presenza minacciosa del Covid-19. E’ un lavoro che parla direttamente al nostro modo di relazionarci con la vita, mettendoci di fronte al dramma della relatività dell’esistenza.
GAA: Da più voci si sente dire che il sistema dell’arte è malato da tempo. Qual è l’origine di questo malcontento generalizzato?
FB: L’ingresso nell’attuale crisi sanitaria e socio-economica ha portato per il mondo dell’arte contemporanea l’acuirsi di problemi e criticità strutturali che hanno un’origine lontana e profonda, e che sono emersi ancora più chiaramente quando l’intera struttura è stata sottoposta al lockdown e l’incertezza è venuta fuori con tutta la sua urgenza. L’assenza di una visione lunga, che tenga conto dei cambiamenti in atto e reagisca ad essi, è la nota che si avverte negli enti privati quanto in quelli pubblici, e forse è arrivato il momento di una collaborazione, pur nelle differenze, per evitare i compartimenti stagni e creare un sistema più sostenibile, per gli artisti, gli addetti ai lavori e tutti coloro che gravitano intorno al sistema dell’arte, troppo spesso effimero e lontano dai reali bisogni non solo della comunità ma anche dai suoi stessi abitanti.
GAA: A 28 anni ha comprato un’opera di Mario Schifano, e da quel momento è iniziata la sua carriera da collezionista. In questi anni come e in che modo sono cambiate le dinamiche di mercato?
FB: Il mercato dovrebbe sfruttare commercialmente il valore di un artista, non determinarlo, altrimenti rischia di minare la libertà creativa, che è indispensabile nello sviluppo di un’opera, ne alimenta il valore e la qualità. Capita, invece, che il valore economico dell’opera non sia necessariamente proporzionale al suo valore estetico o qualitativo, e che si legittimino più le strutture economiche che sostengono gli artisti che gli artisti stessi. D’altronde la globalizzazione ha prodotto un allargamento delle reti internazionali e quindi un accrescimento degli interessi economici anche nel sistema dell’arte, rischiando di far perdere interesse nei confronti dei valori artistici e intellettuali. La situazione prodotta dal Covid-19 potrebbe essere un’occasione per un cambiamento di prospettiva, per coinvolgere di più i territori e raggiungere nuovi mercati e nuovi interlocutori.
GAA: Chi sono gli artisti della sua collezione? Può farci qualche nome.
FB: Adam Gordon, Giorgio Andreotta Calò, Francesco Arena, Lutz Bacher, Luca Bertolo, Giulia Cenci, Michael E. Smith, Runo Lagomarsino, David Maljković, Seth Price, Marinella Senatore, Martin Soto Climent, Kiki Smith, Sergio Vega, Raphaela Vogel, Jhoanna Piotrowska, Roberto Cuoghi, Petra Feriancova, Adriano Costa, Lena Henke, per citarne alcuni.
GAA: Come può un giovane artista entrare in contatto con il collezionista?
FB: Oggi molti sono i canali su cui è possibile affacciarsi per entrare in contatto con il mondo dell’arte e quindi anche con i collezionisti. Il primo è sicuramente rappresentato dai social media, come Facebook, Instagram, Pinterest, più democratici e portatori di una visibilità a portata di mano, anche per artisti che non sono rappresentati da una galleria. Quest’ultima resta uno dei principali veicoli, ma un ruolo importante spetta anche alle residenze, ai premi, ai bandi per mostre e progetti, che arricchiscono il portfolio di un giovane artista, portandolo all’attenzione di collezionisti, galleristi e curatori.
GAA: Ultimamente è alla ribalta un sentimento di mea culpa nei confronti dell’eccessiva esterofilia che negli anni pare abbia danneggiato gli artisti italiani. Perché questa tendenza a guardare sempre oltralpe e poco nei confini nazionali?
FB: Si è spesso discusso sulla tendenza dei collezionisti italiani ad essere molto esterofili e poco attenti agli artisti italiani un po’ di tutte le generazioni. La motivazione potrebbe provenire dalla mancanza di un sostegno da parte delle Istituzioni Pubbliche, che blocca il formarsi e il diffondersi degli artisti italiani già sul territorio nazionale. Fondamentale è infatti promuovere il proprio lavoro, operazione che ha un costo e che andrebbe sostenuta, anche in maniera indiretta dagli enti pubblici. Gli artisti stranieri sono più dinamici e hanno maggiori possibilità di promuovere il loro lavoro a un livello più ampio. Come collezionista, ho sempre sostenuto e sostengo la ricerca dei giovani artisti nostrani, non solo comprando i loro lavori ma anche supportandoli nella produzione di cataloghi, nell’incontrare galleristi o nel realizzare un particolare progetto. Sono tanti gli artisti italiani giovani nella mia collezione, per fare qualche nome: Luca De Leva, Raffaela Naldi Rossano e Niccolò Di Napoli.
GAA: Dopo questa pandemia ci sono possibilità di una riconversione culturale del sistema, o è solo una questione di tempo e tutto ritornerà come prima?
FB: Non posso affermare con certezza che l’emergenza provocata dalla pandemia porterà ad un cambiamento radicale del sistema dell’arte, avendone messo a nudo le criticità, ma credo che la sola messa in discussione delle dinamiche interne sia un’importante segno per un ripensamento, anche solo metodologico, del sistema. Le ultime biennali hanno rilanciato temi legati al ritorno alla comunità, alla necessità di un dialogo al di fuori del sistema dell’arte ufficiale, proponendo pratiche interdisciplinari e azioni sul territorio capaci di influenzare la vita reale delle persone. Ed è proprio dall’attenzione alle persone e ai loro diritti che dovrebbe ripartire il sistema artistico e culturale, a cominciare dagli “addetti ai lavori”.
GAA: La pittura ha sempre un fascino intramontabile, ma oggi si può parlare di un genere di produzione artistica che ha più appeal nel mercato?
FB: La mia collezione è composta da lavori molto differenti, opere di pittura, installazione, video, scultura e fotografia, che ben rappresentano la mia idea dinamica del collezionare, intesa come forma per aumentare la conoscenza, per affinare lo sguardo all’arte, per leggere la realtà, o quantomeno provare a farlo. In quest’ottica di pensiero non seguo una vocazione in particolare, se un’opera mi colpisce, non è per il medium con la quale è realizzata, ma per i suoi contenuti, per la sua capacità a portarmi verso altre prospettive. La pittura è certo una delle più importanti tecniche espressive della storia dell’arte italiana e non solo, e il suo successo sul mercato è indubbio e forse senza tempo, ma non credo sia il mezzo con più appeal né quantomeno che ce ne sia uno in particolare, data la molteplici dei linguaggi con cui si esprime l’arte contemporanea.
GAA: Nel rapporto tra il gallerista e il collezionista, che rilevanza ha la figura del curatore?
FB: La figura del curatore negli ultimi anni ha avuto un’enorme diffusione. E’ diventato complice dell’artista, lo segue nel lavoro e gli permette di promuoverlo grazie alle mostre e ai testi critici, favorendo anche il collegamento con il pubblico, seppur nella sua differenziazione. Sono però pochi i curatori che incidono realmente sulle scelte del collezionista, a mio avviso, anche perché il collezionare è un processo intimo e individuale, un meccanismo irrazionale che a volte s’innesca spontaneamente quando si osserva o si esplora un’opera. Ben diversa è la figura del gallerista che crea una relazione diretta con il collezionista, offrendogli non solo percorsi espositivi e liste di opere, ma vere e proprie occasioni di conoscenza degli artisti e del loro lavoro, senza spingersi nella sfera intima e decisionale, che spetta solo e soltanto al collezionista.
GAA: Chi sono secondo lei gli artisti italiani che avranno successo in prossimo futuro?
FB: E’ una domanda che i più attenti pongono spesso ai collezionisti e gli appassionati, ma che raramente ottiene una risposta. Concludo, quindi, affermando che ogni opera è sempre uno sguardo aperto al futuro.
Future Interviews’Archive | Franco Noero