
Testo di Salvatore Emanuele —
Alla Secci Gallery, Omar Mismar costruisce una grammatica della mancanza. Exercises in Ruins – seconda tappa del progetto Biennale NOVO, curato da Marco Scotini e visitabile fino al 20 Dicembre 2025 – è la prima personale italiana dell’artista libanese e raccoglie una serie di lavori che attraversano pratiche e dispositivi differenti. Tra i mosaici come medium dominante, video e neon, si calpesta un’unica tensione politica tra desiderio e assenza per tutto il percorso espositivo.
Già dall’esterno della galleria, lo sguardo viene catturato da The Path of Love (2025), un neon arancio acceso giorno e notte, opera site-specific commissionata dalla galleria Secci. Il suo bagliore che inizialmente seduce, dopo pochi minuti disturba e respinge. L’opera traduce in forma visiva il percorso reale che Mismar ha compiuto per raggiungere un incontro con uno sconosciuto su un’app di dating. In quest’opera, il desiderio prende la forma di una mappa e di una distanza che abbaglia fino a dissolversi in assenza.
La prima sala ci introduce in una dimensione quasi museale. Tre imponenti mosaici: Ahmad with the sponge (2025), Salman in a squat (2025), Olive in the sun (2025) dominano lo spazio come oggetti sospesi tra archeologia e cronaca recente. Mismar costruisce un lessico della rovina che non riguarda tanto la distruzione visibile quanto la perdita silenziosa – ciò che non si vede più o che forse non esiste più. Le opere raccontano la storia di Salman al Nabahin e di suo figlio Ahmad che – nel campo profughi di Bureij, a Gaza – scoprono casualmente sotto il loro oliveto un mosaico bizantino. L’artista ne ricompone frammenti e ombre, alternando alla tessitura delle pietre la memoria di un luogo che sopravvive solo per immagini.


Attraversando il corridoio che collega la prima sala alla successiva, si incontra Abou Farid’s War (2021), un video collocato a terra e sorretto solo da due listelli di legno ai lati. L’opera nasce dal dialogo tra Mismar e Abou Farid, ispettore archeologico del Museo di Ma’arrat al-Numan in Siria. Le diapositive documentano le azioni realizzate dal gruppo attivista per la salvaguardia dei mosaici e il lavoro di Mismar.
Nell’ultima sala, i mosaici della serie Torsos (2025) riprendono frammenti di busti maschili tratti da fotografie reali condivise su app di incontri. I corpi appaiono come reperti di un desiderio mai compiuto. Qui il mosaico restituisce peso e permanenza a immagini nate per dissolversi in modo effimero nello spazio digitale. Il desiderio, ancora una volta, coincide con la sua possibilità.
In Exercises in Ruins, Omar Mismar trasforma la rovina in un esercizio di attenzione e cura. La sua estetica del disastro mette in discussione la veridicità dell’immagine documentale opponendosi all’iperrealismo dei nuovi dispositivi visivi. Le rovine del disastro, in Mismar, non sono tanto quelle di un’esplosione visibile quanto il risultato di un’assenza, di un fallimento.

