Finire in bellezza #2 | SUPERCONTINENT | Le ultime giornate

Riccardo Giacconi - Carolina Valencia Caicendo / Alessandro Sciarroni / CollettivO CineticO / Francesca Grilli / Jacopo Jenna / Thomas Bellinck ...
14 Agosto 2017

L’attacco non poteva che essere più appropriato – “finisce in bellezza” – per raccontare l’esperienza vissuta da molte persone alla Centrale di Fies. Si è concluso nella serata del 29 luglio il festival – diretto da Barbara Boninsegna e il co.curatore Filippo Andreatta – DRODESERA dedicata alle arti performative prodotte, curate, selezionate e ‘incorniciate’ nei suggestivi spazi dell’ex-centrale idroelettrica. Ho avuto l’opportunità di seguire alcune proposte nelle ultime giornate del Festival. Cerco di raccontare alcuni momenti.

Alle 18 in punto, assieme a pochi altri spettatori, entriamo in piccole e buie stanze nel seminterrato di uno degli stabili del complesso della Centrale, gli Ex Alloggi Operai. Accompagnati per mano, ci fermiamo nella prima di una serie di stanze-capitoli dove una voce ci racconta (o suggerisce) episodi metaforici di un burattino (uomo). Inquietati per i lunghi brani di fitta oscurità, già dalla prima stanza si definisce quella che, a mio parare, è la condizione dell’uomo (burattino): dietro la maschera si nasconde ‘nessuno’. Occultata l’identità dentro alle forme ‘dure’ (Pinocchio è di legno) di un burattino, i vari capitoli si snodano negli angusti locali seminterrati. Video astratti (e vagamente psichedelici) si alternano a luci che abbagliano e sorprendono. La voce narrante è quella di Alberto Camerini cantautore e artista di teatro emerso negli anni ’80 come l’arlecchino del rock italiano. Cambiamo stanza, sempre prendendoci per mano e, ad intermittenza, un concerto luminoso svela maschere veneziane (forse una, un tempo, simboleggiava l’arrivo della peste), umanoidi fatti all’uncinetto, presenze tra il macabro e il carnevalesco. Poche ‘pagine oltre’, l’alto volume ci investe assieme ad una minacciosa figura robotica che appare grazie ad una luce stroboscopica. Tra brani raccontati e ambigue presenze, Riccardo Giacconi e Carolina Valencia Caicendo hanno presentato Occhiacci di Legno. Tempo fa l’artista ha pubblicato una serie di appunti legati al mondo delle marionette  >

Riccardo Giacconi e Carolina Valencia Caicedo - Occhiacci di legno, Drodesera, Centrale di Fies, Dro - Ph. Alessandro Sala

Riccardo Giacconi e Carolina Valencia Caicedo – Occhiacci di legno, Drodesera, Centrale di Fies, Dro – Ph. Alessandro Sala

Alla Turbina 2, il regista teatrale belga Thomas Bellinck, in collaborazione con ROBIN (una società di produzione artistica con base a Bruxelles), presenta il complesso Simple as ABC #2: Keep Calm & Validate. L’inizio colloquiale ci introduce subito in una meta–realtà dove gli essere umani (per lo più migranti) si trasformano in generici soggetti da inserire come numeri e codici in banche dati computerizzate. In una mirabile performance attoriale, la compagnia teatrale racconta l’attuale tema della migrazione. Questo spettacolo segue Simple as ABC#1: Man vs Machine, un breve saggio teatrale sulle tecnologie di sorveglianza. Simple as ABC # 2: Keep Calm & Validate è un “musical” che documenta la gestione delle migrazioni digitali. Il racconto è strutturato come se fossimo un corpo che cade nel vuoto reale tra grattacieli newyorchesi e quello immaginario tra le maglie metaforiche della rete. I “soggetti migranti” siamo tutti noi, considerati alla stregua di numeri e codici, intercambiabili, sostituibili, ma soprattutto cancellabili con il semplice e veloce click sulla tastiera. Cadiamo, cadiamo, precipitiamo in mare, nel più profondo degli abissi. La scena cambia. La piattaforma che dall’inizio ruota senza mai fermarsi (una sorta di metafora della terra che continua, imperscrutabile, a girare su se stessa), ora è attorniata da due mondi – solo apparentemente lontani: un ‘freddo’ ufficio con scrivanie e computer e lo struggente e angosciante quadro di Théodore Géricault, La zattera della Medusa (1818-19). All’inquietudine turbinosa della rappresentazione pittorica, la quiete, altrettanto tormentata, degli ambienti dove codici, dati, cifre e numeri gestiscono avvenimenti terribili come gli sbarchi dei clandestini nelle acque del Mediterraneo.
Un lungo testo del regista Thomas Bellinck è stato stampato come premessa a Simple as ABC #2: Keep Calm & Validate. Ne trascrivo solo il finale, decisamente significativo: “L’Europa non è una fortezza. Il confine non è un muro. Il confine è un parassita geneticamente umano, che muta, sposta, infetta. Che a volte causa la morte. Che, qaundo il suo corpo ospitante sopravvive, viene trasmesso da una generazione all’altra. Giù fino ad includere l’ennesimo bambino nato sul suolo belga, che non ha visto nulla del mondo ad eccezione di una o l’altra clinica di maternità belga, ma che è già stato aggiunto alle statistiche come ‘migranti di seconda o terza generazione’”.

Thomas Bellinck -  ROBIN, Simpleas ABC II © Laura Van Severen  - Supercontinent, Drodesera

Thomas Bellinck – ROBIN, Simpleas ABC II © Laura Van Severen – Supercontinent, Drodesera

Al caldo della giornata estiva, si somma un caldo umido, disturbante. Entrati nell’ambiente che ospita il progetto di Francesca Grilli, The Forgetting of Air, si ha la sensazione di essere dentro un grande ventre che, seguendo il ritmo del respiro, si espande e contrae.
“Respirare è la prima azione che porta la vita all’essere. La fine del respiro è il segno definitivo della sparizione. The Forgetting of Air è una performance che trova nell’idea di aria, intesa come territorio di scambio, il terreno per una riflessione sugli attuali flussi migratori: il materiale di condivisione tra pubblico e performer è l’aria stessa.” (Francesca Grilli)
Chi seduto o mezzo sdraiato, chi in piedi, chi assorto o inquieto: in questo ambiente-pancia, una linfa invisibile che ci tiene in vita, l’aria che respiriamo, diventa massa densa e compatta. L’artista, grazie ad una serie di performers, mette in scena (e in rilievo) l’aria, l’etere che grazie all’azione quotidiana che, inconsapevoli, facciamo, ci rende vicini, legati gli uni agli altri. Volendo, appesi a un filo (l’aria) invisibile ma necessario.

Francesca Grilli, The Forgetting of Air - Drodesera, Centrale Fies, Dro - Ph Alessandro Sala

Francesca Grilli, The Forgetting of Air – Drodesera, Centrale Fies, Dro – Ph Alessandro Sala

Una dedica ad una grandissima ballerina del balletto romantico o provocazione dei s-costumi contemporanei? Omaggio a Maria Taglioni, ballerina che nel 1833 trionfò all’Operà di Parigi con la Sylphide o sberleffo alla danza contemporanea che, imitando la vita quotidiana e le sue gestualità, altro non diventa che il simulacro di ciò che dovrebbe essere autentico e vitale? Il CollettivO CineticO, nella sera del 28 luglio, alla Turbina 1, mette in scena Sylphidarium – Maria Taglioni on the ground. L’inizio è frenetico, compulsivo, indiavolato nel mettere in scena una veloce e provocante sfilata di ballerini che mostra costumi e corpi, abiti e movenze che mischiano elementi del balletto classico – su tutti il tutu e le scarpette a punta – con vesti contemporanee.

All’elevazione che da sempre connota la danza classica, l’azione dello stare sulle punte – simbolo che solleva il corpo, lo trascende – è ‘smontata’ dalla compagnia guidata da Francesca Pennini, per riportare a terra il corpo ‘romantico’. La silfide, a cui fa riferimento il titolo, figura mitologica leggere e magica che abita nei boschi, viene denudata e resa carne, muscoli, energia potente. Alla grazia, il vigore dei corpi muscolosi dei ballerini contemporanei, alla leggiadria delle danzatrici ottocentesche il CollettivO CineticO contrappone la pesantezza e fisicità dei corpi reali.
L’obbiettivo di fare un’autopsia del balletto classico raggiunge il culmine a mezzora circa dall’inizio della performance (durata 80’) quando una ballerina dal corpo alto e sottile (dunque perfettamente rientrante in quelle che sono le caratteristiche di una Sylphide ottocentesca), vestita di una attillatissima tutina ginnica, si alza sulle punte ma anziché “spiccare il volo”, elevarsi come le danzatrici di due secoli prima, si piega su se stessa, si rannicchia, si fa trascinare – e non scivola leggiadra con la Taglioni – da due ballerini. Piegata e dimezzata, contorta ma sempre sulle punte, la performer diventa un insetto, un coleottero se vogliamo far quadrare il cerchio. (Scopro che le Silphidae appartengono all’ordine dei coleotteri che hanno la caratteristica di essere necrofori ovvero sono attratti da corpi in decomposizione per la deposizione di uova per l’alimentazione delle nuove larve).
Sensuale, carnale, nudo e provocante, a volte oltraggioso: il corpo messo in scena dal CollettivO CineticO è una massa di vibrante energia che, se deve trascendere, lo fa grazie al continuo e imprevedibile cambio d’abiti che si esaurisce ai bordi della scena. Metri di stoffe, dal tartan alla ciniglia, alla finta pelliccia, foulard, maschere e cappelli, velette e berretti, asciugamani, tulle e plastica impermeabile, tute da ginnastica e maglie della salute… un tourbillon di ‘costumi’ che incarnano generi e razze, mode e atteggiamenti.
Ma preferisco, su tutti, i corpi nudi, vestiti di muscoli e lavori atletico, esercizio e disciplina che tradisce – a volte – le origine classiche, quel balletto che alla fine ci avvince sempre: quello romantico in cui, ingabbiata da un feroce tecnicismo, restituiva il potere della bellezza.

CollettivO CineticO  - Sylphidarium. Maria Taglioni on the ground, Drodesera - Centrale Fies, Dro - Ph Alessandro Sala

CollettivO CineticO – Sylphidarium. Maria Taglioni on the ground, Drodesera – Centrale Fies, Dro – Ph Alessandro Sala

Con rammarico – e per l’ignara colpa di A.K. – mi perdo una performance che spero di avere presto l’occasione di vedere, Come as you are, di Jacopo Jenna.
Riporto una breve descrizione e un estratto video
Kurt Cobain ha descritto il testo Come As You Are contraddittorio e confuso. Questo progetto coreografico, creato con la collaborazione dell’artista visivo Jacopo Miliani, prende in prestito il titolo della canzone usandolo come invito per il pubblico. Lo spazio semantico del testo della canzone viene decostruito nel lavoro di Miliani sotto forma di immagine e ricollocato sulla scena attraverso la produzione di 20 asciugamani di spugna bianchi e rossi, dove le parole riemergono scomposte in una forma grafica determinando nel movimento una trasformazione di relazioni con le liriche scritte da Cobain. La coreografia si sviluppa in due sezioni traslando forma e assorbendo l’immagine, creando un insieme di danze frammentate in un flusso cromatico nel quale la percezione seleziona un mondo, dove le cose si muovono o sono mosse.

Idealmente, ‘chiudo’ la mia breve permanenza alla Centrale di Fies con la performance di Alessandro Sciarroni, CHROMA_ don’t be frightened of turning the page. L’azione, della durata di circa 40 minuti, è stata conturbate. Sciarroni entra in scena con lentezza, abbigliato semplicemente, comodo (è appropriato descriverlo). Contando i passi, taglia la scena in due parti: traccia una diagonale tra noi e l’aldilà, in silenzio. Piano piano i passi si riduco tanto da ridurre il percorso ad un solo passo che turbina su se stesso. Inizia a girare e rigirare; non si ferma, non si placa, all’inizio il corpo sembra non trovare pace. Ma dopo un lasso di tempo sospeso (sono passate ore o pochi minuti?) notiamo che l’irrequietezza del corpo che rotea si trasforma in un pacifico movimento. Sciarroni a volte sorride. Siamo tutti con il fiato sospeso mentre ci chiediamo: cadrà? Invece no, vortica quasi sempre nello stesso punto e mentre lo fa, compie lenti ma incisivi movimenti leggibili in una chiara iconografia: si alternano nel corpo del performer abbracci, saluti, pose che ricordano gesti quotidiani, atti legati alla storia (nefasta, come ad esempio il saluto nazista), azioni ginniche, danze…
L’unico sfondo scenografico che completa questa mirabile esibizione siamo noi, il pubblico nelle gradinate e il mutare delle luci che, se all’inizio sono neutre, ora esaltano il vorticare del corpo, dall’occhio di bue e una soffusa luce gialla, dal nero totale a fasci di luce bianca direzionata.
Per 40’ restiamo assorti, rapiti, emozionati.
Bravo Sciarroni per aver ridotto all’asso un atto poetico. Essenziale e minimo, come raccontare un corpo che sembra essersi armonizzato con il ruotare ancestrale della terra; con l’atavico movimento di una galassia profonda e inspiegabile.

Alessandro Sciarroni CHROMA_don’t be frightened of turning the page - Drodesera, Centrale di Fies - Ph Roberta Segata

Alessandro Sciarroni CHROMA_don’t be frightened of turning the page – Drodesera, Centrale di Fies – Ph Roberta Segata

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