ZimmerFrei al Mambo > Campo Largo

21 Giugno 2011

Le stanze sono libere, Photo: Chiara Balsamo
ZimmerFrei, Mambo, Photo: Chiara Balsamo
ZimmerFrei, Mambo, Photo: Chiara Balsamo
What we do is secret, 2004-2011, Photo: ZimmerFrei
Locations, 2011, Photo: ZimmerFrei
Senza titolo (di un dio minore), 2010 Photo: Chiara Balsamo

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ZimmerFrei – Campo Largo

A cura di Stefano Chiodi

Spazi vuoti, stanze libere e campi larghi. Luoghi, set, scenografie dove si muovono figure, animali e umane, dove esplodono scenari sottratti alla realtà. La mostra che ZimmerFrei ha realizzato al MAMbo di Bologna, è la sintesi di un percorso che dura da più di dieci anni e che ha trascinato il gruppo negli ambiti più disparati del linguaggio, facendoli approdare in una terra sospesa a metà fra lo spazio e il tempo, in un campo largo di vedute, suoni, allegorie.
Ogni lavoro presentato è una fessura aperta sul reale, che ci invita ad aprire lo sguardo, senza nessuna precauzione. Cominciamo da un indizio, la serie dei Panorami che il gruppo ha realizzato in diverse città europee, e in cui viene catturata quella bidimensionalità del tempo che appartiene al piano misterioso dei fenomeni e del reale. E’ un tempo affilato e rallentato che si sovrappone a quello in velocità, grazie alla tecnica del time-lapse, che comprime in pochi minuti il materiale girato in un’intera giornata.
Basta superare la parete centrale che reca il titolo della mostra, ‘Campo largo’ per cadere nella trappola di una rete sospesa a mezz’aria dentro allo spazio principale del museo. Non è più stanza, né luogo, né spazio. È un paesaggio, la Radura, dove è possibile ritagliarsi un momento intimo e solenne. La rete cala dal soffitto, formando dolci onde, e proiettando ombre di luce violacea a terra, cadenzate dal suono lontano di cinque carillon. È un deserto onirico, che s’impone all’improvviso contenendo tutto ciò che le sta sotto e intorno. Così, ci si può abbandonare alla visione delle altre opere dislocate nello spazio espositivo, mantenendo un legame affettivo con lo spazio simbolico ed esperienziale creato dalla rete. Compiere un giro a 360° con la mano tesa sugli occhi ed esplorare, ascoltare altre voci, altri rumori, altri paesaggi rubati.
Non sono soltanto i sensi, ma è la memoria che si attiva, il ricordo, la percezione di un deja vou e di un deja entendu. E’ il caso di ‘Senza Titolo (di un Dio minore)’, dove un vecchio registratore a bobine riproduce un’intercettazione telefonica di due soggetti: A e B. Due potenti, due notabili che, nella loro lunga conversazione, ci raccontano qualcosa sulle dinamiche più intime del potere, ed è automatico associare il dialogo ad uno dei tanti letti in questi anni sulla stampa.
Con lo stesso realismo, meno sarcastico, ma altrettanto pungente, guardiamo il video LKN Confidential girato a Bruxelles in un’unica strada, di cui vengono messe in luce le relazioni, i conflitti, il quotidiano, i commerci, la fragilità umana.
Passando attraverso una tenda di corde colorate, simile a quelle dei vecchi negozi di alimentari, e strisciando come un’automobile quando passa sotto i cilindri che spruzzano acqua, ci si sposta nell’ala sinistra del museo, dove una serie di fotografie giace appoggiata a terra, quasi per caso, con due soggetti ricorrenti: foto di famiglie ebree a Coney Island, sullo sfondo della ruota panoramica dello storico Luna Park, da un lato, e pecore e pastori della periferia romana, dall’altro. Scenari contrapposti, con una certa decadenza ricorrente che ipnotizza e ci fa entrare dentro alle immagini quasi fossero vive, come se potessimo accarezzare una pecora, o togliere il cappello al padre di famiglia ebreo…
Non manca la foto stereoscopica sonorizzata, o il tavolo di lavoro degli ZimmerFrei che accoglie (oltre al sudore di anni di fatica!) anche una vasta documentazione su Stop Kidding, un video mandato in onda su Blob nel 2002 e selezionato per la Biennale di Venezia dello stesso anno.
Insomma, qui dentro c’è proprio tutto: consapevolezza politica, rigore artistico, valore socio culturale, aggressività intellettuale e tantissima sensibilità.
C’è anche un buco, uno spioncino che collega il mondo di ZimmerFrei con il mondo esterno, sulla facciata del Museo.
Gli Zimmerfrei hanno i piedi per terra, anche se si divertono a farci vedere volare le pecore.

Martina Angelotti

ZimmerFrei, Mambo, Photo: Chiara Balsamo
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