Testo di Chiara Bucolo —
Lo spazio espositivo indipendente ALL, nuovo project space nel cuore della Vucciria di Palermo e ricavato da un ex magazzino, accoglie la sua seconda personale: dopo Spatial Politics di Erik Smith, artista concettuale il cui lavoro è incentrato sull’esplorazione dei siti urbani e sul riutilizzo di materiali di scarto, dal 15 Settembre al 12 Ottobre presenta “Zàbara e Zabàra” dell’artista Giulia Sofi.
‘Zàbara e Zabàra’ è un’espressione che il popolo siciliano ha inventato ‘per dire che una cosa, una convinzione, un’argomentazione vale l’altra apparentemente contraria’, come si legge in Occhio di capra di Leonardo Sciascia. Il titolo della mostra indica come la ricerca di Sofi si instauri nel solco della sperimentazione culturale proposta da ALL: attraverso uno studio antropologico e linguistico, l’artista riprende il rapporto ancestrale tra esseri viventi di diverse specie, ponendone al centro l’aspetto comunicativo e immaginifico. L’oralità è uno dei tramiti principali con cui esso viene espresso e tramandato – basti pensare alla varietà di nomi e nomignoli diversi dati agli animali anche in funzione apotropaica, rivestendo così creature paurose di un significato “positivo”, per allontanarne la paura (ad esempio il pipistrello chiamato “taddarita” ma anche “Sant’Antonio”).
La lingua è il mezzo con cui non solo si comunica ma attraverso la quale si cercano e si sperimentano nuove modalità d’espressione, con la quale non solo si definisce il mondo, ma lo si inventa: definire un popolo significa crearne la propria versione, ma anche versioni speculari, opposte o personali a quello convenzionalmente esistente (‘in che modo allora il mio popolo chiamerebbe la lumaca e la ciliegia?’, come si legge nel comunicato).
Nella mostra di Sofi, il passaggio dal linguaggio impalpabile al testo fisico, “terroso”, si concretizza attraverso una torre composta da anelli, in cui si inseriscono delle schede contenenti le varie nomenclature regionali assegnate agli animali, la loro descrizione e la funzione attribuita – dal rospo sciamano ai presagi beneauguranti/maleauguranti della farfalla sfinge. L’elemento sonoro è materializzato in una traccia audio, in cui l’attore e artista Maziar Firouzi recita un testo scritto da Sofi: l’attenzione per il suono nella sua ricerca è espressa dall’uso di suoni onomatopeici inclusi nel racconto (ad esempio, il suono degli zoccoli di un cavallo riprodotto tramite lo schiocco della lingua sul palato).
In questa babele linguistica comunicano Zàbara e Zabàra, impersonate dall’artista stessa: ritraendosi in due immagini speculari, in cui la sua lingua è sostituita da una vera lingua di un bovino, Sofi evoca l’esistenza di un lessico animale e umano insieme, e di una conseguente trasformazione del sè, in cui l’immaginazione diviene la chiave per concepire modalità di trasmissione sempre diverse.
La babele ideale si fonde inoltre alla babele del mercato della Vucciria, le cui “incursioni” (sonore e non) all’interno dello spazio espositivo ne rendono i propri confini aperti, portando ad esiti sempre imprevedibili: il mondo reale, così come quello dell’artista, è un ambiente complesso, stratificato, “magico” e concreto allo stesso tempo. Un mondo in cui la magia delle creature che lo popolano, intesa come possibilità interpretativa dell’ambiente che si abita, non è altro che la magia delle lingue che lo connettono.