ATP DIARY

Walking on the Planet — Intervista con Pietro Gaglianò

E’ da poco inaugurata, e sarà visitabile fino al 26 luglio a San Giovanni Valdarno, la mostra collettiva “Walking on the Planet” a cura di Pietro Gaglianò. Le opere di oltre una decina di artisti – Vincenzo Cabiati, Pierluigi Calignano, Remen Chopra, Gaetano Cunsolo, Fabio Cresci, Giovanni De Lazzari, Orietta Fineo, Vibha Galhotra, Francesco Lauretta, […]

E’ da poco inaugurata, e sarà visitabile fino al 26 luglio a San Giovanni Valdarno, la mostra collettiva “Walking on the Planet” a cura di Pietro Gaglianò. Le opere di oltre una decina di artisti – Vincenzo Cabiati, Pierluigi Calignano, Remen Chopra, Gaetano Cunsolo, Fabio Cresci, Giovanni De Lazzari, Orietta Fineo, Vibha Galhotra, Francesco Lauretta, Concetta Modica e Sophie Usunier, P.S. Jalaja, Pantani-Surace – installate in tre luoghi della cittadina toscana: Casa Masaccio, Casa Giovanni Mannozzi e Palazzo Panciatichi. La sfida sottesa all’intero progetto – residenza e creazioni artistiche site-specific – è quella di aprire una riflessione sul modo in cui gli artisti abitano il pianeta. “Walking on the Planet mette in evidenza la necessità di conoscere l’ambiente circostante in tutte le sue forme, sociali, antropologiche, geografiche architettoniche; e lo fa invitando gli artisti a dare forma a opere site specific in dialogo con lo spazio urbano e culturale di San Giovanni Valdarno.”

Comunicatostampa — Walking on The Planet

Alcune domande al curatore

ATP: Tema affascinante quello del “camminare sul pianeta”. Forma di esercizio sia fisica che mentale, hai scelto l’esercizio del camminare come forma di introspezione… Mi racconti perché hai fatto questa scelta?

Pietro Gaglianò: Dalla mia posizione di studioso, e di traduttore delle forme della cultura contemporanea in espressioni verbali, avverto la necessità di ridefinire i termini dell’aderenza tra il principio dell’arte, il punto di scaturigine, e le forme che poi questa prende nel suo procedere verso l’esito visibile. Camminare è un processo di conoscenza primaria e impone un atto di sottomissione alla struttura fisica e architettonica dello spazio: camminando si aspetta che lo spazio si apra e si entra in esso senza modificarlo, se non aggiungendovi significati che prima non gli appartenevano. Alla fine di ogni viaggio compiuto in questo modo, o nelle varie e necessarie tappe, c’è un racconto, c’è il bisogno di una restituzione, e nel caso degli artisti assume profili imprevedibili. Insomma, camminare al loro fianco, o attenderli al loro ritorno, e ascoltare, leggere, osservare le tracce del loro appuntare immagini, mi ha aperto l’osservazione dei loro processi creativi, e con queste forme, per quanto possibile, abbiamo cercato di creare la mostra.

Gli artisti sono sempre in viaggio… e la conversazione che ha aperto l’inaugurazione, opera di Fabio Cresci, è un esempio molto chiaro di questa attitudine. Cresci ha invitato una giovane escursionista a raccontare le sue storie di camminate, di ricerche, di paure. Tutti noi raccolti in un piccolo giardino del centro storico abbiamo ascoltato le sue parole, che descrivano la pratica del camminare, traslitterandola, a ogni parola, nell’esperienza dell’arte.

ATP: Hai invitato gli artisti ad attraversare il paesaggio di “San Giovanni Valdarno”. Come è avvenuta questa esperienza?

PG: Agli artisti è stata data la possibilità di abitare, sia pure per un breve periodo, uno spazio sociale, urbano e rurale come San Giovanni Valdarno, una “terra nuova”, una città medioevale di fondazione, una delle poche della storia toscana, con la sua struttura topografica fortissima e il rapporto con la presenza del fiume. Nove artisti italiani e tre artiste indiane sono stati autori di un’esplorazione gentile, diventando autori con il proprio sguardo di nuove interpretazioni dello spazio. Molto importante è stata la relazione reciproca tra tutti gli artisti coinvolti, che per un po’ hanno costituito una comunità eterogenea e sfrangiata ai bordi, in continuo confronto con le consuetudini della città, con i suoi abitanti, e con le diverse provenienze di tutti. Dall’inizio è stato determinante anche il rapporto con gli spazi che avrebbero accolto i lavori, tutti molto caratterizzati, essendo architetture storiche e fortemente connotate, sia nel caso di Casa Masaccio, sia nel caso di Casa Giovanni Mannozzi dove qualcuno ha aperto dialoghi con le opere della collezione di arte contemporanea del comune di San Giovanni. Qui Francesco Lauretta ha realizzato a un omaggio ai pittori “morti” della collezione, rinverdendo la prassi delle estemporanee di pittura.

 ATP:  Come si sono relazionati i vari artisti all’ambiente circostante e che esiti hanno dato i vari attraversamenti?

PG: La maggior parte di loro ha scelto di compiere davvero lunghe perlustrazioni, in cui lo spostamento attraverso il paesaggio ha prodotto quasi automaticamente l’opera. Lauretta per giorni ha fasciato i propri piedi con garze che alla fine sono state montate su una tela, con le sfumature assunte durante il camminare. Altri, come Gaetano Cunsolo o Giovanni De Lazzari, hanno indagati luoghi marginali, riportandone immagini e costruzioni formali nuove. Il duo costituito da Concetta Modica e Sophie Usunier, così come VIbha Galhotra e anche Pantani-Surace hanno creato azioni con il coinvolgimento diretto del pubblico, sia durante il periodo della residenza sia con riflessi che continueranno nei prossimi mesi. Pierluigi Calignano invece ha scelto di collaborare con quattro giovani artisti di base a Firenze (Matteo Coluccia, Simona Di Giovanni, Stefano Macaione e Daniela Pitrè), inviati con in giro con macchine fotografiche per vedere qualcosa che lui non poteva vedere, delegando così in parte l’assunto autoriale. Orietta Fineo, P.S. Jalaja e Remen Chopra, invece hanno scelto di ritrarre con i linguaggi del disegno e della pittura il senso del loro permanere sul posto o dei ponti culturali attraversati. In controtendenza, Vincenzo Cabiati ha preferito a questa rete di percorsi orizzontali una posizione verticale, lavorando con diversi medium sulla figura dell’eremita stilita, come osservatore, come unione tra uno sguardo spirituale e un radicamento al suolo.

ATP: Accanto al progetto principale ‘Walking on the Planet’  è stato affiancato l’allestimento  de “La Camera delle Meraviglie”. In cosa consiste?

PG: La camera delle Meraviglie, che parafrasa nel titolo le wunderkammer, gabinetti in cui principi del secolo e della chiesa raccoglievano oggetti e opere stupefacenti (naturalia e artificialia), rappresenta una sorta di nodo nell’ambito del progetto Walking on the Planet. È un punto dal quale partire – o al quale giungere – per verificare il potere dell’arte di creare vertigine, di produrre uno scollamento dal piano della realtà che incarna la vera esperienza dell’arte. Quando l’opera si manifesta (in senso letterale, appare) sta già indicando una possibilità di visione che in qualche misura echeggia il sublime kantiano – dinamico e matematico.

Così, le 17 opere esposte si riferiscono ad aree del pensiero e dell’immaginazione che hanno cittadinanza specialmente in una condizione di liminalità, tra la vita e la morte, tra la memoria e l’oblio, tra la narrazione e l’afasia, tra l’ombra e la luce. Il disegno della loro collocazione nello spazio, e del loro equilibrio reciproco, insegue un’idea di stupore, di autentico sentimento di meraviglia da destare nell’osservatore. Con un taglio molto formale, quasi classico, “La Camera delle Meraviglie”, bilancia e ricentra la coralità dell’altra parte del progetto.

ATP: La mostra per San Giovanni Valdarno è strettamente legata a Madeinfilandia, (cito la sua presentazione): “un luogo inventato da artisti per artisti per costruire occasioni di approfondimento diretto dell’arte e di loro stessi”. Quali aspetti legano le due esperienze?

PG: Il progetto intero nasce da Madeinfilandia, invitata dalla direzione di Casa Masaccio (in collaborazione con il Pecci di Prato nell’ambito del progetto regionale “Cantiere Toscana Contemporanea”) a creare l’esperienza di residenza e di mostra. Altro partner del progetto è l’associazione MK Search Art, da anni attiva sul territorio, che ha mediato la partecipazione delle artiste indiane. Madeinfilandia è una realtà extraterritoriale, sia per la sua eccentricità geografica rispetto alle grandi città, sia per le ragioni e gli obiettivi con cui nasce. Inoltre da qualche mese è stata proclamata l’autonomia dello Stato Libero di Filanda, dove prende forma un laboratorio permanente che si realizza con residenze, esposizioni, o con la semplice coabitazione. La presentazione che citi coincide con una sorta di manifesto, ed esprime la volontà di creare uno spazio fisico e teorico non sottoposto ai condizionamenti dei rapporti con il mercato, con certe forme della comunicazione e con la cosiddetta curatela. Il progetto è in ogni suo momento, autenticamente, nelle mani degli artisti. Io sono solo l’ambasciatore, per le “missioni all’estero” come questa, oltre a essere uno dei residenti fissi della bellissima architettura immersa nella natura, nei pressi di Pergine Valdarno, dove tra il 28 giugno e il 5 luglio si svolgerà la sesta edizione: Madeinfilandia 2015.

Fabio Cresci - Se la copia richiede progettazione,   cosa dire allora dell'originale
Fabio Cresci – Se la copia richiede progettazione, cosa dire allora dell’originale
Gaetano Cunsolo,   Rovine (photo l'artista)
Gaetano Cunsolo, Rovine (photo l’artista)

 

Emanuele-Cerutti-Collezione-Maramotti-2024