Testo di Barbara Ruperti —
“Compagni rifiutiamo il lavoro. Vogliamo tutto il potere vogliamo tutta la ricchezza. Sarà una lunga lotta di anni con successi e insuccessi con sconfitte e avanzate. Ma questa è la lotta che noi dobbiamo adesso cominciare una lotta a fondo dura e violenta.”
“Vogliamo tutto”. Imperativo radicale che non ammette intese né esitazioni, quello di un corpo proletario consapevole della inattuabilità del compromesso. Un corpo coeso, tutt’altro che inerme davanti al rifiuto, anzi, disposto a lottare per un “tutto” che è utopia e rivoluzione.
È la eco di una Torino rovente di fine anni Sessanta che fa da sfondo alla mostra inaugurata alle OGR, quella raccontata nelle pagine di Nanni Balestrini e che ha segnato la società italiana di quegli anni: l’autunno caldo del ‘69 che ha stretto il suo pugno contro i cancelli della Fiat e ha dato inizio ad un’ondata di manifestazioni che ha investito il Paese. Una stagione che è matrice dell’identità industriale di questa città e che si riverbera tra le mura delle Officine Grandi Riparazioni.
A cinquant’anni da quegli eventi ci si domanda cosa sia cambiato e in che modo siano state riformulate le rivendicazioni di un tempo. Quali sono le questioni irrisolte e le nuove sfide che il mondo del lavoro si trova oggi ad affrontare? E qual è la fisionomia della precarietà nel panorama post-industriale?
Nessuna questione potrebbe essere più attuale in queste settimane di protesta in cui abbiamo assistito ai cortei di migliaia di lavoratori riversati nelle strade delle grandi città italiane per reclamare una risposta del governo ai licenziamenti e alle delocalizzazioni selvagge delle multinazionali, temi che che dopo i casi di Gkn, Alitalia e Whirlpool si sono dimostrati più urgenti che mai.
Nessun luogo migliore delle Officine Grandi Riparazioni per ospitare la mostra curata da Samuele Piazza e Nicola Ricciardi.
Le OGR sono una cattedrale industriale simbolo della transizione verso nuovi modelli di produttività: fino al secolo scorso ospitavano le attività di manutenzione dei veicoli ferroviari e oggi sono un centro di produzione culturale, punto di riferimento per l’arte contemporanea e testamento del passato industriale della città di Torino.
Nell’enorme ventre delle Officine, lungo il suggestivo spazio del Binario 1, si apre la mostra che ospita i lavori di 13 artisti internazionali invitano a osservare i resti di un recente passato industriale e le ambivalenze di nuove condizioni lavorative.
Davanti all’ingresso un video ci espone il lento processo di demolizione di un’automobile. L’enorme morsa di un braccio meccanico intenta alla paziente lacerazione della carcassa si alza e si abbassa, rigirandosi tra le dita quel guscio vuoto che piano piano cambia forma. È Century di Kevin Jerome Emerson l’opera che ci introduce al primo filone discorsivo di questa mostra, dedicato alla transizione dalla società industriale a quella post-industriale e alla definizione di nuovi immaginari futuri. Segue l’indagine sociale di LaToya Ruby Frazier, The Last Cruze, che testimonia le conseguenze della chiusura di uno stabilimento automobilistico sulla comunità di Lordstown in Ohio.
Al Binario 2 l’indagine prosegue focalizzandosi sul lavoro digitale e su come il suo avvento abbia cambiato, radicalizzato o, in alcuni casi, lasciato invariate alcune questioni del mondo del lavoro.
Tra le altre, l’opera dell’italiana Elisa Giardina Papa Technologies of Care ci mostra i retroscena del difficile lavoro dellǝ sex workers online. Attraverso l’esplorazione di argomenti come empatia, precarietà e lavoro immateriale l’opera di Papa evidenzia come gli stereotipi e le disuguaglianze che associano i lavori di cura a entità femminili nel mondo offline si riflettano in maniera evidente sulla rete.
A proseguire la riflessione sulle diseguaglianze di genere A Call to Arms: Building a Fem Army di Andrea Bowers che chiude la mostra disegnando un nuovo immaginario della rivoluzione che prende le mosse dalle icone di protesta degli anni ‘70 e ‘80 e prevede un manifesto per la lotta femminista intersezionale.
VOGLIAMO TUTTO. Dal grido di protesta degli operai in sciopero alla sfida lanciata tra queste mura: in un mondo in cui il lavoro e la sua deregolamentazione hanno influenzato la capacità di lottare per i diritti, ha ancora senso volere tutto?
Artisti in mostra: Andrea Bowers, Pablo Bronstein, Claire Fontaine, Tyler Coburn, Jeremy Deller, Kevin Jerome Everson, LaToya Ruby Frazier, Elisa Giardina Papa, Liz Magic Laser, Adam Linder, Sidsel Meineche Hansen, Mike Nelson, Charlotte Posenenske.