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Voci d’artista dalla Biennale Mediterranea #2

[nemus_slider id=”50248″] Testo di Francesca D’Aria La Biennale Mediterranea, arrivata alla XVII edizione, è in corso presso La Fabbrica del Vapore. Sono più di trecento i creativi coinvolti nella manifestazione: i giovani artisti europei hanno messo a nudo il proprio...

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Testo di Francesca D’Aria

La Biennale Mediterranea, arrivata alla XVII edizione, è in corso presso La Fabbrica del Vapore. Sono più di trecento i creativi coinvolti nella manifestazione: i giovani artisti europei hanno messo a nudo il proprio talento presentando opere performative, letterarie, videoinstallative, pittoriche, scultoree, musicali, fotografiche, insomma investigando ogni possibile diramazione della cultura mediterranea. Dieci, degli artisti coinvolti, hanno partecipato ad un’intervista collettiva per ricostruire, almeno in parte, quello che sta succedendo a Milano; attraverso le loro parole hanno raccontato quale ricerca, artistica e concettuale, ha guidato la realizzazione del proprio lavoro esposto in Biennale.

Voci d’artista dalla Biennale Mediterranea #1 

L’installazione, e il video, dal titolo The Hallow Man (2011-2014) sono opera della ricerca artistica di Ivana Radovanovi? (1983, Montenegro). Punto di partenza per la creazione del lavoro è la poesia di T. S. Eliot che disegna la sagoma di persone paralizzate, affette dalla noia, dall’immobilità e l’assenza di reazioni. Ivana suggerisce, con quest’opera, «un atto importante, la motivazione per una presa di coscienza collettiva. Bruciare le sculture che rappresentano L’uomo vuoto fornisce l’opportunità di liberare le emozioni in modo organizzato e diventa una sorta di performance allo stesso tempo. Le sculture sono nate da un processo creativo che già andava verso la loro fine:l’azione, il movimento, il fuoco. È anche una responsabilità, un’opportunità che ho dato a me stessa, di poter decidere quale sarebbe stata la fine delle sculture, è anche una sfida che però ci fa immergere in questo atto che avviene davanti e dentro di noi. Questo gesto rappresenta anche quello che ne rimane dopo: il nulla, ma non come un principio assoluto, piuttosto come parte del processo. Come si legge nella poesia, Hallow Man, porta con sé un’assopirsi dei corpi che restano lì tra idea e realtà, concetto e creazione, o meglio tra vita e morte. Nel fuoco si racchiude anche un tentativo mitomane di stabilire un legame tra umano e divino. Tutto è polvere e torna polvere».  

Anche l’artista Pilar Soto (1984, Spagna) interroga lo spettatore a proposito del rapporto tra umano e divino, allestendo una porzione di paesaggio naturale all’interno degli spazi e ribaltando la prospettiva degli elementi coinvolti: piante a testa in giù, come figure ultraterrene, entrano in relazione con il pubblico che viene invitato dall’artista a camminare scalzo sulla terra nuda. È lo spazio per un incontro, e per un possibile dialogo ritrovato, quello messo in scena da Radici in equilibrio (2015). «L’opera ha avuto una trasformazione nell’essere trasferita all’interno di uno spazio chiuso, infatti è nata per essere vissuta, sviluppata e sperimentata in uno spazio della natura, ma all’interno della Biennale ha preso quasi un altro significato, marcando con più forza il concetto di ‘artificialità’. Il punto è che abbiamo trascurato le nostre radici naturali e tutto ciò che tocchiamo diventa artificiale . Ho voluto comunque mettere la terra e invitare il pubblico a camminarci sopra a piedi nudi. Mi chiedo, in quante occasioni ci mettiamo a piedi nudi per sentire la terra ed entriamo in contatto con lei? Questa mia opera ha molto di mediterraneo, sicuramente perchè io sono un’artista che vive e lavora in quest’area e la cultura a cui appartengo mi rappresenta».

L’ultima opera che trascina il pubblico in un diverso scenario spazio-temporale è Cove (2007/2015), di Alexander Ducan (1985, UK). Massi e sassi di varie dimensioni prendono possesso di una parte della sala, ammassati in bella vista come se si trattasse di preziosi monumenti celebrativi del paesaggio costiero. Apparentemente frammenti di scogliere levigate dal mare, restituiti dalla marea per ornare le coste; in realtà si tratta di schiuma di poliuretano usata per le imbarcazioni, creata dall’uomo e consumata dal mare. «Il mio lavoro ha un’immediata connessione con il mediterraneo perché i 10, 000 pezzi in mostra erano collocati nella zona sud del Galles e c’è possibilità che siano arrivati lì spinti dalla correnti. Cove è un’opera globale nello stesso modo in cui il poliuretano è un materiale globalmente usato nell’industria navale e che poi si trasforma in spiagge rocciose, portando con sé una nuova forma simbolo di un processo violento di erosione. Il Mar Mediterraneo è in questo momento territorio di scontri mai visti prima, questo mio lavoro è fatto da materiali a metà scelti in luoghi a metà ma che collegano tutti i luoghi. Quindi l’opera collega linee di costa, oceani e acque diverse andando oltre ciò che è ” vostro”, “mio” o “nostro”».

Alexander Duncan,   Cove,   2007-2015,   sculpture,   polyurethane and polystyrene foam,   variable dimensions                    Courtesy Biennale Mediterranea 17 – the artist
Alexander Duncan, Cove, 2007-2015, sculpture, polyurethane and polystyrene foam, variable dimensions Courtesy Biennale Mediterranea 17 – the artist

Ramia Beladel (1987, Marocco) offre al pubblico della Biennale una suggestione sul cibo, che si rivela invece simulacro per discutere di sapere. Un video dal titolo The Sieve (2013), in cui una donna setaccia della farina in una doppia immagine specchiata in se stessa; Ramia richiama alla tradizione e alle usanze del paese d’origine e trasforma questo potenziale cibo in un pretesto per parlare di cultura che soddisfa la mente e sazia la curiosità, ma fino a che punto può essere consumata? E cosa è culturalmente commestibile e cosa invece non lo è? «Alla Biennale ho presentato un video che si interroga sulla cultura come punto fermo all’interno di uno scambio, non importa poi quale sia l’aspetto della cosa consumata: cibo, idee o altro ancora. La cultura sta lì, ferma, e in senso antropologico ci nutre. Ho scelto questo lavoro per molte ragioni, la prima è che l’uso del setaccio è comune nelle zone del Mediterraneo e questa attività quotidiana è una metafora per creare un legame intimo tra queste località, raccogliendone differenze e somiglianze».

L’antica tradizione e l’innovazione tecnologica sono alla centro della ricerca artistica di Andriana Nikolaidou (1991, Cipro), artista che chiude gli interventi dell’intervista a più voci. Il titolo dell’opera è The stories behind (2015) ed è il frutto di una ricerca dettagliata che Andriana ha condotto all’interno del Cultural Center of Bank of Cyprus analizzando la collezione di denari dal VI sec. a.C. ad oggi. Le monete riprodotte, con avanzate e sofisticate tecnologie, si impadroniscono della parete, alcune direttamente applicate a decorazione sul muro, altre visibili attraverso tablet appesi come quadri ad incorniciare parte di vere e proprie costellazioni. È proprio questa la storia che c’è dietro, la cultura di Cipro che si svela attraverso questi piccolissimi oggetti che richiamano alla mente storia e mitologia: «Esplorare la storia è nutrimento per la mente, una finestra sul mondo, un’insegnamento. L’artista ha bisogno della guida del passato per raggiungere un traguardo ma nello stesso tempo deve saper creare un collegamento con il presente. Il senso del lavoro si basa proprio sul significato e il valore dell’arte, esaminando come la storia può essere tracciata da piccoli oggetti che portano con sé il peso della cultura. Illuminare il lavoro a sbalzo, e decodificare l’iconografia delle monete con immagini digitali, aiuta ad entrare in un mondo di narrazioni mitologiche, attraverso la loro delicatezza e la storia che rappresentano. L’esplorazione visiva dell’oro crea una similitudine poetica con le costellazioni che sono associate alla mitologia greca. In questo modo la parete ospita monete-costellazioni di cui viene interpretata l’iconologia attraverso le storie del mito greco che i profili incisi suggeriscono. Il pubblico può così ammirare la collezione di monete, osservare le costellazioni e immaginare il mito dietro il muro stellato e l’opera esprime un tentativo intellettuale di rivivere la tradizione attraverso la creazione di nuove connessioni storico-culturali».

Gli artisti della XVII edizione di Mediterranea hanno esplorato gli ambienti, li hanno trasformati, mettendo in discussione ogni aspetto culturale, sociale, politico ed economico delle terre di appartenenza. Le opere dimostrano una spiccata apertura creativa: stimolano il dialogo, la convivenza, lo scambio reciproco di tradizioni e punti di vista. C’è tempo fino al 22 novembre, dunque, per farsi coinvolgere in una lunga passeggiata in tutta Europa senza mai cambiare posto.

Ivana Radovanovic,   The Hollow Men,   2011-2014,   installation,   industrial and natural materials,   jute,   straw and soil,   variable dimensions Courtesy Biennale Mediterranea 17 – the artist
Ivana Radovanovic, The Hollow Men, 2011-2014, installation, industrial and natural materials, jute, straw and soil, variable dimensions Courtesy Biennale Mediterranea 17 – the artist
Andriana Nikolaidou,   The stories behind,   2015,   installation,   perspex,   clay,   plaster and high-resolution photos,   variable dimensions Courtesy Biennale Mediterranea 17 – the artist
Andriana Nikolaidou, The stories behind, 2015, installation, perspex, clay, plaster and high-resolution photos, variable dimensions Courtesy Biennale Mediterranea 17 – the artist