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La vivacità delle ultime cose | Viviane Sassen alla Collezione Maramotti

Con una sensibilità rarissima, è come se  Viviane Sassen ci fischiettasse un "Requiem aeternam”: con delle “forme” espressive apparentemente leggere, trovate per caso, ci racconta la caducità di tutte le cose, la loro inesorabile vacuità. 
Viviane Sassen Belladonna 2010 c-print 100 x 125 cm © Viviane Sassen Courtesy of the artist and Stevenson (Cape Town, Johannesburg, Amsterdam)

La belladonna è una pianta che cresce nelle radure di querceti e delle faggete, su suoli per lo più argillosi e freschi. Il suo nome, Atropa Belladonna, deriva da Atropos – una delle tre Parche che recidevano il filo della vita – a ricordare che l’ingestione delle bacche di questa pianta causa la morte. Nello specifico, ‘belladonna’ è un epiteto nato in età rinascimentale: le donne la usavano come collirio per far sembrare gli occhi più grandi e luminosi grazie all’effetto di dilatazione della pupilla

Una foto esposta alla Collezione Maramotti, nell’attuale mostra di Viviane Sassen, This Body Made of Stardust, mi ha ricordato la storia affascinante di questa pianta mortale: Sassen ha dato come titolo Belladonna a una fotografia del 2010, parte di una serie più vasta, Parasomnia. Lo scatto immortala un corpo abbandonato in una posa che ricorda i corpi senza vita delle Deposizioni o le tante Pietà che costellano la storia dell’arte. Dal forte impatto ieratico, questa foto racconta di un corpo senza vita, abbracciato a un lenzuolo bianco, stropicciato e scandito sia dall’ombra di alcuni fili, sia da un panneggio che sembra accidentale, ma le cui pieghe ritmano l’immagine dandole una forte drammaticità. 
Teatrale nella sua casualità, intensa nella composizione, questa immagine sembra racchiudere il titolo stesso della serie, Parasomnia – una categoria di disturbi del sonno caratterizzati da comportamenti, emozioni, percezioni e sogni anomali – dando così intensità alla mortalità intrinseca alla Belladonna: velenosa e letale. 

Parto da qui per sondare il percorso espositivo – aleatorio, giocoso ed imprevedibile – che circoscrive un tema vastissimo e ingombrante: quella della finitezza, della mortalità e con essa i tanti significati che ‘polvere siamo e polvere ritorneremo’ porta con sé. 
This Body Made of Stardust, racconta proprio dell’aspetto effimero e limitato dell’esistenza, grazie alla capacità di Sassen di toccare metaforicamente simboli e significati che appunto danno voce alla consapevolezza dell’essere umano dei suoi limiti fisici, mentali, emotivi e sociali. 
Polvere, fiori, piante, buchi, accumuli di sassi ma anche di immondizia, corpi avvolti da ‘sudari’ metallizzati, carta che brucia: le tante ‘metafore’ fotografate da Sassen, sono opposte a tutto ciò che è duraturo, permanente e stabile, le idee che ci sollecitano questi elementi sembrano ricordarci, con una certa insistenza, la labilità della nostra esistenza, il nostro essere transitori. 
Con una sensibilità rarissima, è come se  Sassen ci fischiettasse un “Requiem aeternam”: con delle “forme” espressive apparentemente leggere, quasi dimesse, trovate per caso, ci racconta la caducità di tutte le cose, la loro inesorabile vacuità. 
In mostra c’è una serie di opere che esprimono alla perfezione questa ‘apparente’ leggerezza, i Cadavre Exquis
Il titolo presumo sia mutuato dal gioco collettivo surrealista, realizzato per la prima volta nel 1925, a Parigi. Consiste nel far comporre una frase da più persone, senza che nessuna possa conoscere l’intervento dell’altra. Il nome del gioco deriva dalla prima frase che fu ottenuta: le cadavre exquis boira le vin nouveau («il cadavere squisito berrà il vino nuovo»). 

Viviane Sassen This Body Made of Stardust veduta di mostra / Collezione Maramotti, Reggio Emilia Opere di: Viviane Sassen, TARWUK © the artists Courtesy Collezione Maramotti Ph. Dario Lasagni

Anche Sassen, rovistando tra le sue molteplici identità espressive, compone dei collage fotografici dove, al posto delle frasi di surrealistica memoria, compone una congerie di immagini disparate e antitetiche: pezzi di sculture classiche con bidoni di plastica, parti di volti incastrati tra fiori appassiti e sacchi informi, iguane intrecciate con corpi attorcigliati di donne o uomini-larva che sembrano trasformarsi in strane foglie. L’ambiguità delle forme, lo slittamento continuo di una cosa sull’altra, lo stesso taglio netto delle silhouette dei collage rende queste opere metafore di una continua e imperitura trasformazione, come se l’unica soluzione per scongiurare la ‘fine’ sia quella di diventare qualcos’altro. 
La stessa tecnica fotografica della Sassen sembra corroborare questa continua trasformazione: la fotografia si contamina con la pittura, con il collage, con la stessa scultura. Da sottolineare che molte delle fotografie mostrano composizioni che l’artista ha ideato modificando la realtà ad hoc, per ottenere quell’ambiguità tanto fruttuosa di significati.
Anche dove isola un preciso soggetto, si pensi alla fotografia Hannibal, la Sassen rende tutto misterioso scegliendo uno sfondo nero e piatto per far risaltare il nascondimento di una scultura sotto un telo verde marino, stretto con un laccio bianco. 

Come contrappunto, l’artista dissemina per tutto il percorso espositivo delle fotografie di sculture classiche: pezzi di mani su sfondo nero, ingrandimenti di organi genitali maschili con interventi di colori vivaci, sculture di spalle nei cui buchi interviene con pennellate, o la grande fotografia che immortala una statua avvinghiata con corde annodate, catene e moschettoni. Quest’ultima immagine, dal significativo titolo Menhir, sembra farsi metafora dell’uomo contemporaneo, avvitato, aggrovigliato, stretto da lacci e lacciuoli per preservarsi come unità e non disgregarsi negli infiniti stimoli e sollecitazioni della realtà quotidiana. Da notare che Menhir (dal bretone men e hir “pietra lunga”) sono dei megaliti monolitici, eretti solitamente durante il Neolitico che potevano raggiungere anche più di venti metri di altezza. Sassen associa una statua classica con un concetto antichissimo, per restituirci la visione di un essere umano in rovina, a pezzi.

Anche dove compare l’essere umano, pensiamo all’opera Belladonna sopracitata, o le fotografie Etan /chalk, Sister e Inhale, i corpi o sono stesi o abbandonati dalle forze, o nell’atto di cadere o dipinti, diventando così degli spettri. Anche le ombre, con tutto l’apporto simbolico che il loro utilizzo implica, diventano forme che ritagliano, dividono, disgregano i corpi o li moltiplicano facendoli diventare altro. 

Scrive Marco Scotini nel testo La “Tanatografia” paradossale di Viviane Sassen (testo nel catalogo della mostra – Dario Cimorelli Editore): “Ogni fotografia di Sassen sembra l’effetto dell’ interruzione di un’azione di cui sono stati smarriti i presupposti o di cui abbiamo perso le coordinate. Grazie alle testimonianze di Sassen rispetto alla sua infanzia africana, sappiano che si tratta del ricordo di un arresto. Dell’interruzione radicale di una continuità, di un passaggio nell’aldilà atemporale dell’immagine. Per questo motivo le foto di This Body Made of Stardust, ci lasciano disorientati”.  

Cover: Viviane Sassen Cadavre Exquis #19 2025 collage su carta © Viviane Sassen Courtesy of the artist and Stevenson (Cape Town, Johannesburg, Amsterdam)

Viviane Sassen This Body Made of Stardust veduta di mostra / Collezione Maramotti, Reggio Emilia Opere di: Viviane Sassen, TARWUK © the artists Courtesy Collezione Maramotti Ph. Dario Lasagni
Viviane Sassen This Body Made of Stardust veduta di mostra / Collezione Maramotti, Reggio Emilia Opere di: Viviane Sassen, TARWUK © the artists Courtesy Collezione Maramotti Ph. Dario Lasagni
Viviane Sassen Polyporus Badius 2017
150 x 200 cm c-print © Viviane Sassen Courtesy of the artist and Stevenson (Cape Town, Johannesburg, Amsterdam)
Viviane Sassen Three Kings (revisited) 2018 vernice posca su c-print 65 x 80 cm © Viviane Sassen Courtesy of the artist and Stevenson (Cape Town, Johannesburg, Amsterdam)
Viviane Sassen This Body Made of Stardust veduta di mostra / Collezione Maramotti, Reggio Emilia Opere di: Viviane Sassen, TARWUK © the artists Courtesy Collezione Maramotti Ph. Dario Lasagni
Viviane Sassen This Body Made of Stardust veduta di mostra / Collezione Maramotti, Reggio Emilia Opere di: Viviane Sassen, TARWUK © the artists Courtesy Collezione Maramotti Ph. Dario Lasagni