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— VISIONI — Riflessioni su arte e sordità

Sara Benaglia e Mauro Zanchi in conversazione con Chiara Manzoni Mauro Zanchi / Sara Benaglia: Qualche giorno fa ti ho inviato un’immagine dell’artista Christine Sun Kim, che tu mi hai fatto conoscere, mentre fa un dito medio ad una targa che porta il nome di Alexander Graham Bell, l’inventore del telefono e teorico radicale della […]

Gonzague PRIVAT, L’abbé de l’Épée instruisant ses élèves en présence de Louis XVI (1875)
L’Epée, Charles-Michel de, 1712-1789.

Sara Benaglia e Mauro Zanchi in conversazione con Chiara Manzoni

Mauro Zanchi / Sara Benaglia: Qualche giorno fa ti ho inviato un’immagine dell’artista Christine Sun Kim, che tu mi hai fatto conoscere, mentre fa un dito medio ad una targa che porta il nome di Alexander Graham Bell, l’inventore del telefono e teorico radicale della formazione oralista dei sordi. Perché attribuire al linguaggio verbale una purezza?

Chiara Manzoni: Quella foto è provocatoria e potente. Esprime tanto perché c’è dietro tutta la storia della sordità, in particolare negli Stati Uniti. Si può essere d’accordo o meno, ma Christine con quel gesto ha lanciato un messaggio che è quello di tanti sordi segnanti. La comunità sorda non è mai stata favorevole ad una formazione oralista, perché si sente una vera e propria comunità. Esiste dietro a tutto questo anche una nuova identità, soprattutto negli Stati Uniti: l’identità sorda (si veda a proposito: Enrico Dolza, Sordità: disabilità o identità?, Marola 2017). Bell era un noto inventore, ma in pochi sanno che aveva la madre e la moglie sorde, e che era assolutamente contrario non solo alla Lingua dei Segni, ma anche al matrimonio tra persone sorde. Egli era un radicale del percorso oralista. Ha una storia controversa, ma a volte abbiamo bisogno di personaggi come Bell, capaci di cambiare la storia, di fare indignare e di smuovere le acque.

MZ/SB: Perché non hai rifiutato una formazione oralista? In che modo credi sarebbe cambiato il tuo rapporto con il mondo se avessi scelto quella opzione?

CM: Non ho rifiutato la formazione oralista, ma spontaneamente ho scelto quel percorso. O meglio è stata una scelta dei miei genitori, che sono udenti. Superata la fase di smarrimento iniziale alla diagnosi della mia sordità, si sono rivolti a degli specialisti e hanno optato di seguire il metodo di Adriana De Filippis Cippone, una dottoressa che ha rivoluzionato la logopedia italiana e che era favorevole al percorso oralista per le persone sorde. Se avessi frequentato l’Istituto per i Sordi anziché le scuole pubbliche classiche forse non starei rispondendo a queste domande, ma vi avrei videochiamato! Ad essere sincera non saprei cosa sarei diventata. La verità è che il percorso educativo, scolastico e culturale di una persona sorda dipende in gran parte dall’influenza familiare. Se avessi avuto entrambi o anche solo un genitore sordo, avrei dovuto molto probabilmente comunicare con essi in Lingua dei Segni e sarei diventata bilingue. Alla LIS mi sono avvicinata da adulta, come un qualsiasi udente che impara una lingua nuova. Il mio principale intento era di aiutare i tanti clienti sordi segnanti che incontravo al lavoro, affinché potessero comunicare meglio con me e con i miei colleghi udenti.

MZ/SB: Qual’è lo scarto tra LIS e linguaggio parlato?

CM: La Lingua dei Segni è molto diversa da quella parlata, perché in essa si usa il segno come modalità espressiva secondo parametri sia manuali che non: configurazione della mano, spazio, movimento, orientamento, sguardo, espressione facciale, labializzazione, busto. La struttura sintattica non segue la frase dell’italiano scritto (che altrimenti diventerebbe italiano segnato): è più sintetica, con una sua autonomia molto visiva ed espressiva. Non usa il suono emesso dalla voce, per cui ci si affida al canale visivo gestuale. La LIS essendo molto espressiva, visiva, spesso riesce ad arrivare dove la lingua parlata e scritta fatica a giungere, perché il messaggio trasmesso dalla Lingua dei Segni viene espresso tramite il corpo e percepito dalla vista. Per esempio il tono della voce in LIS viene sostituito dall’espressione del volto. La LIS ha un limite di tipo sociale e integrativo: se una persona sorda sceglie un percorso prevalentemente segnante, poi fa a fatica ad integrarsi nel mondo degli udenti, ad avere una buona vita sociale, difficilmente riesce a trovare un buon lavoro, anche perché oltre alle difficoltà nel parlare, potrebbe avere anche difficoltà a leggere e scrivere normalmente. Certo ci sono le eccezioni. Io stessa, cresciuta con il metodo oralista, faticavo, quando ho iniziato a studiare la Lingua dei Segni, ad integrarmi ed accettare questa lingua. Dentro di me la rifiutavo. Solo recentemente ho capito che non dovevo mischiare le due cose, sono due lingue diverse, con una vita propria e vanno prese come tali.

MZ/SB: Perché in questo momento storico la LIS sta emergendo nelle televisioni e nell’arte?

CM: Penso che accada perché la Lingua dei Segni, soprattutto in Italia, è ancora poco conosciuta, diffusa, riconosciuta e la persona udente rimane affascinata dalla ricchezza espressiva della LIS. Per quanto riguarda l’interpretazione di opere d’arte in LIS, penso che sia interessante il suo uso, perché la LIS è in grado di arrivare dove la parola scritta e parlata non riescono. Spero che questa attenzione verso la LIS sia l’inizio di un percorso concreto e costruttivo, in cui le persone sorde segnanti possano avere una loro autonomia e che porti in Italia al riconoscimento legale della loro lingua principale. Qualcosa si sta muovendo: dagli interpreti in LIS delle canzoni del Festival di Sanremo 2020, ai molti eventi culturali e artistici dotati di interpreti e mediatori in LIS, alle piattaforme in streaming più o meno note, che proiettano reality, film e documentari sulla vita dei sordi segnanti, ai romanzi di successo come La straniera (2019) di Claudia Durastanti, scrittrice figlia di genitori sordi, e Malintesi (2019) del francese Bertrand Leclair, che ha una figlia sorda. Le stesse piattaforme social diventano un ottimo veicolo per avere visibilità, anche se viviamo in un mondo audiocentrico, e chi non ha “voce” fa fatica ad emergere.
Sulla mancata diffusione della Lingua dei Segni si è ben espresso lo storico Jonathan Rée, che ha concluso l’articolo Deaf nationalism (2005) scrivendo: “La cosa che più gli ha impedito di diventare come le lingue parlate è che non hanno mai avuto un sistema di scrittura usato in modo diffuso…”. Christine Sun Kim durante un intervento TED nel 2015 ha paragonato l’American Sign Language alla musica: entrambi non sono facilmente trasmissibili su carta e sono altamente spaziali e modulati, mentre esistono sfumature sottili che possono cambiare l’intero significato sia dei segni sia dei suoni.

MZ/SB: Lomogeneità linguistica è un link a ideologia nazionalista, di genere e al rapporto tra verbo e capitale. A quale tipo di violenza pura si oppone chi decide di adoperare nella vita solo la LIS?

CM: Io penso semplicemente che conoscere poche lingue non è mai un vantaggio. Per questo penso che conoscere solo la Lingua dei Segni sia un limite. Si tratta, però, di scelte molto personali: ogni persona sorda, insieme alla sua famiglia, è libera di scegliere il percorso più idoneo. Anche se molto spesso, come racconta Bertrand Leclair nel libro Malintesi, i desideri del figlio, specie quando cresce e acquisisce consapevolezza di sé, non sempre coincidono con quelli dei propri genitori. Esistono tanti sordi che hanno intrapreso inizialmente un percorso oralista, ma che una volta scoperta la LIS, in età adulta, si sono sentiti rinascere attraverso una lingua che sentivano loro, più adatta, più personale. Oppure al contrario esistono sordi che una volta operati per avere l’impianto cocleare, o che hanno solo cambiato apparecchi acustici, sentendo meglio optano per un percorso oralista. Ad oggi, comunque, sono sempre meno le persone sorde che decidono di intraprendere un percorso esclusivamente in LIS, anche come conseguenza della maggiore diffusione dell’impianto cocleare. In questo percorso non andrebbe trascurato il supporto psicologico ai genitori, sia sordi che udenti, che spesso si trovano impreparati nell’accompagnare il figlio sordo nel percorso educativo, riabilitativo e scolastico.

Martha’s Vineyard Sign Language, via New England Historical Society
Deaf President Now (DPN)-protests at Gallaudet University
Francois Truffaut, Il ragazzo selvaggio (1970)

MZ/SB: C’è una componente razziale/dispregiativa nei risultati del Congresso Internazionale per il miglioramento della sorte dei Sordomuti, tenutosi a Milano nel 1880, che decretò la messa al bando della LIS?

CM: L’intento secondo me era positivo: quello di far integrare meglio i sordi nel mondo degli udenti. Anche perché in quegli anni l’Italia era famosa per le sue scuole oraliste, che erano tra le migliori in Europa. L’errore semmai è stato il modo in cui è stato applicato e soprattutto il fatto di non “ascoltare” la voce dei sordi segnanti: perché impedire loro di segnare se si trovavano meglio con questa lingua? Dopo questa messa al bando chi cercava di segnare o di esprimersi a gesti a scuola veniva punito, e la Lingua dei Segni fu costretta alla clandestinità. Si tratta di polemiche controverse, generate da due fazioni, due modelli educativi, che invece di collaborare si contrappongono. Esse sono responsabili del rallentamento nella diffusione della Lingua dei Segni in Italia, che ancora oggi fatica a trovare il suo spazio.

MZ/SB: Tu interpreti opere d’arte in LIS. Che tipo di dibattiti ha suscitato nella comunità di sordi questa tua pratica?

CM: Mi sono avvicinata a questa pratica un po’ per caso, un po’ per curiosità. Sono quasi due anni che lavoro insieme ad altri mediatori e professionisti, sia sordi che udenti, e la risposta in termini di partecipazione della comunità sorda segnante rimane, a mio avviso, ancora molto timida. Nel corso del Convegno “Patrimonio artistico e persone sorde: obiettivi e percorsi per l’accessibilità e la partecipazione” (The Blank Contemporary Art, 15 Novembre 2019) sono state introdotte statistiche che dimostrano che la comunità segnante sorda preferisce di gran lunga andare a visitare mostre d’arte con un mediatore sordo segnante madrelingua, anziché con un interprete LIS udente. Io continuerò a interpretare opere d’arte in LIS anche se le risposte sono talvolta tiepide e timide. L’arte, soprattutto quella contemporanea, è in grado di trasmettere messaggi potenti a chiunque. A livello personale è un’esperienza che mi arricchisce: tramite la LIS ho scoperto nuovi modi di comprendere l’arte, di immedesimarmi e di avere un rapporto profondo con l’opera che sto interpretando. È un metodo che si avvicina alla musica, alla danza, alla performance. È una comunicazione meno imparziale di un testo scritto o parlato. Ho letto recentemente un articolo di Franco Buffoni sulla scrittura di George Steiner, linguista e traduttore recentemente scomparso, in cui scriveva che “… tradurre poesia non solo non poteva ridursi al trasferimento delle parole di una lingua in quelle equivalenti di un’altra lingua: poteva presuppone da parte del traduttore la volontà di rivivere latto creativo che aveva ispirato loriginale. Prima di essere un esercizio formale, la traduzione era unesperienza esistenziale…”. Io penso lo stesso della LIS. Le potenzialità espressive della mediazione dell’arte in LIS sono enormi: ad esempio per esprimere concetti artistici c’è spesso l’esigenza di creare dei neologismi in Lingua dei Segni, per cui occorre uno sforzo di analisi, partecipazione, confronto e dialogo quasi quotidiano.

I dipartimenti educativi di diversi Musei di arte italiani e stranieri hanno l’occasione di proporre interessanti percorsi didattici per le persone sorde, segnanti o non. In Italia c’è chi lo sta già facendo, come il MAMbo di Bologna, il Castello di Rivoli di Torino, il Museo Benozzo Gozzoli di Castelfiorentino e la GAMeC di Bergamo, tramite LISten Project (https://www.theblank.it/listen-project/), un progetto di accessibilità dell’associazione The Blank. Sono sperimentazioni che possono sfruttare la spiccata propensione della persona sorda, sia segnante che oralista, verso l’immagine visiva, coinvolgendo sia la comunità sorda che quella udente, privilegiando la comunicazione “preferita” delle persone sorde (di fatto capovolgendo il mondo), in cui le persone udenti si devono adattare, come fossero in territorio straniero. Penso che sia un buon modello educativo, a maggiore ragione se si parte dalla curiosità dei bambini.

MZ/SB: LAbbé de L’Épée, filantropo la cui finalità era salvare dalla dannazione eterna i sordi, insegnava loro la parola divina. La creazione dellIstituto per giovani sordi a Parigi viene fatta coincidere con la nascita della sordità in Europa. Questo racconto pare una summa di incongruenze.

CM: Mi viene da pensare che sia il destino delle persone sorde. Dimenticate e considerate quasi “persone di Serie B”. Ancora oggi, nell’inconscio di molte persone, anche apparentemente intelligenti, esiste il pregiudizio che le persone sorde siano meno capaci, ignoranti e non affidabili. Basti pensare alle difficoltà a scuola e nel mondo del lavoro che una persona sorda deve affrontare oggi in tempi di pandemia, con l’obbligo di indossare le mascherine, che impediscono la lettura delle labbra. Quest’ultimo ostacolo, per esempio, mi ha costretto a cambiare mansione lavorativa. L’Istituto di Parigi storicamente ha il merito di aver restituito dignità alle persone sorde. Ha fatto da apripista in Europa, seguito dal presbitero ed educatore Tommaso Silvestri, che ha fondato una scuola analoga, ossia l’Istituto Statale per i Sordi a Roma. In America poi è nata la famosa università Gallaudet, punto di riferimento della comunità sorda nel mondo. Si conosce poco la storia dei sordi e quello che ha fatto l’abate Charles-Michel de l’Épée, che incontrò, intorno all’anno 1760, due gemelle sorde e si dedicò alla loro educazione, adattandosi al loro modo di comunicare. Il suo è un modello positivo di avvicinamento del mondo degli udenti verso la comunità sorda. Francois Truffaut ha voluto girare proprio in questa scuola il film Il Ragazzo Selvaggio, che racconta la storia vera di un bambino catturato nella foresta e il tentativo praticamente inutile di un medico di reinserirlo nella società.

MZ/SB: Le persone sorde rappresentano una minoranza linguistica?

CM: Le persone sorde più che una minoranza linguistica, sono una minoranza, lo dice la scienza, lo dicono i numeri. Abbiamo un deficit sensoriale, anche se visivamente nascosto. Piuttosto si dà per scontato che la persona sorda conosca la Lingua dei Segni. In pochi sanno che esistono diversi tipi di sordità: i sordi oralisti, che non conoscono la LIS e che parlano e scrivono senza problemi, leggono prevalentemente le labbra e svolgono una vita da “finti udenti” (io, per esempio, mi sento una persona diversamente udente); i sordi bilingue, che conoscono sia il linguaggio parlato scritto e orale che la Lingua dei Segni; i sordi segnanti, che sono senza dubbio una minoranza linguistica. Ci sono anche i sordastri, che hanno un tipo di sordità meno grave, ma che hanno comunque un deficit uditivo. Sono degli ipoudenti, che riescono a sentire e parlare.
C’è molta superficialità, confusione e ignoranza sul tema da parte delle persone udenti, ma anche da parte degli stessi sordi. Scientificamente, tecnicamente e culturalmente poche persone, comprese quelle che lavorano in campo medico e educativo, sono veramente preparate sul tema.

Christine Sun Kim, Performance Face opera II, Calder Foundation, NYC, 11 maggio 2013
Christine Sun Kim, Soundings, Charcoal and Pen on Paper (2013)
Christine dito medio alla targa di Bell

MZ/SB: Che cosa è l’impianto cocleare? In che modo esso risponde o rifiuta un modello di omologazione identitaria?

CM: Nella prima puntata del documentario di Netflix Deaf U durante una festa di ragazzi sordi americani, studenti della Gallaudet University, un ragazzo ruba per scherzo l’apparecchio dell’impianto cocleare a un suo amico e si mette a ballare, contento. Poi lo restituisce, torna serio e non balla più. L’impianto cocleare è un orecchio artificiale elettronico in grado di ripristinare la percezione uditiva nelle persone con sordità profonda. È utilizzato quando gli apparecchi acustici non ottengono il risultato sperato. Quindi non è un apparecchio acustico che amplifica i suoni, ma un vero e proprio orecchio artificiale, che ha il pregio di permettere alla persona sorda profonda, dopo un lungo percorso di riabilitazione, di sentire i suoni. Le statistiche hanno dimostrato che le persone sorde che decidono di operarsi per avere l’impianto cocleare scelgono un percorso oralista, forti del fatto che riescono a recepire meglio i suoni e sono favoriti nell’apprendimento del linguaggio orale e scritto, per cui raramente decidono di intraprendere il percorso della Lingua dei Segni, anche se qualcuno sceglie ugualmente un percorso bilingue. Penso che le risposte arrivino da sole: chi sente meno si rifugia nella Lingua dei Segni, chi sente meglio sceglie con più facilità il percorso oralista. Nello stesso tempo è anche vero che il cervello dell’essere umano è un muscolo plastico e in grado di compensare un deficit sensoriale, come la sordità, che però è di tanti livelli (il perfetto e assoluto silenzio non esiste), attraverso il potenziamento dei rimanenti sensi come quello visivo, tattile e olfattivo.

MZ/SB: Ascolti musica?

CM: Certo. E non potrei farne a meno. Nonostante la mia ipoacusia neurosensoriale grave-profonda ho avuto una educazione sana verso la musica, da autodidatta, come tantissimi miei coetanei udenti. La mia storia personale non è molto diversa da molti ragazzi che hanno la fortuna di avere dei genitori, o anche dei nonni, con una casa piena di vinili. Ne ho un ricordo così vivido che conosco a memoria le loro copertine. Da piccola facevo finta di cantare, ero molto stonata ma, nonostante questo, non vedevo l’ora di andare a lezioni di musicoterapia dalla professoressa Giulia Cremaschi Trovesi. Quelle lezioni sono state decisive nell’avvicinarmi alla musica, o più in generale al suono. Mi hanno aiutata ad ascoltare attraverso le vibrazioni, a capire l’associazione tra suono e strumento. Quando ho iniziato le scuole medie ho intrapreso corsi di pianoforte e da adolescente ho preso lezioni di batteria. In questo modo scoprii che sentire il ritmo era più semplice che ascoltare la melodia. Inoltre ero ossessionata dai videoclip, mi piaceva guardarli: associavo la musica alle immagini in movimento. Ho attraversato due fasi della mia vita: la prima, dall’età di tre anni agli anni dell’università, in cui portavo apparecchi acustici analogici, i quali riproducono e amplificano i segnali dell’ambiente senza ridurli né filtrarli, con cui sentivo prevalentemente alti e bassi. Nella seconda fase ho adottato degli apparecchi acustici digitali che mi permettevano di sentire una pluralità di suoni e diverse sfumature, per cui ho cominciato ad apprezzare un tipo di musica sperimentale più sofisticata. Oggi ascolto ancora tantissima musica, vado a concerti, e ho apparecchi acustici digitali, che amplificano e trasmettono solo i segnali significativi. Sul cellulare ho una applicazione che durante i concerti è in grado di isolarmi dai rumori di sottofondo e di farmi captare meglio i suoni degli strumenti musicali che stanno suonando live. Durante l’ascolto delle canzoni difficilmente, ancora oggi, riconosco la voce, ma se non riconosco i testi delle canzoni, esistono tantissime applicazioni che mi traducono in contemporanea il testo, come fosse un sottotitolo, o una sorta di karaoke istantaneo. L’artista Christine Sun Kim per esprimersi ha scelto, nonostante sia sorda profonda, di diventare una sperimentatrice del campo del suono. Si è riappropriata di qualcosa che sembrava esclusivo degli udenti. Nel 2013 alla Calder Foundation di New York ha eseguito Face Opera ii, in cui ha diretto un coro di persone, chiedendo ai suoi elementi di interpretare differenti emozioni: paura, ansia, eccitazione, senza emettere suoni. Il risultato è stato una composizione armonica di emozioni espresse attraverso gesti e movimenti.

MZ/SB: Cosa senti (nella doppia accezione del senso “sentire”) con lo sguardo?

CM: Per darvi una risposta esauriente dovrei mandarvi un video e esprimermi in Lingua dei Segni. È molto complicato da spiegare a parole: sono esperienze che vanno vissute. Per esempio, provate a guardare un film senza audio e osservate con attenzione tutto. È proprio quello che stanno indagando con il loro lavoro artisti come Christine Sun Kim e Bill Viola. I nostri occhi, il nostro sguardo diventano di fatto i sostituti delle nostre orecchie, del nostro udito. Sentiamo quello che vediamo. Sia consapevolmente che inconsapevolmente. Ci riappropriamo di un determinato suono in base alla reazione delle altre persone. Se in cucina cade una pentola, voi sentite il fracasso, noi “vediamo” la reazione delle persone al fracasso, e lo associamo a quel rumore. Quindi se cade qualcosa, se sbatte forte una porta e non lo sentiamo, lo capiamo dalla reazione di una persona. Oppure osservando un animale. Il gatto reagisce ai rumori muovendo le orecchie, per cui se mi suonano il campanello e non lo sento, osservando la reazione delle orecchie del mio gatto (e quindi se e solo se in quel momento sto guardando il mio gatto) so che ha suonato qualcuno. In mancanza di una terza persona, di un supporto, di un aiuto, sono isolata nel mio mondo senza suoni. 

MZ+SB: Hai mai provato a sentire a occhi chiusi un’opera d’arte? Quando si è costretti a supplire un senso con un altro si acuisce qualcosa nella coscienza o nella percezione?

CM: È un tema che mi ha sempre affascinato, quello di mettermi nei panni di chi non vede, o di chi fa fatica a camminare. Mi è capitato per lavoro di incontrare persone cieche o ipovedenti, e mi ha aiutato a normalizzare la mia situazione, a cercare di non rendere troppo speciale o esclusiva la mia condizione di sorda. È il rischio delle persone disabili, quello di sentirsi speciali, eccezionali. Per molti l’identità sorda è una presa di coscienza, qualcosa che li tocca nell’orgoglio. Ma è anche un modo per sentirsi vivi, per vivere. Nel mio caso è più percettivo, mi sento come tutti gli esseri umani, sono abituata sia in famiglia sia nella società a frequentare persone udenti, e non ho mai ragionato in termini di identità sorda. Ultimamente ho frequentato la comunità sorda: è composta per la maggior parte da persone generose, disponibili, entusiaste, che hanno fame di sapere, di conoscere, ed è qualcosa che raramente trovo negli udenti, più pacificati, meno ansiosi nella conoscenza verso l’altro. Ho provato a pensare come percepisco l’opera d’arte senza vederla. La associo più al ricordo, ai pensieri e a sensazioni elaborate in un momento specifico, ma penso che sia anche qualcosa che, come dite voi, si acuisce sia nella coscienza (rispetto al trascorso personale e culturale) sia nella percezione. La percezione della persona sorda è sicuramente più limitata riguardo al suono: se assisto a una istallazione sonora o a un video, difficilmente mi ricordo di quel suono, di quella canzone, di un nastro registrato etc., ma se devo ricordarmi una fotografia, una scultura, una tela, un disegno, allora la mia percezione non è molto diversa da quella di una persona udente, forse solo potrei essere più attenta ai dettagli, proprio per la mia abitudine a vedere, ad osservare.

MZ/SB: Cosa rappresenta per te un approccio sinestetico?

CM: Due opere di arte contemporanea per me sono molto significative: Hypothesis di Philippe Parreno e Les Archives du Coeur di Christian Boltanski. In entrambe le opere c’è il suono. Nell’opera di Parreno, che avevo visitato in Pirelli HangarBicocca, i suoni erano associati alle luci dell’installazione. Les Archives du Coeur di Christian Boltanski è una stanza buia in cui si sente il battito del suo cuore e di quello di altre persone, visitatori che volontariamente potevano registrare il proprio battito. Il ritmo del battito era mostrato visivamente da lampadine che si accendevano e spegnevano. In entrambi i lavori la potenza espressiva è stata di grande impatto per me. Le luci mi hanno aiutato a comprendere e “vedere” il suono. Per la persona udente penso sia stato un momento di rara riflessione.

Christian Boltanski, Les Archives du Coeur, Teshima Island
Philippe Parreno – Hypothesis – veduta della mostra presso HangarBicocca, Milano 2015 – Courtesy of the Artist; Pilar Corrias Gallery; Gladstone Gallery; Esther Schipper; Fondazione HangarBicocca, Milano – photo © Andrea Rossetti
Bill Viola, The Quintet of Remembrance (2000)

Chiara Manzoni (1979) vive e lavora a Bergamo. Sorda dalla nascita, ha intrapreso un percorso riabilitativo oralista seguendo il metodo De Filippis a Milano. Architetto e giornalista pubblicista. Ha collaborato con diversi studi di architettura, con l’Eco di Bergamo e ha svolto ricerca per il Politecnico di Milano, per il quale scrive saggi e pubblicazioni. Oggi lavora per una importante azienda tecnologica e collabora come mediatrice culturale LIS con The Blank di Bergamo.


Per leggere le altre interviste della rubrica — Visioni —

Chiara interpreta in LIS l’opera Alchemie (2012) di Anselm Kiefer in Pirelli Hangar Bicocca, (2019)