Fino al 27 gennaio, allo Yellow Space di Varese, è in corso la mostra personale di Valentina D’Amaro, artista recentemente nominata tra i 108 pittori più interessanti degli ultimi anni nel mondo da un team di esperti internazionali e pubblicata in VITAMIN P3 New Perspectives in Painting di Phaidon. Vi presentiamo la mostra attraverso i testi dei due curatori della mostra Andrea Lacarpia e Rossella Moratto.
VIRIDIS di Andrea Lacarpia
Nel rapportarsi con l’ambiente esterno, l’uomo si muove contraddittoriamente tra desiderio manipolatorio e necessità contemplativa, polarità opposte che possono trovare accordo nelle manifestazioni dello spirito come l’arte e il mito. Attraverso l’azione si trasforma il mondo esterno e attraverso l’osservazione si sviluppa una maggiore coscienza della realtà, in qualche modo facendosi trasformare da essa.
Nella figura dell’eroe, la mitologia rappresenta il processo interiore che, grazie al fato o all’irrompere del dubbio morale, trasforma la superbia in volontà trascendente, accordo di azione e riflessione.
La Bhagavadg?t?, testo sacro indiano tra i più importanti e noti, descrive tale processo attraverso il dialogo tra l’eroe guerriero Arjuna e la manifestazione del dio Krishna, in cui Krishna insegna ad Arjuna l’azione disinteressata, nella quale l’agire umano può liberarsi dall’ego per divenire contemplazione.
K?ishna si manifesta affinché gli uomini lo imitino, e così si descrive: “Padroneggiando la mia natura cosmica, io emetto sempre di nuovo tutto questo insieme di esseri, loro malgrado e grazie al potere della mia natura. E gli atti non mi legano, Arjuna; come qualcuno, seduto, si disinteressa di un affare, così io rimango senza attaccamento per i miei atti.”
La coscienza individuale si fonde con la realtà circostante e l’azione si compie come atto trascendente in cui si manifesta la volontà cosmica: contemplazione nell’azione. Nella filosofia del 1900, una concezione similare può essere quella dell’attualismo di Giovanni Gentile, in cui il fulcro dell’esistenza è fusione di soggetto e oggetto nell’atto puro o pensiero pensante. Ma prima di Gentile, sul finire del 1700, è Novalis a descrivere con maggiore enfasi poetica la contemplazione come forza creatrice della natura stessa, equiparando pensiero e realtà: i pensieri diventano cose e le cose pensieri. La natura è un progetto in cui lo spirito dell’uomo partecipa alla funzione creatrice. Nelle varie fasi storiche l’arte ha assunto diverse forme, tra le quali è però costante la valenza magico – spirituale, presente dalle incisioni rupestri ad alcune esperienze dell’arte contemporanea, in cui l’opera ha il potere di influire sulla realtà trasformandola. In quanto elemento che lega pensiero e fisicità materiale, il segno produce realtà e contribuisce al divenire della natura. Il potere creatore del pensiero e dell’arte, potenzialmente illimitato, è limitato dall’ego, forza antitetica rispetto allo spirito.
Come indicato da Gustavo Rol, importante figura spirituale vissuta nel 1900, liberandosi dall’ego l’uomo può finalmente compiere prodigi, atti straordinari in cui ad agire è quello che Rol chiama spirito intelligente. La dimensione dello spirito intelligente, in cui l’intera realtà è connessa, è associata da Rol al verde, colore che nello spettro della luce si situa nel mezzo e che in esso occupa la porzione più vasta.
Pur essendo un colore distensivo, il verde diviene ponte tra potenzialità e realizzazione, attivatore di una sorprendente forza germinale che lega lo spirito alla materia. Insieme al paesaggio, il verde è protagonista delle opere di Valentina D’Amaro, calibrato in frequenze cromatiche che agevolano l’immersione in una dimensione magica in cui il tempo è sospeso. Il paesaggio diviene epifania di un mondo interiore che, per essere contemplato, si riflette nell’aria, nell’acqua e nei boschi, andando a formare con essi un unico organismo. Equilibrio e meraviglia si uniscono in una ricerca pittorica in cui convergono innumerevoli interessi filosofici e spirituali, espressione contemporanea di un approccio metafisico alla pratica artistica.
Testo di Rossella Moratto
I paesaggi di Valentina D’Amaro sono in apparenza familiari: rappresentano campagne, prati, boschi, colline e specchi d’acqua. Ma, a un’osservazione più attenta, questi panorami disabitati si rivelano inusuali, talvolta incongrui: lo spunto realistico, presente in fase iniziale, subisce un processo di elaborazione formale, viene liberato dal dettaglio accidentale e sintetizzato in una rappresentazione icastica, irriducibile allo spunto originario. Non è pittura di paesaggio ma, al contrario, il paesaggio è una metafora che rimanda ad altro da sé. Infatti, nella fissità della veduta si esprime una tensione latente, un senso di perenne attesa come se, da un momento all’altro, qualcosa di imminente sia in procinto di accadere. Questa sottile vibrazione, sulla soglia del percettibile, è data dal colore che manifesta la sua energia tutta interna al quadro, entrando in risonanza, come un diapason, con la nostra coscienza profonda, facendola risuonare armonicamente attraverso lo sguardo. L’affrancamento dal contingente rivela la sostanza: l’immagine, sospesa e atemporale, è la rappresentazione del lato visibile dell’invisibile e aspira alla rivelazione, al sublime. Il quadro assume quindi il valore di un’icona e, come nelle raffigurazioni devozionali, il piacere sensibile del colore e della pittura diventa il tramite per l’esperienza di un livello di coscienza più profondo, attraverso la contemplazione.
La scelta di insistere sul medesimo soggetto, il paesaggio, è motivata dal suo essere parte dell’esperienza quotidiana e dall’idea della profonda unione uomo-natura. La sua raffigurazione, nella sintesi delle sue variazioni fenomeniche, assume la valenza di un modello iconografico che, in quanto tale, permette a D’Amaro di sperimentare liberamente le infinite possibilità cromatiche del colore dominante, il verde, vero protagonista della sua pittura. Prediletto per le sue valenze simboliche e la sua estesa gamma di tonalità, è il colore della natura che si rigenera, ne esprime la vitalità interna che, imprigionata nell’immagine, diventa un campo di forza in azione che cattura l’attenzione dello sguardo. Come l’oro nelle icone sacre, il verde è il colore-tramite che ha un rapporto diretto con la dimensione metafisica e la sua energia corrisponde a gradi sempre maggiori di visibilità: la tecnica di stesura procede dall’abbozzo attraverso diverse stratificazioni, dall’oscurità alla luce, ognuna delle quali è più luminosa della precedente, definendo – e rivelando – gradualmente l’immagine. Questa, in virtù dell’energia che la anima, crea le condizioni per un’osservazione contemplativa, che, come accade di fronte a uno specchio, ribalta lo sguardo verso l’interiorità permettendo così di andare oltre al dato visivo. Un esercizio che oggi sembra desueto, lontano e precluso a molti, poiché procede in direzione contraria all’abituale percezione distratta indotta dalla velocità del flusso delle immagini mediatiche. È una pittura intima che chiede un’osservazione scevra da pregiudizi e recupera un’aurea che restituisce all’arte una forma di sacralità laica estranea allo scetticismo contemporaneo.