Una riflessione di Giovanni Kronenberg
Rudolf Stingel è un artista che mi piace moltissimo. Sebbene alcune sue tematiche ricorrenti siano chiare e leggibili nella mia mente trovo che abbia sempre una dimensione di “non detto anche nel detto” che sia distante e inarrivabile, linguisticamente parlando: qualcosa non torna mai completamente e questo è sempre il miglior punto di partenza per parlare di un’opera.
Immagine, pittura, decorazione, sublimazione dell’immagine, sublimazione della pittura, sublimazione della decorazione, sublimazione della decorazione nell’ architettura, sublimazione della pittura nella decorazione, sublimazione della pittura nell’immagine e via dicendo. Al cubo, al quadrato. Ho letto alcune cose sulla mostra e trovo personalmente stucchevole e pesantemente forzato il voler inserire discorsi sull’ Oriente e sulla storia dei tappeti (anche il catalogo a mio avviso si dilunga troppo sull’ argomento); mi sembra un espediente, un “problematizzare un falso”; credo che il punto sia altrove, non vedo contaminazioni storiche-sociali, mi rendo conto che la città è Venezia, ma mi sembra quasi una riduzione “da turista”. Il punto per me è altrove e si chiama Richter.
Arrivo al dunque: mi chiedo se sposta l’asticella di Richter, non dico necessariamente in alto, ma se la sposta, cosa che sarebbe già di per se titanico, credo e credevo ipertroficamente irrealizzabile. A me è sempre apparso un suo figlio illegittimo; parte da lì (Da dove? Richter ha un punto di partenza/arrivo?), ma poi ipertestualizza il rebus pittura-decorazione, esce, fuori-esce e deborda in questa occasione, su tutto Palazzo Grassi, con un tappeto seriale cromaticamente morbido per i suoi quadri meccanicamente perfetti e grigi. I soggetti perlopiù rimangono in secondo piano, primi piani di statue di santi, amici artisti defunti, monocromi, reti metalliche o motivi decorativi di carte da parati; il punto sta ovviamente nella resa pittorica, che letteralmente non c’è, sparisce, si contrae fino alla riproduzione. Ri-prodotta su ri-produzione, aggiungerei.
Senza mezzi termini, consiglio caldamente di visitare questa mostra, per me è una delle mostre più interessanti degli ultimi anni, una di quelle che mi ha posto più domande e interrogativi. A cui non arrivo in fondo, a cui arrivo in fondo ma cambiando idea, a cui spero di non arrivare in fondo, mai con la stessa idea.
Cerchiamo forse qualcosa di più da una mostra?