«Frutto di incrocio fa terre[moto] e [meridi]one; come “mangiatore di terra” parallelamente a polentone, mangia polenta “italiano del nord”; come “persona dal colore scuro della pelle, simile alla terra”; o, ancora, come “originario di terre soggette a terremoti” (terre matte, terre ballerine)».
Il titolo della mostra lascia basiti, TERRONE. Questa parola, conosciutissima e utilizzata con intenzioni dispregiative, sembra un affronto, una sfida. L’artista svizzero con origini italiane Ugo Rondinone, non ha avuto nessuna remora nello sceglierla, per presentare una serie di lavori che, con questa parola, hanno uno stretto legame. Intenzionato a “cambiare di segno” ad un parola che probabilmente ha afflitto alcuni suoi parenti originari di un piccolo paesino vicino a Matera, Rondinone sembra sceglierla proprio per il suo senso originario: l’essere legato ad un territorio, alla proprie origini.
La mostra si apre con dei lavori monumentali installati nel cortile della GAM: delle grandi sculture che fanno parte della serie Olive trees. “La fusione di un ulivo di 2000 anni è un ricordo del tempo condensato” spiega l’artista. “Attraverso la fusione di un ulivo, lo scorrere del tempo può essere profondamente vissuto, congelato nel suo stato effimero. Il tempo diventa un’astrazione vivente, mostrando come la figura di un ulivo secolare sia plasmata dall’accumulo del tempo e dalle forze dell’aria, dell’acqua, del vento e del fuoco.” Imponenti e spettrali, queste grandi sculture dominano con i loro lunghi rami lo spazio del cortile. In Italia la loro prima apparizione è avvenuta a Venezia nel 2007, quando l’artista ha rappresentato la Conferenza Elvetica alla 52a Biennale d’Arte. Allora davanti alla Chiesa di San Stae, ora antistanti alla GAM, gli Olive Trees, grazie al loro bianco gessoso che ricopre la fusione di alluminio di veri alberi di cui l’artista ha fatto il calco, raccontano delle terre lucane, di un tempo immutabile e mitico, diventando un monumento alla memoria e al vissuto che, visti i mutamenti, ha l’ambizione se non di bloccarlo almeno di esaltarne la decadente bellezza.
Da questa dimensione ‘romantica’, la mostra si sviluppa in quella che è forse l’opera cardine dell’intero progetto, The Large Alphabet of My Mothers and Fathers (2024), installata nella Sala da Ballo della Galleria, in stretto dialogo con Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo (1901).


La curatrice Caroline Corbetta racconta lo stupore e la meraviglia di Rondinone quando ha visto per la prima l’imponente opera di Segantini. La riproduzione del quadro l’artista la ricorda a casa dei genitori emigrati in Svizzera, accanto alla fotografia del Papa Giovanni Paolo II. L’artista, prima dell’invito alla mostra a Milano, non aveva mai visto il «più grande manifesto che il proletariato italiano possa vantare fra l’Otto e il Novecento» – così lo definì lo stesso Pellizza. Da qui l’indescrivibile stupore che ha fatto scattare in Rondinone, un’autentica empatia non solo per il grande dipinto ma per lo stesso progetto alla GAM. “Quando ho visto il quadro, ho avuto la sensazione di vedere i miei genitori, e più in generale, la povera gente costretta ad emigrare per trovare fortuna in un altro luogo”.
“Grazie a questa mostra sono riuscito a portare a Milano una serie di opere che definirei ‘classiche’ perchè toccano i tipici generi della storia dell’arte: paesaggio, nudo e natura morta” spiega l’artista. Ed è proprio The Large Alphabet of My Mothers and Fathers che può essere considerato una ‘natura morta’. L’installazione è composta da decine di utensili agricoli trovati da Rondinone a Long Island, luogo da lui frequentato e che, ha scoperto, essere una zona che negli anni ’20 del secolo scorso, era la meta di moltissimi migranti provenienti dal sud Italia. In questa zona a un’ora da NY, l’artista ha recuperato gli attrezzi che i lavoratori, per lo più contadini, utilizzavano per lavorare la terra o compiere una lunga serie di umili attività. Pensando ai suoi genitori, anch’essi migranti, l’artista ha pensato a questa grande installazione dove oggetti poveri che grazie alla foglia d’oro che li ricopre, sono stati sublimati a icone del duro lavoro. L’artista aveva già iniziato quest’opera prima di pensarla per la mostra a Milano, ma dopo aver visto la grande opere di Pellizza, non ha avuto dubbi che sarebbe stato il luogo ideale per ultimarla ed esporla in una mostra. “Ho voluto utilizzare attrezzi arrugginiti ricoprendoli d’oro per nobilitare non solo gli oggetti, ma soprattutto le persone che li hanno utilizzati e il luogo dove li ho recuperati, a Long Island” spiega l’artista.
Installato davanti al Quarto Stato, The Large Alphabet of My Mothers and Fathers sembra raccogliere gli attrezzi che il calmo e sereno popolo che avanza speranzoso immortalato da Pellizza, ha riposto per andare a manifestare per i propri diritti.


In merito alle sue origini, Rondinone racconta che con suo marito John Giorno ha viaggiato nelle zone vicino a Matera, in particolare ad Aliano, un piccolissimo comune italiano di 838 anime, luogo di origine della famiglia materna di Giorno . Aliano è noto per essere il luogo d’ambientazione del romanzo Cristo si è fermato a Eboli dello scrittore Carlo Levi. Rondinone ha vaghi ricordi di quando da bambino suo padre lo portava a Matera e nei luoghi legati alle sue origini, come la casa di famiglia o ciò che ne rimaneva.
La terza serie di opere i Nudes, sono dei calchi di cera trasparente e terre provenienti dai sette continenti, da qui il colore diverso dei vari arti. I fragili corpi nudi – “una nudità non sessuale ma sensuale” – seduti, rilassati, alcuni afflosciati su se stessi, sono i calchi che l’artista ha fatto di alcuni ballerini di un corpo di ballo di Basilea. Rondinone racconta che per realizzarli ha dovuto compiere più sedute, essendo impossibile fare un calco del copro completo in tali posizioni. Da qui i corpi a pezzi, dove gli arti e il busto solo tenuti assume da perni. La sensazione è quella di guardare dei burattini fatti in modo realistico in scala 1:1, a cui sono stati tagliati i fili. Spezzata la tensione con il mondo, i corpi restano inermi, a riposo, sopiti in un triste torpore. Come se l’artista avesse voluto compiere un temporaneo rallentamento – che giunge alla stasi completa – delle normali attività dell’organismo, con diminuzione della prontezza dei movimenti, con l’eliminazione di ogni coinvolgimento con la realtà. Monumenti all’immobilità, diventano un monito per l’uomo contemporaneo, impegnato insensatamente, a una imperitura e velocissima corsa verso non si bene la direzione e la finalità.
“Per molti versi, la nudità di questi corpi è coperta dal colore della terra, cangiante a seconda della loro provenienza. Anche le teste, coperte da queste piccole cuffie, altro non sono che degli elementi coprenti utili alla realizzazioni dei calchi. La scultura vuole essere sincera come può.”
Attraversando le sale della GAM si nota una particolare atmosfera. L’artista ci svela che è intervenuto anche nella luce degli ambienti. “Ho voluto applicare dei filtri colorati sui vetri delle finestre; per molti versi filtrare la luce, rallenta l’atmosfera, rende irreale. La dimensione che volevo ottenere è quella del sogno. Il titolo dell’istallazione è When the Sun goes down, the moon goes up”.

