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Andrea Magnani e Zoe De Luca nel 2014 hanno creato a Milano un progetto intitolato Siliqoon, che organizza mostre, invita artisti a prendere parte a residenze dove produrre lavori con il supporto di diverse aziende per essere esposti poi in un evento finale, dà vita ad incontri aperti al pubblico in cui partecipano artisti emergenti e non per spiegare il proprio lavoro, esporre loro opere, esibirsi in performance, presentare nuovi progetti… Insomma l’attività del progetto è molto varia, mentre le residenze hanno visto la partecipazione di artisti come Alessandro Agudio, Antoine Renard, Derek Di Fabio, Colin Foster tra gli altri.
Gli incontri aperti al pubblico prendono invece il nome di Trigger Parties e hanno sede presso gli spazi di Marsèlleria in via Privata Rezia 2. Qui senza curatori, critici, comunicati stampa e “filtri” (almeno sulla carta) hanno sede momenti di confronto, analisi, esposizione di artisti. Per ora i Trigger Parties sono stati 5, con la partecipazione di Riccardo Baruzzi, Enrico Boccioletti, Benni Bosetto, Andrea De Stefani, Marco Gobbi, Namsal Siedlecki (TP 1); Lisa Dalfino, Derek Di Fabio, Andrea Romano, Colin Foster, Maria Gorodeckaya, Anna Solal (TP 2); Marco Basta, Alessandro Di Pietro, Valerio Nicolai, Margherita Raso, Luca Trevisani, Alessandro Vizzini (TP 3); Alessandro Agudio, Martina Bassi, Giovanni Copelli, Sara Enrico, Lorenza Longhi, Davide Savorani (TP 4); Costanza Candeloro, Francesca Ferreri, Anna Franceschini, Lucia Leuci, Nicola Martini ft. Nicola Ratti, Riccardo Sala (TP 5).
Il prossimo evento è previsto per stasera con un Trigger Party #6 – Design Week special edition, a cui parteciperanno Monia Ben Hamouda, Michele Gabriele, Gionata Gatto, Fernando Laposse e Luca Pozzi, mentre dalle 19.30 Stefano Caggiano presenterà una lettura dal titolo “Awaking Objects – Bob Wilson’s unfrozen images and the distribute interface”.
Di seguito l’intervista ad Andrea Magnani.
ATP. Sono cinque gli appuntamenti che hanno dato vita a Trigger Parties: degli happening a cadenza mensile con la finalità di innescare un discorso pubblico intorno al lavoro dell’artista. Dopo questi cinque appuntamenti, per tirare un po’ le somme, come ha risposto il pubblico? Quale è stata la sua reazione?
Andrea Magnani: L’esigenza dei Trigger Parties è emersa lentamente dalle conversazioni fatte in questi ultimi anni con artisti e addetti ai lavori della scena artistica milanese. Notando insieme una carenza sistemica di discorso pubblico intorno alle opere abbiamo lavorato da subito con Marsèlleria per dare una risposta a questa necessità, ideando un formato in grado di agire da innesco. Come un predicatore nel deserto che invece di parlare innaffia.
Quando si parla di con un format non tradizionale bisogna sempre tenere conto che il pubblico e gli artisti stessi hanno bisogno di tempo per acquisire dimestichezza: in questi primi appuntamenti abbiamo notato come la mancanza di punti di riferimento (non è una conferenza, una mostra, una performance, un workshop), l’atmosfera informale e il tempo breve ma dilatato abbiano indotto il pubblico ad avvicinarsi alle opere e agli artisti stessi con una curiosità diversa. La partecipazione a livello quantitativo è stata buona; certamente è possibile migliorare in termini di interazione ed apertura, coinvolgendo anche personalità attive in altri ambiti della cultura o provenienti da altri campi di interesse, come la scienza o lo sport.
ATP: Il progetto ha ospitato tantissimi artisti, anche molto diversi tra loro. Penso alla ricerca di Derek Di Fabio in opposto a quella di Nicola Martini, Benni Bosetto con quella di Sara Enrico ecc. Su che base sono stati selezionati gli artisti?
AM: Pura contingenza. Come dichiarato, l’approccio curatoriale è rappresentato dalla sua stessa assenza; non volevamo assolutamente forzare una serie di percorsi associativi, attraverso una selezione mirata di un gruppo o di un assortimento specifico di artisti. Al contrario, ci preme che tali considerazioni siano lasciate al pubblico, senza imporre all’origine nessuna chiave di lettura.
ATP: Ci sono state delle serate particolarmente riuscite, dove c’è stata una vivace interazione tra artisti e pubblico?
AM: Ogni serata si è emancipata in maniera spontanea, in base ai diversi contenuti e alle reazioni che ne sono scaturite. Non sappiamo come si configurerà ogni incontro ed è un po’ come quando i bambini prima di giocare concordano insieme le regole. Tra le interazioni più interessanti c’è la prima conversazione legata alle tematiche dell’antropocene avviata da Andrea De Stefani, quella sul nuoto come metafora della prassi artistica condivisa da Sara Enrico e Alessandro Agudio, o la storia del ritaglio di tessuto in libera uscita dal caveau della collezione di tessuti antichi della Fondazione Ratti Pour une seule nuit di Margherita Raso.
ATP: Una delle caratteristiche del progetto è quella di chiedere agli artisti di ‘raccontare’ la loro (opere) pratiche in modo molto libero e personale. Mi racconti brevemente degli esempi di proposte che vi hanno stupito o che hanno innescato, per originalità, delle reazioni ‘forti’ tra il pubblico?
AM: A questo proposito, tra i primi ricordi c’è l’intervento di Davide Savorani: un performer celato tra il pubblico, che ad un certo punto della serata ha iniziato a sbottare sempre più violentemente, arrivando ad urlare, quasi in preda ad un tenero attacco di panico “Basta! Baaasssta… daaai basta!” collocando il pubblico, in special modo durante i primi secondi, nel bilico tra realtà e rappresentazione. Interessante anche l’intervento di Maria Gorodckaya in cui durante una lettura intima, quasi umida, ha guidato l’attenzione del pubblico verso le proprie unghie appena rifatte, riempiendole di gusto. Da citare anche il tableau vivant per i cocktail rosa di Lorenza Longhi o le focacce scultura di Marco Gobbi, entrambi presi d’assalto.
ATP: È stato sottolineato, fin dall’inizio la volontà di non avere né critica né tanto meno curatori, per proporre progetti “senza testi, senza filtri”. Perché questa scelta?
AM: L’intento è quello di esporre gli artisti ad un’interazione diretta con il pubblico, senza fornire alcun sistema fruitivo preimpostato. Questo approccio è funzionale per dare inizio ad un coinvolgimento diretto e non mediato, dando il via ad un percorso associativo personale e ad un conseguente dibattito sui temi affiorati.
ATP: Dallo scorso settembre 2016, data di inizio dei (“Parties”) “Trigger” c’è stata un’evoluzione del progetto iniziale? Mi interessa sapere se, in corso d’opera, le serate, i progetti, le proposte degli artisti sono cambiare, adattandosi alla brevità del tempo di esposizione.
AM: Anche se non sapere cosa aspettarsi è parte integrante del progetto, abbiamo notato un’evoluzione costante degli approcci, sia da parte del pubblico che degli artisti. Ogni edizione sembra essere più giusta della precedente, stanno tutti prendendo confidenza con il format, tarando i propri interventi a favore dell’intreccio e le finalità dei TP. Inoltre è stuzzicante osservare come, in corso d’opera, i contributi trovino una collocazione autonoma nel contesto – che sembra connotarsi sempre più come un salotto.
ATP: Quale sarà il prossimo appuntamento? Che artisti sono stati selezionati?
AM: Per il 5 Aprile in Marsellèria stiamo lavorando ad un’edizione speciale in occasione della Design Week. Abbiamo pensato fosse l’occasione giusta per gettare un ponte tra arte e design, universi tangenti ma purtroppo spesso impermeabili. Alcuni dei nomi confermati sono i designer Gionata Gatto, Fernando Laposse, gli artisti Michele Gabriele, Luca Pozzi, Monia Ben Hamouda e il teorico Stefano Caggiano con una lecture dal titolo “Il risveglio degli oggetti. Le immagini scongelate di Bob Wilson e l’interfaccia distribuita”.