Lontana dal ‘sistema’ emerge la figura di Goran Trbuljak.
Uomo sulla sessantina, distinto ma alla mano, gentile nel rivolgersi al pubblico, non necessariamente esperto, e disponibile al dialogo con chiunque volesse porgli una domanda. L’idea che mi sono fatta osservandolo e? che la propensione a raccontare la propria opera derivi dall’esperienza nell’insegnamento e dalla volonta? di liberare il messaggio dalla forma, per renderlo accessibile. L’opera di Trbuljak e? per certi versi ermetica. Caratteri di stampa che suggeriscono messaggi intuibili ma non pienamente decifrabili, giochi di lettere, sovrapposizioni, ribaltamenti di prospettiva e utilizzo di strumenti codificati. Il filo conduttore della sua opera e? l’imposizione del sistema e la negazione dello stesso.
Il mio incontro con Trbuljak e? avvenuto alla Galleria P420 in un momento precedente all’inaugurazione della mostra, lontano dalla folla. Dalle prime chiacchere emerge un uomo attento sia nell’osservare cio? che gli sta attorno, che nell’ascoltare cio? che gli viene detto.
Dopo aver discusso degli avvenimenti artistici in atto a Bologna in occasione di Arte Fiera 2014, gli chiedo se gli andasse di raccontarmi le opere esposte, cosi? da poter sentire direttamente dall’artista cio? che lo ha mosso alla creazione e cio? che, secondo la sua opinione, e? stato recepito dal pubblico. Il suo racconto e? rapido e preciso, il messaggio, sebbene nascosto dalla forma, e? chiaro e lo ribadisce dicendomi che l’intento principale e? quello di imporre il suo nome, esponendolo.
Cambia il medium, ma il principio e? lo stesso anche nel caso della fotografia, la sua immagine viene raccontata, non nel modo in cui appare, o a tutti gli effetti e?, ma nella maniera secondo la quale Trbuljak crede di essere percepito, lo scrive lui stesso “grandi occhi e cervello vuoto”.
Ma e? nel raccontare delle Monografie che Trbuljak si fa trovare maggiormente appassionato. Esamina i passaggi che ne definiscono i cambiamenti, dalla volonta? di mostrare solo la propria opera, che lo porta a nascondere ogni parte di testo fino a coprire tutta la superfice, alla necessita? di utilizzare carta di qualsiasi provenienza, a moltiplicare le copie di queste monografie in una sorta di gesto rituale. Segue il passaggio al bianco e nero con l’indicazione della griglia tipografica d’inserimento delle immagini, appuntando solo la data e il numero dell’opera. Le immagini scelte dall’artista appartengono esclusivamente agli anni ’70, perche? lui stesso dice “these are pieces they want the most at the moment”. Il ciclo esposto, che Trbuljak definisce “divided in three steps”, si chiude con le monografie a colori, che mostrano la sola copertina.
Appare visibilmente coinvolto nella narrazione dell’opera, sostenendo sul finire: “there are artist, younger than me, that already have their own monograph. I didn’t have one, so I started to draw a book model…until I will have a real one. The one, after thousands.”
Cio? che maggiormente ha colpito la mia attenzione in questo incontro, e? l’acuta ironia dell’artista, che riconosce il sistema, e comprende di non potersene tirare fuori, ma che lo esorcizza utilizzando gli strumenti che il sistema stesso gli mette a disposizione, riportando l’opera e la sua poetica al centro del meccanismo, in una forma di riconoscimento che e? tipica del Sistema.
Testo di Federica Colle