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Tornare a Parigi in questa fine 2015 è qualcosa di diverso, diverso è visitare alcune mostre. Senza l’intenzione di stilare una priority list è forse possibile immaginare una mappa riflessiva tra le molte opportunità che la città offre, in una connessione diversa con la sua attualità.
La mostra di Julien Prévieux, Prix Marcel Duchamp 2014 allestito nel Centre Pompidou (fino al 1 febbraio 2016), è una proposta inaspettata che appare ancora più incisiva e critica nei giorni odierni. Mostra contenuta ma ben calcolata e quasi magica, si costruisce tra forme e calcoli, tra sculture e video, in una penombra carica di energia. Il progetto è il risultato di un flusso d’interrogazioni rivolte al mondo dell’economia, del lavoro e della politica attraverso l’analisi dei dispositivi di controllo, della tecnologia e del marketing. Tema centrale è però la registrazione dei movimenti, a partire da quelli che sorvegliano i nostri flussi e posizioni per arrivare a quelli che l’arte sa trasformare in potenziali estetici e formali, capaci di eludere ed alterare in profondità le loro finalità. Come nel bellissimo video Patterns of Life che trasforma in luce e danza gli schemi che vorrebbero decifrare e schematizzare l’attività umana. Julien Prévieux dimostra attraverso il suo lavoro, meritato e attualizzato premio Duchamp, che ogni gesto registrato, al pari di uno sguardo, inconsapevole come furtivo, atletico come infantile, può divenire un’opera d’arte.
Nel Palais de Tokyo, 22.000 metri quadri d’arte contemporanea tra i più visitati nel mondo, (e forse, anche per questo, qualche volta tra i più deludenti di Parigi), la mostra Ugo Rondinone, I ? JOHN GIORNO è un’esperienza straordinaria capace di restituire, in un unico flusso, speranza, visionarietà, dolore e amore. Una mostra, di e a cura dell’artista Ugo Rondinone, che trasforma un’inaspettata retrospettiva in una dichiarazione d’amore di grande potenza e bellezza. Il soggetto è il ritratto del poeta John Giorno (1936, vive a New York) che dalla generazione Beat degli anni ’60 a oggi ha saputo costruire relazioni sperimentali tra militanza e misticismo, tra arte e letteratura, tra poesia e cinema. Divisa in otto capitoli è una costellazione di opere e di spazi nei quali incontriamo, accanto ai testi del poeta consegnati su fogli colorati da giovani sui pattini, alcuni fra i più significativi omaggi a John Giorno: dal film capolavoro Sleep (1963) di Andy Warhol al remake di Pierre Huyghe, da Rirkrit Tiravanija a Elizabeth Peyton, da Françoise Janicot a Verne Dawson, Billy Sullivan e Judith Eisler. Inizio e fine della mostra è il film che Ugo Rondinone dedica a Giorno mentre recita il suo poema del 2007 Thanks 4 nothing: una sala nella quale sostare lungamente.
Tornando al Centre Pompidou, se con bambini accolti da un immenso laboratorio di sabbia, si possono vedere, tra le molte attività, due altre mostre di particolare interesse. La prima è quella dedicata a Wifredo Lam (a cura di Catherine David, fino al 15 gennaio 2016) ottima occasione per scoprire un artista ancora poco conosciuto in Italia e in Europa ma che, con un anticipo di oltre 50 anni, rappresenta una molteplicità trans-culturale di impressionante attualità. Tra Cuba, l’America e l’Europa, l’opera di Lam trova in questa mostra, ricca e curata in ogni suo aspetto, un focus capace di restituire la modernità di un’artista che ha saputo attraversare con originalità e intuizione movimenti, avanguardie e guerre.
Al piano terra e nella terrazza del Pompidou è allestita invece la grande mostra di Dominique Gonzalez-Foerster (fino al 1 febbraio 2016) una suite labirintica di sale che ci trasportano in una dimensione temporanea e fuggitiva. Qui il cambiamento e l’instabilità, condizioni del presente, si percepiscono, come se si fosse sul set di un film di cui siamo in contemporanea attori e spettatori. Una perfetta regia di strutture e luci organizzate in una complessità semantica e formale riesce a trasportarci, tra leggerezza e sapienza, tra finzione e realtà, in un’azione narrata che solo apparentemente manca di continuità logica. Questa grande mostra di Gonzalez-Foester, certamente uno sforzo sostanzioso per strutture e budget, è forse l’occasione per riconoscere all’artista un percorso stratificato e labirintico dentro una precisa ricerca e poetica che, come nel titolo, 1887 – 2058 – è insieme retrospettiva e prospettiva. Perdersi al suo interno è parte del progetto, ma importante è darsi del tempo vedere, secondo una sequenza ben articolata, parte dell’opera video dell’artista.