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Tomaso Binga al Madre di Napoli: Il segno che si fa corpo,  voce e parola

La mostra raccoglie circa 120 opere di questa originale e poliedrica artista, per la cura puntuale e stimolante di Eva Fabbris in collaborazione con Daria Khan

Testo di Francesca Campli 

La voce, una voce che declama, elenca, gioca, squillante ad ogni sillaba: Tomaso Binga (pseudonimo di Bianca Pucciarelli Menna) ci accoglie così nelle sale della sua mostra personale al Museo Madre Donnaregina di Napoli. 
La sua voce risuona negli ambienti del terzo piano dell’edificio immergendo subito il visitatore nel mondo dell’artista che negli anni settanta del Novecento inizia il suo percorso scegliendosi uno pseudonimo maschile come ferma denuncia dei privilegi degli uomini anche in ambito culturale. Lavorando con una pratica che spazia dal disegno alla fotografia, dalla performance alla poesia visiva, senza tralasciare la ceramica e la mailing art, Binga si propone come una delle più complesse e originali rappresentanti del primo femminismo. Le sue azioni ed opere si mostrano come un inno alla libertà espressiva di valore sociale e culturale, ma sempre caratterizzate da atmosfere ironiche, ludiche e dai toni umoristici. 

Nei gesti del corpo, nei segni calligrafici delle sue opere, nei materiali da lei scelti, di volta in volta diversi e inusuali, emerge costante un desiderio di denuncia, riscatto, cambiamento. L’urgenza di stravolgimento e affermazione di un nuovo ruolo della donna nella società parte da un piano linguistico e semiotico: la sua Scrittura desemantizzata, è risultato di un gesto automatico che vediamo comparire prima sulle sue carte, poi su oggetti di uso comune privati della loro funzione originaria (Stringatoio; Abbassalingua; 1974), fino a diventare carta da parati di un’intera stanza, con mobili, vestito e borsetta (Io sono una carta, 1978, evoluzione dell’opera Carta da Parato, 1974). Un segno automatico che si fa linguaggio illeggibile pur tuttavia restituendo un forte valore espressivo e comunicativo.
Il segno però riflette anche un gesto ricco di fisicità e il corpo ben presto si pone al centro delle pratiche di Binga. Il corpo femminile che si muove, occupa lo spazio e si fa esso stesso forma espressiva, punto di partenza di un nuovo alfabeto dal quale partire per fare luce e dare corpo e nuovo senso al linguaggio. 

Ritratto di Tomaso Binga, mostra Playgraphies, Galleria La Cuba d’Oro, Roma, 2001- Courtesy Tomaso Binga, Archivio Tomaso Binga
Tomaso Binga, Bianca Menna e Tomaso Binga. Oggi Spose, 1977 – Courtesy Tomaso Binga, Archivio Tomaso Binga e Galleria Tiziana Di Caro
Euforia – Tomaso Binga, Installation view – Museo Madre, Napoli – Foto: Amedeo Benestante

L’ Alfabeto vocalico (1975, in collaborazione con la fotografa Verita Monselles) è il primo alfabeto che l’artista realizza con il suo corpo: sullo sfondo persistono i segni della sua scrittura asemantica che accolgono come una liquida superficie le fotografie del corpo nudo di Binga, in posizioni diverse a secondo della lettera interpretata. In questa Scrittura vivente le vocali hanno un valore centrale (e da questa sua predilezione per le parole panvocaliche esce fuori anche il titolo Euforia, una di queste) ed è evidenziata la loro natura femminile: “È come se il corpo femminile parlasse prima di emettere un suono, una situazione che si ripete più volte… le grida del parto, i grugniti che accompagnano il duro lavoro, le urla dell’orgasmo, tutte espressioni vocali. Le vocali sono lettere che liberano il corpo del significato semantico, riempiono il vuoto del silenzio, e al tempo stesso, riempiono il corpo di qualcosa di primordiale, una catarsi (Allison Grimaldi Donahue)”. Nel percorso della mostra sono molti gli Alfabeti realizzati dall’artista (Alfabeto Pop, Alfabeto murale -1976, Alfabeto monumentale –2022), giocano con il corpo, con le sue possibilità fisiche e linguistiche: è un linguaggio che nasce dalla carne stessa e si fa tributo al corpo femminile, proposta per una vera rivisitazione di “un sistema linguistico che storicamente ha escluso o messo a tacere la voce femminile”.

Binga mima con il corpo le diverse lettere e le sue posizioni sembrano quasi un suggerimento a piegarsi, torcersi, rannicchiarsi per cambiare così il proprio punto di osservazione su un mondo che spesso nasconde quello che è necessario vedere. Così le immagini apparentamenti banali di riviste e fotografie con corpi, gambe, mani che compiono gesti quotidiani, sono inserite in scatole di polistirolo, cercando una nuova cornice che le evidenzi e le valorizzi in un materiale simbolo di un mercato di consumo e di scarto che l’artista si propone di “riempire di senso” sfruttando le sue cavità e aperture. (I vantaggi della vista, Test per un critico, Tempo perduto, Risata Sardonica, sono alcuni dei Polistoroli esposti – 1971-72). 

Euforia – Tomaso Binga, Installation view – Museo Madre, Napoli – Foto: Amedeo Benestante
Euforia – Tomaso Binga, Installation view – Museo Madre, Napoli – Foto: Francesca Campli
Euforia – Tomaso Binga, Installation view – Museo Madre, Napoli – Foto: Amedeo Benestante

Nel 1977 le due identità dell’artista si riunificano attraverso una performance che è una delle più significative e simboliche da lei realizzate. Spose è raccontata in mostra da due fotografie che ritraggono l’artista sia come Tomaso Binga, rigorosamente in completo maschile, con tela bianca e macchina da scrivere al fianco (parodia dichiarata di Tommaso Marinetti), sia nello scatto affiancato di Bianca Menna in abito da sposa classico con uno sguardo dolce e posato. Le due “anime” si sono riunite in un gesto giocoso che dichiara l’affermazione conclusiva dell’identità femminile sul piano linguistico, artistico e giuridico.

In queste sale si trovano, infine, alcune opere che richiamano l’aspetto di collaborazione e scambio comunicativo che Binga ha sempre tenuto in gran conto. Spesso risultato di una corrispondenza quotidiana, reale o immaginata (Lacrime di sirena, 2017; Diario romano, 1895-1996; Ti scrivo solo di domenica, 1977-78) sono opere che rivalutano il mezzo epistolare come canale di dialogo specialmente femminile, in grado di rivelare ritratti intimi e riflessioni poetiche, ma anche stimolare una più immediata partecipazione emotiva in chi le legge. In queste opere la scrittura ovviamente torna ad essere leggibile, si mostra con una diversa ma sempre potente carica di denuncia e di richiamo, fino ad attivare -scegliendo tematiche più politiche e di urgenze sociali- dei veri “rituali condivisi” (Riflessioni a puntate, 1991).

Un’occasione preziosa la visita di questa mostra che raccoglie finalmente insieme circa 120 opere di questa originale e poliedrica artista, per la cura puntuale e stimolante di Eva Fabbris in collaborazione con Daria Khan (ancora visibile fino al 6 ottobre dopo un’ulteriore proroga). Il progetto di allestimento non è di secondaria importanza: seguendo una struttura ne cronologica, ne tematica, il collettivo di designer Rio Grande (Natascia Fenoglio, Lorenzo Cianchi, Francesco Valtolina), in dialogo continuo con l’artista e le curatrici, ha ideato un allestimento che riflette puntualmente l’indole giocosa, poliedrica, sempre poetica di Binga. Morbidi e dinamici tubi rosa attraversano lo spazio, scegliendo ogni volta lunghezze, curve e acrobazie diverse e ci guidano come un filo di Arianna da una stanza all’altra, ma lasciando sempre libera la scelta del ritmo e della direzione da prendere. Sembrano quasi richiamare il gesto spontaneo e libero della scrittura di Binga o la traccia di pastello con la quale crea in suoi paesaggi di forme e parole. Le opere si inseriscono, si affiancano, si sospendono in queste strutture che lasciano aperta ogni possibilità, sorprendendoci ad ogni soglia. Un po’ come negli anni ha fatto Tomaso Binga con la sua arte.

Cover: Euforia – Tomaso Binga, Installation view – Museo Madre, Napoli – Foto: Amedeo Benestante

Euforia – Tomaso Binga, Installation view – Museo Madre, Napoli – Foto: Francesca Campli
Euforia – Tomaso Binga, Installation view – Museo Madre, Napoli – Foto: Amedeo Benestante
Euforia – Tomaso Binga, Installation view – Museo Madre, Napoli – Foto: Amedeo Benestante
Euforia – Tomaso Binga, Installation view – Museo Madre, Napoli – Foto: Francesca Campli
Euforia – Tomaso Binga, Installation view – Museo Madre, Napoli – Foto: Francesca Campli
Euforia – Tomaso Binga, Deattaglio – Museo Madre, Napoli – Foto: Francesca Campli