Testo di Barbara Ruperti —
In occasione di Exhibi.To, la rassegna dedicata all’arte contemporanea della città di Torino, apre il quinto capitolo di Titolo, l’edito inedito, il progetto itinerante ideato da Francesco Carone e destinato a spazi “non giurisdizionali” che spingono le coordinate dell’arte oltre i confini del convenzionale contenitore espositivo.
Accostando tra loro le opere di 32 artisti differenti, Titolo indaga l’interpretazione estetica del libro quale oggetto fisico e culturale. Un tema azzeccato per la città di Torino che ad ottobre inaugurerà il consueto appuntamento autunnale del Salone del Libro.
Carone accoglie opere realizzate a partire da libri, giornali e riviste preesistenti sottoponendoli ad un processo di risemantizzazione che apre la strada a narrazioni inedite. Quando il progetto giungerà al decimo e ultimo capitolo, le opere verranno restituite ai rispettivi proprietari e al loro posto rimarrà solamente una mensola contenente le copie dei libri esposti.
Ormai a metà del suo viaggio, il quinto atto del progetto di Carone è ospitato tra le mura di Société Interludio, uno spazio indipendente dedicato all’arte, nato dal progetto della giovane Stefania Margiacchi.
Come per i precedenti capitoli, anche in questa sede il progetto assume un’identità e un titolo inediti: Etere, l’elemento che per gli antichi rappresentava la quintessenza dell’universo e che per Carone simboleggia la genesi di questa mostra, nata dalla corrispondenza a distanza tra lui e la curatrice Federica Maria Giallombardo.
Ed è questa sostanza cosmica che ci introduce all’opera di Carone: cinque cornici contenenti i frontespizi dei rispettivi capitoli del suo viaggio, immersi in una coltre densa e opaca che annebbia la vista. L’etere cosmico è palpabile e attraverso la sua evidenza atmosferica ci indica l’unica via d’accesso per chi decide di avventurarsi nella lettura.
Etere è anche la materia misteriosa e impenetrabile di cui è composto il testo critico che accompagna la mostra: un testo criptato ispirato ai codici medievali che la curatrice ha scritto appositamente per il quinto capitolo del progetto.
La seconda stanza si apre su di una complessa composizione in cui i volumi-opera di 32 artisti, tra cui Carone stesso, sono posizionati sulle pareti e a terra secondo un meticoloso schema di piani ortogonali.
Le opere si allacciano l’una all’altra in un continuo gioco di rimandi e significazioni, creando un fitto intreccio narrativo circolare e ininterrotto. Una struttura che ricorda quella descritta da Borges ne La Biblioteca di Babele: un edificio sconfinato che raccoglie tutte le combinazioni del Sapere e i loro contrari.
Quasi a fare da eco al racconto borgesiano, la prima opera che troviamo all’ingresso si intitola Epilogo e rappresenta lo snodo simbolico tra l’inizio e la fine della mostra. Si tratta dell’unico pezzo realizzato da Carone e si compone di una serie di volumi appoggiati a terra in fila indiana. Sono tutte le edizioni italiane di Moby Dick che l’artista ha raccolto nel corso degli anni per dare vita ad un lavoro in progress: una collezione soggetta ai continui aggiornamenti dell’industria editoriale e destinata ad espandersi nel tempo.
Quest’opera costituisce, insieme alle altre, un archivio vivo e inesauribile, il cui contenuto varia e dipende dalla manipolazione operata dall’artista unita a quella dei visitatori che, consultando i volumi, possono contribuire alla loro riorganizzazione, aprendo la strada a significati sempre diversi.
Fil rouge della mostra è la tensione verso l’altrove: un’attrazione intensa per tutto ciò che è irraggiungibile e ignoto, la stessa che fa da sfondo alle più grandi narrazioni letterarie e spinge gli eroi ad affrontare coraggiose avventure.
Tra gli scaffali di questa piccola biblioteca anche noi ci sentiamo proiettati verso un altrove: l’altrove della lettura, territorio etereo e misterioso in cui ci immergiamo ogni volta che apriamo la soglia di un libro e in cui cerchiamo, tra le parole e i pensieri scritti da altri, di dare un senso al mondo che ci circonda.
Fino al 14 novembre 2021
Testo critico e curatela di Federica Maria Giallombardo