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Theater of Learning, NABA Intervista con Marco Scotini

[nemus_slider id=”44590″] Nella serata di giovedì 18 giugno, dalle 21, negli spazi di NABA – Nuova Accademia di Belle Arti a Milano, si svolgerà “Theater of Learning”, a cura di Marco Scotini. Il progetto si sviluppa a partire dal linguaggio della performance e tende a ‘rivitalizzare’ – o meglio a riattualizzare – una serie di […]

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Nella serata di giovedì 18 giugno, dalle 21, negli spazi di NABA – Nuova Accademia di Belle Arti a Milano, si svolgerà “Theater of Learning”, a cura di Marco Scotini. Il progetto si sviluppa a partire dal linguaggio della performance e tende a ‘rivitalizzare’ – o meglio a riattualizzare – una serie di performance degli anni ’70. Il progetto si inserisce nel programma di iniziative e attivita?, espositive e laboratoriali, previste da NABA, Nuova Accademia di Belle Arti Milano, per Expo 2015. “Theatre of Learning” coinvolge oltre 200 studenti NABA che hanno lavorato alla realizzazione della performace sotto la guida e le istruzioni Joan Jonas, John Baldessari, Nanni Balestrini, Michelangelo Pistoletto, Yona Friedman, Piero Gilardi e Anna Maria Maiolino; artisti che saranno in parte presenti all’evento.

Elena Bordignon ha posto al curatore Marco Scotini alcune domande per capire a fondo il progetto e le sue potenzialità.

ATP: “Theatre of Learning” è incentrato sul re-enactment di un serie di performance degli anni Settanta di grandi artisti internazionali. Perché pensi che sia significativo – oltre che formativo – per gli studenti di NABA ripetere e riattualizzare delle performance storiche?

Marco Scotini: Quello che Theatre of Learning vuole mettere in scena è una sorta di grande “rito di passaggio”. Come sappiamo da Arnold Van Gennep e da Victor Turner si tratta del superamento di una soglia simbolica che l’individuo attraversa per riconoscersi parte di una società. Non ci sono norme che definiscono tale passaggio ma un teatro di gesti che si ripetono di generazione in generazione e assicurano un legame più ampiamente umano. In questo senso siamo di fronte a un cerimoniale sociale che, non potendosi più fondare sulle nicchie protettive delle società tradizionali, sceglie l’arte come proprio terreno su cui basarsi. Certo, si tratta di un’arte vista nell’accezione antropologica e di una procedura essenzialmente pedagogica che dovrebbe essere a fondamento di una società laica. Le nuove generazioni hanno un rapporto schizofrenico con la storia. Ne sanno qualcosa attraverso i libri, quando tutto va bene: ma come e quando la praticano? Le nuove tecnologie che promettono banche dati di ogni cosa, sono anche dispositivi di cancellazione permanente o di amnesia costitutiva. Allora se non vogliamo subire il nostro passato, dobbiamo reimmaginarci i modi con cui praticarlo, con cui far sì che qualcosa non sia compiuta una volta per tutte ma diventi ancora possibile. È solo quando il passato diventa ancora possibile che entrano in atto i meccanismi con cui possiamo criticarlo, valutarlo, trasformarlo. Theatre of Learning, mettendo a confronto due generazioni (quella dei grandi maestri e dei soggetti emergenti) vuole lanciare questa sfida. Ma forse la migliore definizione per questo tipo di operazione è emersa dall’incontro con Anna Maria Maiolino e l’idea del pensiero antropofagico. Ebbene, le giovani generazioni di artisti emergenti (i centinaia di studenti del Dipartimento di Arti Visive di NABA) dovrebbero divorare questa cultura fortemente emancipativa dei ’70 per poterne assimilare le utopie, i meccanismi, gli obbiettivi.

ATP: Con quale criterio avete scelto le varie performance?

MS: La costruzione dell’evento è stata preceduta da una serie di workshop con gli artisti e con esperti della performance. Penso agli incontri con figure come Ute Meta Bauer, Hou Hanru e Jens Hoffmann, che hanno discusso sul ruolo della teatricalità nel campo dell’arte e sulla performatività della pratica artistica ed espositiva come social stage. Poi gli artisti che sono venuti hanno descritto il loro modo di operare e hanno mostrato i loro materiali. Dunque la scelta delle performance è nata dal rapporto degli artisti stessi con gli studenti. In alcuni casi, come quello di Baldessari si tratta di realizzare un progetto inedito, un grande coro con oltre 100 elementi, tratto dalla lista Fifteen Musical Projects degli anni Settanta, guidato dal giovane direttore d’orchestra tedesco Benedikt Sauer. Comunque ci troveremo di fronte a dieci performance che hanno tempi diversi e partiture molto differenti. La cornice degli spazi esterni di NABA e i concatenamenti tra i vari gruppi faranno il resto.

ATP: Le esigenze – o meglio – le urgenze che animavano e motivavano gli artisti decenni fa, per concepire le loro opere, sono sicuramente molto diverse rispetto a quelle dei giovani artisti di oggi. Non pensi che riattualizzando delle performance nate negli anni ’70, alcuni temi possono essere non solo non capiti ma anche fraintesi?

MS: Noto che in questo momento la performance ha ripreso una grande visibilità a tutti i livelli e non c’è Biennale che non si apra ad eventi che hanno più a che fare con la durata temporale che con lo spazio. Penso anche all’Arena di Enwezor. Dunque già l’azione performativa sembra avere la stessa forza che aveva negli anni 70. Ma in questo caso si è trattato di un processo più complesso in cui la performance è stata usata come strumento pedagogico. Mi viene in mente Dan Graham che, quando per la prima volta è stato invitato ad insegnare in una Scuola d’Arte in Canada, ha usato la performance come “esercizio di apprendimento”. Inoltre, molte performance, in accordo con gli artisti stessi, sono state aggiornate, come nel caso delle animazioni teatrali di Pistoletto con il collettivo Zoo (1969), in cui gli “uomini-bestia” che il domatore dovrà ammaestrare sono il creativo, il precario, ecc……

ATP: In merito al concetto di “ripetizione come riappropriazione del passato”, hai citato Deleuze e l’idea del “teatro della ripetizione”. Mi racconti cosa ti affascina di questo concetto? 

MS: Perché il bambino è affascinato dall’“ancora una volta” e noi non dovremmo esserlo? Questa mi sembra già una risposta all’importanza della ripetizione nella realtà contemporanea. Nella ripetizione c’è sempre un anacronismo formale che insinua nel nostro rapporto con le cose una zona d’indecidibilità tra il possibile e il reale che trova nella ripetizione stessa la propria condizione di possibilità. In sostanza, si percepisce qualcosa del presente come se fosse già avvenuto, allo stesso modo che – viceversa – percepiamo qualcosa che è già avvenuto come presente. La ripetizione restituisce così la possibilità a ciò che è stato: ad ogni fatto compiuto riconsegna un poter fare, la sua potenza appunto. Lo smarrimento del bambino tra le insidie o le sorprese del mondo corrisponde proprio alla condizione di recupero della facoltà come generica potenza di enunciare, mera potenza di agire, mai esaurita da tutte le enunciazioni definite o da tutte le azioni già compiute. In questo senso, se è possibile parlare di archeologia non è tanto per portare alla luce strati del presente che sono stati cancellati o rischiano di essere dimenticati. Tantomeno perché c’è una regressione ad un passato remoto. Se c’è un accesso al presente che può avere la forma di un’archeologia, questo consiste nella sua prossimità all’arké, ad un’origine cioè non situata soltanto in un passato cronologico ma sempre contemporanea al divenire storico. Così come l’infanzia (questo riaccedere alla mera facoltà o potenzialità) continua ad operare non solo nell’adulto ma anche, mai come adesso, nel nostro presente. Quando cioè, a mettersi a nudo è lo stesso ordine del tempo. Riaccedere al poter-fare, oltre tutte le cose fatte, significa aprire una zona d’indecidibilità tra unicità e ripetizione. Il bambino che mette mano allo stesso gioco o reclama lo stesso racconto percepisce ogni volta ciò che è uguale come qualcosa di unico. Ciascuna replica non aggiunge una seconda e una terza volta alla prima. Non è mai qualcosa di simile o equivalente. Ecco la necessità della ripetizione oggi, quando non c’è più una storia a garantirci una tradizione.

ATP: In merito alla definizione identitaria della soggettività, non pensi che oggi, l’atto sovversivo, rivoluzionario ed estremo del linguaggio delle performance, sia invece stato sostituito da altre forme di espressione ‘anarchica’? L’avvento delle realtà virtuali e dell’invasione massiva del digitale in tutti i suoi aspetti ha reso, per tanti versi, de-materializzati le relazioni tra gli individui. Il “qui e ora”  contemporaneo rischia di diventare un iper-presente concentrato di stimoli e sollecitazioni di tutti i tipi (dalla comunicazione, all’informazione, alla conoscenza ecc. tutta assorbita ad impulsi attraverso internet). In relazione a questa realtà massificata, come far sentire attuale il linguaggio – densamente fisico – della performance?

MS: Negli ultimi anni abbiamo tutti pensato che lo spazio virtuale si potesse realmente sostituire a quello fisico e contestuale delle nostre città quando nel 2011/12 abbiamo visto le piazze riempirsi di nuovo con una moltitudine di forme della performatività sociale, tra tutte vorrei ricordare quello che è stato definito “The people’s mic”. Allora mi trovavo a Boston e in Dewey Square c’era l’incontro con Noam Chomsky. Tutti ripetevano le sue parole e avevi la percezione di far parte di un coro immenso.

Yona Friedman - MerzStrukturen
Yona Friedman – MerzStrukturen

Theatre of learning, a project created by Marco Scotini, independent curator and Director of NABA Visual Arts Department,  focuses on the re-enactment of a series of performances by celebrated international artists from the 1970s. It is part of a programme of exhibition and workshop initiatives and activities organised by NABA, Nuova Accademia di Belle Arti Milano, for Expo 2015. 

Joan Jonas, John Baldessari, Nanni Balestrini, Michelangelo Pistoletto, Yona Friedman, Piero Gilardi and Anna Maria Maiolino are the artists involved in the project, who, together with roughly 200 NABA students, will stage the performances in a final event/festival on 18 June from 9pm on NABA campus.

Structured as an educational platform forging a generational shift, Theatre of learning started with work phase comprising of a series of performative-based workshops led by the above mentioned artists, experienced in experimenting with performative strategies in a field of enunciation, reflecting the disciplinary emancipation of visual arts, theatre and dance. Guided and instructed by the artists, the students will stage a selection of historical performances, re-enacting the radically permeable and digressing climate of the performing arts in the past. 

If the temporal existence of a performance is always in the present, Theatre of learning assumes the shape and strategies of re-enactment, as  the space of “here” and “now.” Repetition thus becomes a form of reappropriation of the past (in an active form compared to documenting and archiving) without devoiding performances of their original emancipatory meaning. 

As commented by Marco Scotini: “For years I have been attracted to the idea of repetition as intended by Deleuze, to the idea of a theatre of repitition. This idea in embedded in the DNA of performance. Performance is always ‘here and now, ‘ while still referring to a ‘then’ and ‘elsewhere.’ Repetition is never a return to something identical, but makes what is past still possible.”

The evening event on 18 June will host a world premiere of a performance by John Baldessari, One hundred people say UMBRELLA from never realized series Fifteen Musical Projects. An exchange with Pauline Oliveros, ” executed live by 100 students upon the instructions received by the artist. Other works will include a revision of the historical piece by Nanni Balestrini, Basta cani / Ti piace il gatto (Enough with dogs / You like the cat), re-construction of MerzStrukturen by Yona Friedman, parade of Vestiti-Natura (Nature-Clothes) by Piero Gilardi, recreation of the video performance Waltz (2003) by Joan Jonas in the presence of the artist, reinterpretation of performances L’Uomo Ammaestrato (The Trained Man), La Palla Istoriata, La Venere degli Stracci incontra Bello e Basta (Venus of Shreds meets Just Good) by Michelangelo Pistoletto and Entrevidas (Between lives), re-enactment of the installation by Anna Maria Maiolino with approximately 1, 500 white eggs distributed all over the campus. The original work was a metaphor of the cultural and political fragility experienced by the artist during the transition period from dictatorship towards democracy in Brazil. The installation will become now a set for contemporary choreography, where the public will perceive the emotional and psychological tension of the act of performing in a field, mined with something as fragile as eggs.

The construction of subjectivities as a performative act reminds us of how the political significance of performance also depends on the successful subversion of bodies, roles and knowledge imposed by society, albeit within the realms of the stage. 

Theatre of Learning
June 18th 2015, 9 pm
Via Darwin 20, Milan
NABA

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