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The Expanded Body alla galleria 1/9unosunove a Roma

Testo di Vania Granata — In una linea storico-teorica che non è agevole qui ripercorrere, sulla centralità del corpo si sono espressi molti artisti in declinazioni diverse: dal Wiener Aktionismus sino alla cyborg culture e oltre. E se la performance e il body indagavano la tensione all’espansione corporea nella forzatura del suo limite materiale, è […]

The Expanded Body, installation view at 1/9unosunove – Photo credits: Giorgio Benni
Julia Huete, Senza titolo (Díptico reflejo), 2021-22, ricamo su cotone, courtesy Nordés Gallery, Santiago de Compostela – Photo credits: Giorgio Benni

Testo di Vania Granata

In una linea storico-teorica che non è agevole qui ripercorrere, sulla centralità del corpo si sono espressi molti artisti in declinazioni diverse: dal Wiener Aktionismus sino alla cyborg culture e oltre. E se la performance e il body indagavano la tensione all’espansione corporea nella forzatura del suo limite materiale, è evidente come il tema della perdita di centro del corpo sia ancora terreno di fertile dibattito per la contemporaneità più recente.
Su questo ampio campo di riflessione concettuale si articola l’esposizione The Expanded Body a cura di Angelica Gatto e Simone Zacchini presso la Galleria 1/9unosunove di Roma, fino al 26 marzo 2022. In un percorso fluido aller-retour, i concetti di corpo espanso/corpo vuoto, presenza/assenza, corporeità/immaterialità rappresentano il focus di ricerca dei sette giovani artisti in mostra. Un viaggio che coinvolge lo spazio fisico della galleria.
Si parte da un’autrice storica seppur consacrata alla fine del suo percorso: Carol Rama, prescelta proprio per la sua antesignana e costante indagine sul limite del corpo. Sono sue le tre incisioni colorate, volutamente risalenti all’anno duemila: sono nudi acefali e spersonalizzati che rivelano lo sconfinamento del corpo in uno spazio metamorfico e de-soggettivato quando esposto all’effrazione del viscerale, dell’osceno, dell’eros. In essi, frammenti anatomici evidenziati in riquadri fanno eco ai componimenti poetici sanguinetiani che, a lei dedicati, campeggiano accanto nella scelta allestitiva.
Poi la galleria cede il suo spazio ai giovani.
Sonia Andresano con l’ironico site-specific Giochi Preziosi dispone due sedie ai lati di un tavolo trasparente che rende visibile il pavimento a scacchi della galleria; sopra di esso una scatola, la cui forma ricorda i giochi da tavolo. L’artista inscena l’invito a sedersi e giocare, ma la boite/gioco-da-tavolo mostra in video-loop una partita a dama già giocata (peraltro proprio sulla damiera/pavimento della galleria!) da players che, anziché muovere leggere pedine, spostano fisicamente pesanti bilancieri. La ripresa video in gopro dall’alto concorre ad accentuare l’effetto straniante di corpi reali (i giocatori) che compressi e inscatolati entrano solo virtualmente nello spazio filmico che la scatola racchiude.
Veronica Bisesti con le sua complessa installazione – Don’t keep me within compass in riferimento anche allo studio del libro di Christine de Pizan La città delle dame (1405) – ribalta, è proprio il caso di dirlo, anzitutto l’idea misogina di un femminile devotamente bigotto e chiesastico.
Appendendo al contrario uno stendardo moratorio inglese del XVIII secolo, l’autrice mette letteralmente a testa in giù la dolce damina rappresentata. Così capovolta, essa è simbolicamente svincolata dal pesante compasso (“Fear God”, vi si legge sopra) che la costringe e libera di rivolgere lo sguardo al suolo, alla materia. A terra l’autrice pone poi cinque pietre nichelate rappresentative delle virtù e nobiltà femminili creando così le fondamenta della propria personale “città delle dame” come esempio virtuoso a cui guardare.

The Expanded Body, installation view at 1/9unosunove – Photo credits: Giorgio Benni
da sinistra: poesia di Edoardo Sanguineti, Cadeau, per Carol, dalla cartella Carol Rama, Cadeau, 2000 Carol Rama, Cadeau, 2000, vernice molle e acquatinta su zinco, © Archivio Carol Rama, Torino, courtesy: Franco Masoero and Alexandra Wetzel – Photo credits: Giorgio Benni

Costruiti attraverso la tecnica antica del ricamo, si incontrano poi gli arazzi di Julia Huete dove linee continue a punto croce danno vita a forme primarie semplificate (una croce, un rettangolo) vagamente geometrizzate. Anche qui l’artista lavora su crinali in apparente contraddizione. Se infatti l’opera si percepisce come un quadro, è la modalità esecutiva che a uno sguardo più attento svela, nell’imperfezione del segno su tela da ricamo, l’atto corporeo e conoscitivo del cucire volto ad esperire supporto, materiale, volume, linea.
Chiudono l’esposizione nella prima sala i palloncini di Davide Sgambaro nella serie Four days with an electrostatic friendche rimandano all’universo infantile del gioco. Di marcata cifra manzoniana e ancor prima duchampiana, i palloncini sono oggetti volutamente anonimi. Eppure l’autore prima ancor di documentarne la resistenza nell’aria tramite scatto fotografico, compie il gesto fisico di sfregarne la superficie sui propri capelli per produrre energia elettrostatica. Proprio da qui procede la loro drammatica inversione di segno: da oggetto tout court a metafora dell’individuo in perenne sospensione.
In seconda sala gli specchi di Fabio Giorgi Alberti che, costruiti secondo la tradizionale manifattura ai sali di argento, attuano un corto circuito concettuale e linguistico volto ad investire lo spazio delle installazioni, il perimetro della sala e il corpo degli spettatori. Davanti ad essi campeggiano installazioni in cemento, ferro e pigmenti (piccoli pilastri rozzamente mozzati) sui quali l’autore interviene con scritte poetico-visuali, leggibili solo se guardate da un’angolazione frontale. Come le superfici specchianti non assolvono pienamente la funzione di riflettere ciò che gli è di fronte perché parzialmente coperte da colore, così i pilastri, frontalmente poetici, rivelano la propria natura prosaica nel fronte posteriore a cementizia memoria di una costruzione crollata.
Anche l’opera di Fabrizio Cicero gioca sulla contraddizione; qui dall’immaterialità della luce (da sempre medium privilegiato nella sua poetica), sprigionata in retroilluminazione da gotiche finestre-altarino, si passa alla materia rude e pesante del graticolato in ferro che le imprigiona. Un espediente, quest’ultimo, che rende invalicabile allo spettatore la condivisione fisica e corporea dello spazio disegnato all’interno di esse.
Last but not least, la videoinstallazione del collettivo romano Vaste Programme: Gänzlich Unerreichbar (“assolutamente irragiungibile”, da La nascita della Tragedia di Nietzsche). Il filmato ci propone la ripresa endoscopica delle viscere di un corpo non prontamente identificabile, accompagnato dalla voce fuoricampo di androidi AGI: un’autentica discesa infernale.
Stiamo in realtà ispezionando un modello tridimensionale, ma solo alla fine comprendiamo che il reale soggetto è il corpo di un satiro; una statua dal suo interno. La citazione del titolo apre quindi alla stratificata complessità dell’opera poiché sia inerisce alla capacità conoscitiva pre-scientifica del mito – il dionisiaco in questo caso, tanto caro a Nietzche – sia rivela l’inespugnabilità del processo di apprendimento in deep learning, “assolutamente irragiungibile”: il black box dell’intelligenza artificiale.

Oggi più che mai il corpo, ibridato da tecnologie mediatiche che sfidano la science-fiction, è oggetto di un processo di espansione che sconfina nel vacuo dell’impersistenza: qui e altrove, de-materializzato e presente. Questo è il limite che il nostro expanded body sta per varcare.

Vaste Programme, Gänzlich Unerreichbar, 2021, videoinstallazione, wall paper, TV (video still) – Photo credits: Giorgio Benni
The Expanded Body, installation view at 1/9unosunove – Photo credits: Giorgio Benni
Davide Sgambaro, Four days with an electrostatic blue friend, 2020, stampa fine art su carta Hahnemühle, digital photography sequence. – Photo credits: Giorgio Benni