IN conferenza stampa la curatrice Francesca Alfano Miglietti esordisce dicendo che una delle tante controindicazioni delle presentazioni stampa è essere troppo lunghe e spesso inutili. In pochi minuti ringrazia tante persone tra cui per primo, il fratello di Fabio Mauri, e in seguito assessori e etc. per avergli dato fiducia sulla scelta di un artista non troppo facile. Poco prima Boeri ha sottolineato il fatto che Mauri è presente anche a Documenta.. e questo gli fa molto piacere, come dire.. ‘abbiamo azzeccato l’artista giusto!’.
Perchè THE END, come titolo della mostra? FAM risponde: “Perchè è un titolo che inizia dalla fine… come lo usava Mauri. Una scritta che (un tempo) appariva alla fine dei film. Ma in realtà non era una vera fine. Bastava essere solo pazienti e se il film ti era piaciuto lo rivedievi altrimenti, ti alzavi e te ne andavi.” Continua FAM, “C’è una frase che mi piace ricordare di Mauri. Diceva: Io che cos’è l’arte non LO SO DIRE. Mi piace questa ‘non lo so dire’ perchè riporta il problema nell’ordine del linguaggio.”
Continua dicendo come Mauri abbia toccato con mano il ‘turpe’ .. e in effetti, spiega, il turpe connota la mostra. “E’ uno dei pochi artisti italiani che ha fatto dell’ideologia una materia dell’arte. L’elemento ideologico all’interno dell’opera, appare come la via di una denuncia sempre più aperta, provocatoria e priva di intenti giustificatori. Mauri è un intellettuale che conosce la realtà, l’avvenuta mutazione antropologica del suo tempo, e che sente quale suo primario compito morale, civile e politico, di dover richiamare l’attenzione , affinchè non si accettino come ineluttabile il divenire dei fatti e della storia.”
Tra una stanza e l’altra si prova spesso un disagio reale. Un opera, piccola e toccante: Gioiello – Laiback, da Ebrea, 1971. Oro smalto, platino, denti e legno. Così anche il Muro Occidentale o del Pianto (1976), una parete ricostruita con vecchie valigie di cuoio, alta 4 metri. Macabra la stanza Ebrea (1971). L’urlo-vulcano-esplosione nella stanza dei Numeri Malefici, 1978. Gli Schermi: forma di comunicazione azzerata ma anche, in potenza, contenitori di infinite immagine. Davanti agli Schermi, la pesantissima e altissima Macchina per fissare acquerelli, poco più avanti, la Macchina per fissare acquerelli.
Una grande stanza buia ospita tre lavori: Donne di Roma (2008) -dei parallelepipedi su cui sono proiettati delle scene di città e del film Metropolis di Friz Lang -, Senza Ideologia (1975) – dentro un secchio su del latte è proiettato Alexander Nevskji, Eisenstein – e Inverosimile da ‘Not Afraid of the Dark (2007).
Emozionante la stanza con l’opera Intellettuale (1975), con Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini proiettato su degli abiti appoggiati in una sedia. Alle pareti delle fotografie di Pasolini con la la stessa proiezione.
La mostra è ritmata da tantissime opere su carta e dall’immancabile scritta THE END: scritta su carta, ricamata su tela, dipinta, incisa sul ferro, incollata, stampata, graffiata sul muro…
“Ci sono molte stanze ‘belle – o che hanno definito tali – in questa mostra. Ma non si può parlare di estetica (in questo caso) senza che ci sia etica.”
Chiosa FAM: Mauri, ma il suo lavoro in generale, non ha mai dato risposte. Non ha mai sostenuto cos’è il bello, buono o giusto. Racconta con una certa distanza la storia, si cala in essa. Anche questa mostra non da risposte, speriamo che il visitatore esca da Palazzo Reale con tantissime domande.” Plauso del pubblico.