The Blank Kitchen ✑ A pranzo con Giulia Cenci

27 Maggio 2014
Giulia Cenci,   "If you want me again,   look for me under your boot-soles (Wet grey)",   2013,   still from video. Courtesy SpazioA,   Pistoia.

Giulia Cenci, “If you want me again, look for me under your boot-soles (Wet grey)”, 2013, still from video. Courtesy SpazioA, Pistoia.

Una domenica di sole, un cortile in fermento, rumore di pentole e bicchieri e tre artisti in cucina: Giulia Cenci, Christian Fogarolli e Ian Kaesbach. Non un film di Ozpetek, ma il pranzo della domenica in casa The Blank, che si apre con sapori decisamente toscani tra panzanella, fegatini e bruschette; acquista corposità rotonda con polenta funghi e salsiccia e, tra vin santo  e bollicine, si conclude con tiramisù e cantucci. Così l’idea positiva di contaminazione, tanto ben rappresentata da via Quarenghi – strada multietnica in cui trova sede l’associazione The Blank – dove ciascuno può trovare il proprio spazio a prescindere dalle differenze, diventa ancora una volta concreta anche attraverso The Blank Kitchen.

The Blank Kitchen accoglie nella città di Bergamo alcuni tra i più interessanti artisti emergenti del panorama internazionale, facendoli entrare in relazione con gli appassionati d’arte e i curiosi attraverso uno strumento trasversale e unificante come quello del cibo e della cucina.

Particolarmente ricco, l’appuntamento di domenica 18 maggio – in concomitanza con la quarta e ultima giornata di Art Date – quando le mani in pasta erano ben sei. 

Questo rendez-vous speciale è stato l’occasione per invitare ai fornelli tre artisti gravitanti attorno alla realtà di The Blank per presentare altri due progetti promossi dalla stessa associazione culturale di Bergamo:

il Project Proposal Residency, progetto di residenza  rivolto a due artisti, italiani e/o internazionali.  Per questa edizione, Christian Fogarolli e Ian Kaesbach hanno convissuto, per un mese, negli spazi dell’alloggio messo loro a disposizione, sviluppando la loro ricerca artistica; e The Blank Conversation, progetto curatoriale ed editoriale ideato da Claudia Santeroni, scatena complicità, confronto e ascolto tra le parti, offrendo “al pubblico la possibilità di innamorarsi di una situazione non più percepita come elitaria”. Con le conversations* si scrivono storie (stra)ordinarie per avvicinare le persone all’arte e alla creatività. La prima artista, coinvolta in quattro giorni di chiacchiere informali presso la residenza bergamasca, e non solo, è Giulia Cenci (Cortona, 1988) una dei fondatori di INTERNO4, Bologna, attualmente di stanza in Olanda.

A lei, che ha elaborato la componente aretina del menu, Valentina Gervasoni, per ATPdiary, rivolge alcune domande.

Claudia Santeroni,   Giulia Cenci,   Conversation 1. Photo Maria Zanchi

Claudia Santeroni, Giulia Cenci, Conversation 1. Photo Maria Zanchi

Valentina Gervasoni: Quale esperienza ha segnato, secondo te, in modo imprescindibile il tuo percorso e perché?

Giulia Cenci: Non sono sicura di essere stata segnata in modo particolare dalla mia “formazione”: ho sempre studiato in questo ambito, fin da quando ho deciso di muovermi dalla casa dei miei genitori. Avevo quindici anni quando mi sono trasferita a Perugia, studiavo in una scuola d’arte – che di arte aveva ben poco – e in un certo senso, da quel momento, ho iniziato a essere circondata da persone che avevano degli interessi vicini ai miei. Che fosse teatro, musica o arte visiva, per me era già molto importante. Provengo da una realtà molto piccola, in cui la cultura contemporanea era praticamente inesistente. Nonostante i miei genitori si occupino di tutt’altro, in casa mia c’è sempre stato un grande rispetto per l’arte. Mio nonno scriveva, talvolta anche critica d’arte, mentre mia nonna era un’illustratrice. Io non li ho quasi conosciuti ma in un qualche modo il fantasma della loro impronta era molto presente in casa mia. Saggi, cataloghi, disegni, ritagli di giornale e appunti erano (sono) incastrati in ogni angolo della casa. Molto spesso si tratta di frammenti, in quanto mio padre, nei suoi vari spostamenti, ha come disperso questo materiale tra le stanze e le rimesse della sua vecchia azienda agricola. Negli anni si è andato a creare uno strano innesto tra differenti elementi, come se tutto questo accavallarsi di materiali di ricerca, immagini, oggetti comuni, attrezzi, pezzi di vite altrui, abbiano sempre costituito un unico corpo. Credo sia stata proprio questa presenza a segnarmi maggiormente. Forse, sarebbe meglio dire quell’assenza; assenza di una spiegazione logica rispetto a quei residui che tutt’oggi si manifestano come un complesso rebus, o, semplicemente, l’assenza di chi ha lasciato tali residui invadere le vite degli altri. Dopotutto è proprio così che si manifesta l’arte; “sostituisce” qualcosa, lo rappresenta, è un indice… in ogni caso non è quello che vediamo.

V.G.: Di primo acchito, penso che cucina e arte debbano entrambi tener conto di due elementi: spazi e persone. Artisticamente come ti relazioni con queste due “grandezze”?

G.C.: Credo che spazio e persone permettano all’arte di esserci. Non so cosa intendi specificatamente per spazio, ma ciò che mi interessa a riguardo è come lo spazio sia legato all’idea di limite: come per definire un spazio si debba definire un limite e come lo spazio prenda corpo all’interno di esso. “Il formare avviene nel modo del circoscrivere, come un includere ed un escludere rispetto ad un limite” (M. Heidegger, L’arte e lo spazio, Il Melangolo, Genova , 1979). Questa riga mi ha accompagnato in vari lavori; mi piace pensare che il limite abbia la capacità di occultare qualcosa, di impedire un accesso, presupponendo sempre un “altro”. I limiti sono elementi di disturbo eppure proprio in base ad essi le cose prendono una determinata forma. Le persone… le persone semplicemente ci sono. Sono molto influenzata da quello che sento dire dagli altri, da come vedono e da come reagiscono. Ci sono delle persone che stimo talmente tanto che non potrei mai rivolgergli la parola; allora le spio, le seguo come posso. Una volta ho fatto la posta per ore per vedere uno dei miei artisti preferiti innaffiare il suo giardino.

V.G.: Attraverso Conversation 1 si legge della tua crescita personale e professionale: la famiglia, i viaggi, l’accademia, le opere. Per questo ti chiedo se e come il cibo ha scandito il tempo della tua vita, dall’infanzia sino a oggi

G.C.: L’unica cosa che so è che il mio tenore alimentare è decisamente migliorato negli ultimi anni; mia madre non aveva molto tempo per dedicarsi al cibo. Mi ricordo molti surgelati…

V.G.: Riesci a collegare un piatto a un’esperienza intima?

G.C.: Vogliamo veramente rendere pubblica questa risposta? Riso (bollito) con tonno e stracchino :O

*il materiale raccolto è incluso in una pubblicazione corredata da fotografie che testimoniano lo scambio avvenuto fra il curatore, l’artista, la realtà di The Blank e la città di Bergamo. I mini-cataloghi sono disponibili presso la Residenza di The Blank e presso i membri aderenti al Network di The Blank.

Giulia Cenci,   "If you want me again,   look for me under your boot-soles",   2013 installation view at Present Future,   Artissima,   Torino. Courtesy SpazioA,   Pistoia.

Giulia Cenci, “If you want me again, look for me under your boot-soles”, 2013 installation view at Present Future, Artissima, Torino. Courtesy SpazioA, Pistoia.

Giulia Cenci,   "Wet Brussels",   2013,   plastic,   nails. Installation view at Xhouille,   W-O-L-K-E,   Brussels. Courtesy SpazioA,   Pistoia.

Giulia Cenci, “Wet Brussels”, 2013, plastic, nails. Installation view at Xhouille, W-O-L-K-E, Brussels. Courtesy SpazioA, Pistoia.

Giulia Cenci,   "senza titolo (3 pezzi)",   2014,   poliestere,   argilla. Courtesy SpazioA,   Pistoia

Giulia Cenci, “senza titolo (3 pezzi)”, 2014, poliestere, argilla. Courtesy SpazioA, Pistoia

Giulia Cenci,   Claudia Santeroni,   Conversation 1. Photo Maria Zanchi

Giulia Cenci, Claudia Santeroni, Conversation 1. Photo Maria Zanchi

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