

Giorgio Andreotta Calò, Tana, 2023, installazione permanente al Castello di Ama
L’opera è infotografabile e ripercorrere i passaggi del processo pluriennale che hanno portato alla sua realizzazione; sembra una follia solo averla pensata, ma non è per questo che va vista. Tana è un ambiente ipogeo accessibile da uno stretto corridoio sul crinale di una collina, sotto le viti. Quando l’occhio si abitua al buio e si iniziano a percepire i confini dello spazio, questo risulta accogliente e ha un che di familiare nonostante ci si trovi sottoterra: la forma è quella di un fegato; siamo dentro un corpo, a sua volta dentro un altro corpo, quello della terra. Un piccolo foro sul soffitto e attraverso il terreno sovrastante permette alla luce e al mondo esterno di entrare, l’ambiente di fatto è una camera oscura e sul pavimento scorrono in tempo reale i movimenti del cielo, di giorno del sole, all’imbrunire della volta celeste. È un’esperienza viscerale, si perde il senso del tempo, al contempo rapido e lentissimo, materializza la relazione indissolubile tra noi, il cielo e la terra.
Lydia Ourahmane, “Polvere” da Ordet, Milano
Una mostra speciale, apparentemente vuota e priva di oggetti, ma di quelle che forse proprio per questo ti restano dentro.
Lutz Bacher, “AYE!” da Raven Row, Londra
Per me è indimenticabile l’opera con cui si apriva la mostra, The Book of Sand, una stanza colma di sabbia su cui era possibile camminare e lasciare le proprie impronte. Come leggere un libro che non vorresti finisse mai.
Roberta Tenconi

