A parte le mostre di cui ho scritto durante l’anno per varie riviste e che perciò sono già inserite tra i miei best di default, è arduo selezionare solo un paio su decine di mostre davvero incredibili dell’anno che sta per concludersi.
Proverò a tracciare una mia breve classifica, non me ne vogliate, riducendo al minimo, ovvero a 6.
La prima è la personale di Yuri Ancarani al Mambo di Bologna: Atlantide 2017-2023, dal 2 febbraio al 7 maggio, a cura di Lorenzo Balbi. Il film diventa pietra miliare dell’intera esposizione echeggiando e frantumandosi in decine di prolungamenti precedenti, estemporanei e successivi alla lavorazione dello stesso. Capolavoro assoluto del cinema d’artista, la pellicola è proposta nella sua interezza in una delle sale trascinando lo spettatore in una Venezia inedita e disperata che fa da scenario a temi universali quali l’incomunicabilità dell’adolescenza, la decadenza della città, il degrado dell’ambiente e delle relazioni umane.
La mostra Grand Bal di Ann Veronica Janssen presso l’Hangar Bicocca di Milano, a cura di Roberta Tenconi dal 6 aprile al 30 luglio, è una personale ricca e articolata che funziona come uno statement assoluto in cui l’artista de-oggettualizza la scultura trasformandola in azione, in gesto, in cui la perdita di controllo diventa un’esperienza attiva, soprattutto nella costruzione di sculture effimere in cui spazio, tempo e luce diventano gli elementi strutturanti. Conclude il percorso l’esperienza immersiva totalizzante di MUHKA, Anvers, 1997-2023, dove la nebbia inghiotte lo spettatore inducendolo a performare in uno stato fisico e psichico estremo.
La retrospettiva dedicata a Emilio Prini nella sala più grande del museo Macro di Roma, …E Prini, dal 27 ottobre al 31 marzo 2024, a cura di Luca Lo Pinto è di valore eccezionale, non solo per la quantità dei materiali esposti che si confondono e accompagnano le opere vere e proprie (se di opere si può parlare), ma per l’enorme lavoro di ricerca, analisi, rispetto e sforzo interpretativo raggiunto nella costruzione di questo universo esploso, solo apparentemente eterogeneo, e in realtà ricco di rimandi e fili nascosti che sembrano ricomporre un mondo fatto di ineffabili e amorose corrispondenze.
Ne cito solo altre 3 assimilate forse da un fattore comune: l’ironia. Essa assume forme inaspettate declinandosi in modi e media differenti: il percorso ironico e pungente in cui è impossibile non immedesimarsi dei lavori di Shimabuku nella mostra Me, We curata da Bart van der Heide presso il Museion di Bolzano, dal 6 maggio al 3 settembre; la riflessione garbata e spiazzante di Danilo Sciorilli che in Distanze semoventi, a cura di Davide Dall’Ombra e Alessandra Klimciuk, presso la Fondazione Stelline di Milano, dal 12 aprile al 14 maggio, tenta audacemente di raggiungere e rappresentare l’immortalità, mostrando in maniera nitida la caducità umana per elaborarne un rimedio piuttosto convincente a cui sembra impossibile non prestare fede; fino a Sin Wai Kin,
Dreaming the End, a cura di Alessio Antoniolli, presso la Fondazione Memmo di Roma, dal 3 maggio
al 29 ottobre, che attraverso lo storytelling delle immagini, la potenza visionaria, lo scardinamento della coscienza identitaria binaria proietta lo spettatore in una dimensione tanto onirica quanto destabilizzante.