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P420 | Teoria ingenua degli insiemi Intervista con i curatori

[nemus_slider id=”53224″] Tra le tante proposte artistiche bolognesi inaugurate lo scorso mese in occasione di ArteFiera, la mostra ospitata nel nuovo spazio della galleria P420 è stata una tra le più apprezzate. Curata da Cecilia Canziani e Davide Ferri, “Teoria ingenua degli insiemi” presenta l’opera di Paolo Icaro in relazione – o in tensione complementare […]

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Tra le tante proposte artistiche bolognesi inaugurate lo scorso mese in occasione di ArteFiera, la mostra ospitata nel nuovo spazio della galleria P420 è stata una tra le più apprezzate. Curata da Cecilia Canziani e Davide Ferri, “Teoria ingenua degli insiemi” presenta l’opera di Paolo Icaro in relazione – o in tensione complementare – con le opere di tre artisti molti più giovani, Bettina Buck, Marie Lund e David Schutter. Facendo dell’apertura interpretativa una chiave di accesso per la comprensione del progetto nella sua totalità, i due curatori cercano di portare alla luce un “dialogo tra poetiche di artisti appartenenti a geografie e genealogie diverse”, attraverso “inciampi, sguardi obliqui, somiglianze non sensibili”.

La galleria P420, assieme ad altre realtà espositive, contribuisce e completa il distretto Manifattura delle Arti: un’area tra le più interessanti nel circuito bolognese che abbraccia anche realtà istituzionali come il Mambo,  la Cineteca, l’Università e il Cassero LGBT center

Seguono alcune domande ai curatori Cecilia Canziani e Davide Ferri.

ATP: Avete ‘applicato’ o suggerito il modello di insieme sviluppato dal matematico Georg Cantor  – la Teoria ingenua degli insiemi,  che è il titolo che avete dato anche al doppio progetto che co-curate alla P420 – per introdurre l’opera di Paolo Icaro e i tre artisti Bettina Buck, Marie Lund e David Schutter. Mi spiegate le analogie tra la teoria matematica degli insiemi e come avete sviluppato la mostra? Vorrei capire le relazioni.

Cecilia Canziani / Davide Ferri: Il modello di insieme sviluppato dal matematico tedesco Georg Cantor (1845 – 1918) si basa sul concetto di appartenenza: un insieme è a tutti gli effetti una collezione di elementi distinti, con la particolarità che gli elementi dell’insieme possono essere, a loro volta, insiemi. E’ una teoria non riconducibile a concetti definiti, ma intuitiva e aperta al paradosso e alla contraddizione. La teoria degli insiemi è una sorta di premessa metodologica, ci ha suggerito cioè una modalità di costruzione del discorso che abbiamo articolato attraverso opere che descrivono diverse traiettorie, tracciano insiemi e sottoinsiemi, offrono letture differenti a seconda del punto di vista che si intende adottare.

ATP: L’opera di Icaro da una parte e quella dei tre artisti dall’altra. Due mostre che si voglio in dialogo “per contrasti, o temporanee assonanze”. Quali aspetti – o “preoccupazioni” – avete portato alla luce? 

CC / DF: Le due mostre – una personale di Paolo Icaro e una collettiva con opere di Bettina Buck, Marie Lund e David Schutter – sono state pensate idealmente come entità autonome che condividono lo stesso spazio. Non abbiamo voluto separare i lavori perché per noi era vitale – nel senso di dare vita, di restituirne la vitalità – far emergere quel dialogo tra poetiche di artisti appartenenti a geografie e genealogie diverse che intravvedevamo e che la mostra cerca di portare alla luce ma per inciampi, sguardi obliqui, somiglianze non sensibili. Quindi in effetti non si può parlare di una mostra di Icaro da una parte e di una mostra di Buck, Lund e Schutter dall’altra, ma di due percorsi che si intrecciano al punto di confondersi e ridefinirsi reciprocamente.

ATP: In merito alla mostra di Paolo Icaro, che taglio avete deciso di dare alla mostra? Quali aspetti della sua ricerca avete enucleato in relazione alle opere dei tre artisti Bettina Buck, Marie Lund e David Schutter?

CC / DF: Abbiamo scelto una serie di parole – gravità, levità, reciprocità, eccedenza, limite, gesto, provvisorietà, corpo, rischio – che sono emerse da una lettura del lavoro di Icaro, e attorno alle quali finivano per addensarsi molti discorsi che, con lui – nel suo studio, in questi mesi – abbiamo fatto. In mostra queste parole funzionano un po’ come una spina dorsale, ma anche da catalizzatori di incontri tra opere appartenenti a momenti differenti del suo percorso.

Abbiamo scelto di esporre lavori molto vecchi e lavori molto recenti, individuando linee di continuità della sua poetica e di affidare a “Cardo e Decumano” il compito di organizzare lo spazio, separandolo in aree ma anche riunendo le opere, distribuendole. “Cardo e Decumano” è una punteggiatura dello spazio, una misura corporea, perché ciascun elemento è composto sulla base di una progressione numerica per multipli, ma suggerisce un passo. È un attraversare lo spazio (e dunque contaminarlo con la propria presenza, appropriarsene, ma solo per un dato tempo). È anche un’altra spina dorsale attorno alla quale articolare le opere.

Teoria ingenua degli insiemi,   installation view,   Courtesy P420,   Bologna - Foto Michele Sereni
Teoria ingenua degli insiemi, installation view, Courtesy P420, Bologna – Foto Michele Sereni

ATP: In breve, cosa vi ha motivato nel scegliere queste tre artisti? Cosa vi ha affascinato delle loro ricerche? 

CC / DF: La scelta è stata guidata da quella sorta di dizionario di termini che abbiamo enucleato, e che ha richiamato in maniera controintuitiva il lavoro di Bettina Buck, di Marie Lund e di David Schutter. Nel caso di Buck e Lund, ci sembrava esistere una relazione veramente forte con il lavoro di Paolo Icaro, al punto tale che abbiamo escluso di tutti e tre quei lavori che quasi sembravano sovrapporsi, perché le somiglianze che cercavamo erano di un ordine se vogliamo più intimo, strutturale, metodologico. Il lavoro di David Schutter è molto distante apparentemente, ma il suo modo di affrontare lo spazio del quadro, la tensione tra corpo e opera, lo stesso gesto ci sembravano risuonare con il lavoro di Icaro, ma anche, in maniera non lineare e perciò per noi interessante, con alcuni lavori di Bettina Buck – il suo lavoro sul corpo, la ricerca di una materia che reagisce al tempo, impermanente, vibratile – e con quello di Marie Lund che nel suo unico lavoro a parete indaga la verticale del quadro per restituirla in forma scultorea, come fosse un bassorilievo. In un certo senso le parole ci hanno suggerito delle opere e delle poetiche, ma l’effettiva relazione tra i quattro artisti è diventata più evidente di quanto avessimo previsto durante l’allestimento, quando lo spazio tre le opere si addensava di richiami e rimandi in alcuni casi inaspettati.

ATP: Una domande in relazione al nuovo spazio della galleria. Avete seguito o vi ha condizionato il luogo espositivo nella scelta delle opere e, in un secondo momento, nella fase di allestimento? Il display asseconda il tema della doppia esposizione?

CC / DF: Lo spazio condiziona sempre le modalità di presentazione di un’opera. In un certo senso abbiamo voluto contraddirlo, decidendo di sovrapporre o far coincidere le due mostre e utilizzando entrambe le sale, ma anche di assecondarne la struttura dando a ciascuna sala un diverso timbro e sottolineando nella prima la gravità, e nella seconda la levità, terminando la mostra con la nota utopica e vertiginosa aperta da “Lassù per un blu K.”, una scultura di Paolo Icaro dove il gesso e la spugna blu, l’infinito kleiniano, si incontrano in un punto determinato dalla misura del fare, da un corpo che si distende in altezza fino al limite delle sue possibilità.

Teoria ingenua degli insiemi,   installation view,   Courtesy P420,   Bologna - Foto Michele Sereni
Teoria ingenua degli insiemi, installation view, Courtesy P420, Bologna – Foto Michele Sereni
Teoria ingenua degli insiemi,   installation view,   Courtesy P420,   Bologna - Foto Michele Sereni
Teoria ingenua degli insiemi, installation view, Courtesy P420, Bologna – Foto Michele Sereni