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Chlamydomonas Nivalis, Alberto Tadiello | Galleria Umberto Di Marino, Napoli

Testo di di Francesca Blandino — Nella sua prima mostra personale negli spazi della Galleria Umberto Di Marino, Alberto Tadiello presenta un progetto espositivo dal titolo Chlamydomonas Nivalis, nome scientifico di un’alga unicellulare alpina responsabile della colorazione rossa della neve. Il rapporto con il mondo vegetale viene letto da Tadiello aldilà del suo valore strettamente […]

Installation view, Chlamydomonas Nivalis, Courtesy Galleria Umberto Di Marino, ph. © Danilo Donzelli

Testo di di Francesca Blandino —

Nella sua prima mostra personale negli spazi della Galleria Umberto Di Marino, Alberto Tadiello presenta un progetto espositivo dal titolo Chlamydomonas Nivalis, nome scientifico di un’alga unicellulare alpina responsabile della colorazione rossa della neve. Il rapporto con il mondo vegetale viene letto da Tadiello aldilà del suo valore strettamente simbolico, divenendo parte di una ricerca più ampia sulle nuove forme di identità. L’alga è infatti caratterizzata da un’alta concentrazione di pigmenti organici che le permettono di resistere e di riprodursi in condizioni ambientali molto avverse. La sua complessa struttura unicellulare, con le sembianze di un filamento sanguigno, si propaga nella sale della galleria, connettendo tutte le opere presenti, che si contaminano tra loro e con chi le attraversa. La natura viene quindi presentata come contaminata, che non rasserena e che rispecchia le inquietudini contemporanee su quel processo di biodiversificazione continuamente in atto, in cui i limiti tra reale e virtuale, tra organico e non organico, tra vivente e non vivente diventano quasi invisibili. La ricerca di Alberto Tadiello non resta indifferente alla contemporanea contaminazione tra umano e vegetale e prova a definire nuovi territori identitari, creando nuove forme di vita, che dalle pareti della galleria fuoriescono spontaneamente per invadere, senza aggressività, lo spazio. Come all’interno di un giardino postmoderno, le opere, composte da volti dai lineamenti elettrici, filamenti ferrosi, teste disegnate, tracce polverose di spray rosa, si dispongono tra loro in equilibrio ma anche in tensione, aprendo spazi di riflessione tra natura, tecnologia e realtà artificiale, in quanto creature ibride,  e narranti la necessità di concepire la natura con modalità nuove, atte ad esprimere le interazioni tra paesaggio naturale e post-industriale.

Alberto Tadiello risponde ad alcune domande. 

Francesca Blandino: Nell’arte e nella letteratura contemporanea le contaminazioni tra umano e vegetale sono frequenti e avvengono in un ambiente in continua trasformazione che non è più riconoscibile nelle forme tradizionali della natura. Nella mostra che hai progettato per la Galleria Umberto Di Marino, la presenza umana sembra essere sempre meno presente e l’identità delle nuove opere-creature, propone un corpo identitario sempre più modificabile, smontabile e riassemblabile. Qual è il tuo rapporto con la natura in relazione anche al rapporto con la tecnologia?

Alberto Tadiello: Il rapporto che ho con la Natura è di tipo ossessivo. Per me è matrice di suggestioni, idee, trasformazioni, interrogazioni. Sento quotidianamente la necessità di misurarmi con uno skyline montano o di incastrare lo sguardo dentro un ciuffo di licheni. Vedere un bosco di faggi in autunno o certe conformazioni rocciose nei grandi parchi delle Dolomiti sono per me delle lezioni pittoriche e plastiche irrinunciabili.
Credo che tutti i lavori esposti negli spazi della galleria siano debitori e portatori di innumerevoli appunti “naturalistici”: ma ci sono soprattutto volti, teste, bocche spalancate, occhi risonanti. La presenza umana è centrale. 
Pensare, parlare oggi di Natura è quanto mai urgente e necessario. Una natura non più vergine, né autentica, nemmeno più libera o selvaggia ma completamente antropizzata, tecnicizzata. Da sempre la tecnologia ha un rapporto mimetico con la natura ma, come racconta U. Galimberti in un suo recente saggio, la tecnica è diventata l’ambiente che ci circonda e che ci costituisce secondo principi di razionalità, funzionalità, efficienza, sicurezza. Questa sorta di aderenza, di equivalenza tra il nostro contesto quotidiano e la tecnica va a profilare un rovesciamento, mostrando come le esigenze dell’uomo vengano irrimediabilmente subordinate alle esigenze dell’apparato tecnico.
Più che chiedersi cosa possiamo fare noi con la tecnica e la tecnologia bisognerebbe chiedersi cosa la tecnica può fare di noi. 

Installation view, Chlamydomonas Nivalis, Courtesy Galleria Umberto Di Marino, ph. © Danilo Donzelli
Alberto Tadiello, Untitled, 2021 Filo di ferro, pigmenti spray 40 x 30 x 15 cm Courtesy Galleria Umberto Di Marino, ph. © Danilo Donzelli

F.B: Esplorando i confini tra naturale e alterato, tra creato e ri-creato, progetti e generi forme e motivi che riprendono elementi vegetali, come fossero il frutto di milioni di anni di evoluzione naturale, per poi trasformarli con il tuo esercizio estetico in opere. Il movimento Fluxus è stato forse uno dei primi a dare all’arte un rapporto con il mondo della vita; gesti, azioni e oggetti quotidiani diventavano opere e, come in un ready-made, venivano estratte dalla realtà. Il tuo processo di creazione, pur muovendosi tra l’organico e l’inorganico, può essere paragonato a quell’approccio Fluxus di animazione estetica, di progetto di espansione dell’arte sino ad una quasi completa fusione con la vita quotidiana e, nel tuo caso, con quella naturale? 

A.T.: C’è sicuramente un’attività cerebrale e sentimentale quotidiana, una sorta di pratica dell’arte che inevitabilmente diventa costituente della struttura stessa dell’essere, o semplicemente si fa vita. 
Certamente nel Fluxus arriva ad esplicitarsi un certo uso del mondo, una libertà del ready-made, un’attenzione alla processualità, all’interdisciplinarietà, anche all’indeterminatezza, tutte cifre che restituiscono un atteggiamento mentale, un fare, una modalità di sguardo che sento vicine.
Devo però prenderne le distanze. La postazione cronologica a cui appartengo è connotata da un’urgenza cronica, che sembra toccare tutti i termini di un sistema. Un’urgenza che invade concetti di identità, di individuo, di scopo, di etica, di natura, di politica, di religione…
Credo sia cambiato moltissimo l’orizzonte di senso dentro cui ci muoviamo tutti. 

F.B: Il percorso espositivo che hai creato, orchestrando tra loro materiali compositivi diversi (cavi elettrici, sistemi audio, scarti di metallo, spray) e trasformando lo spazio della galleria con aggiunte di colore alle pareti, costruisce un discorso per introdurre lo spettatore e le sue facoltà percettive all’interno della questione del rapporto fra naturale e artificiale. Il pubblico viene messo in grado di osservare come la materia abbia la capacità di adattarsi all’ambiente circostante, che sia vivente o inorganica. Nella relazione arte, ambiente e tecnologia, dove si colloca l’apporto umano? 

A.T.: È ancora un apporto tragico, di tensione, di creazione. 
La figura umana, intesa nella sua complessione anatomica e nell’apertura di un volto, è portante e ridondante nella mostra. Le teste, le maschere, sono la somma, l’addizione nervosa e stipata dell’innervarsi di una linea. 
Anche le grandi carte sono pensate come apparizioni fantasmatiche, emersioni dopo scioglimenti, relitti, pungolano e complessificano un intreccio sinestetico e sensoriale.
La temperatura del progetto, fatta di rosa, argento, cromo, nero circoscrive un immaginario e funziona come timing, il display allestitivo scandisce lo spazio sotto il segno di un incantesimo cromatico, una sorta di enrosadira. 
Penso alla serie dei Play Mode, questi tre elementi sintetizzati in due speakers, un PCB e un cavo ciascuno. Malgrado ripetano dagli occhi una lingua propria -fatta di scarti, ronzii, versi animali- sono destinati a connotarsi ad ogni riallestimento secondo fisionomie e tratti somatici differenti. È come se inglobassero in partenza un errore, una vibrazione, un eco, una deformabilità, una possibilità altra. 

Alberto Tadiello, Play Mode, 2021 Speakers, PCB, cavi 200 x 40 x 8 cm ciascuno Courtesy Galleria Umberto Di Marino, ph. © Danilo Donzelli
Installation view, Chlamydomonas Nivalis, Courtesy Galleria Umberto Di Marino, ph. © Danilo Donzelli
Alberto Tadiello, Teste, 2021 Filo di ferro, pigmenti spray 70 x 80 x 60 cm Courtesy Galleria Umberto Di Marino, ph. © Danilo Donzelli