
Testo di Giuseppe Amedeo Arnesano —
La sua è stata la generazione soprannominata YBAs -Young british artists, quella dei giovani artisti britannici che, tra la fine degli anni Ottanta e gli inizi degli anni Novanta hanno scosso il mondo dell’arte contemporanea. Liam Gillick (Aylesbury, 1964) sedotto dall’estetica modernista e neoplastica di De Stijl, elabora un personale linguaggio scultoreo nel quale coniuga il concetto astratto e quello minimale dove le forme pure, i volumi, le geometrie e i colori assumono una dimensione fisica e modulare, attraverso l’utilizzo di supporti come il plexiglass e l’alluminio. L’opera di Gillick è un atto di responsabilità nei confronti della centralità del fruitore, un approccio esplorativo prima di tutto spaziale, temporale e materico dedicato ai luoghi urbani e ai processi politici, sociali e quelli lavorativi inquadrati tutti nell’emblematica visione del pensiero neoliberista.



Alcune delle sue opere scultoree, che concludono il percorso in esposizione, sono datate processualmente a partire dal 1995 e oscillano in maniera mimetica tra l’installazione, il design e l’intervento architettonico. In occasione dell’inaugurazione della mostra intitolata In piedi in cima a un edificio: Film 2008-2019 il direttore del Museo Madre Andrea Viliani, che insieme ad Alberto Salvadori cura la prima retrospettiva dedicata alle opere filmiche di Liam Gillick, commenta: “In tutto sono otto tra video e film presenti in mostra nei quali l’artista ci racconta il mondo che ci circonda; da cittadino responsabile e quasi da giornalista Gillick si interroga su cosa succede intorno a noi: la politica, l’economia, la società, il modo in cui le macchine sostituiscono il lavoro manuale e la crisi del ruolo dell’intellettuale; tutto ciò lo interessa e con questa mostra l’artista ci invita a interessarcene facendo nostra la ricerca di una verità che, non è quella che Liam presenta nella mostra, ma è quella che attraverso questa operazione ci invita, come altrettanti cittadini responsabili, a cogliere”.
Tecnicamente le narrazioni sceniche dell’artista, che presentano delle disconnessioni tra suono e immagine, varie elaborazioni di montaggi speculari e contrari e delle dinamiche di combinazione tra l’apparto visivo e quello testuale, sono concepite in fase di allestimento come delle opere site-specific. Le otto proiezioni, caratterizzate da specifici interventi installativi, dialogano interamente e con funzionalità visiva con i pieni e i vuoti architettonici delle sale del museo.


