So Much More than the Sum of its Tropes Intervista con Gianluigi Ricuperati

"Quello che ci interessava era di far compiere allo spettatore una sorta di metamorfosi nello spazio, che è esattamente una mimesi di ciò che succede quando sei immerso nella narrazione"
30 Settembre 2015

Giovedi 25 Settembre la galleria Norma Mangione ha inaugurato So Much More than the Sum of its Tropes, progetto espositivo sperimentale curato da Gianluigi Ricuperati con la collaborazione di Elisa Troiano.

La mostra nasce dalla volontà di tradurre nello spazio espositivo il romanzo del 1950 di Theodore Sturgeon ” Cristalli Sognanti”, attraverso lavori di Antonia Carrara, Raphael Danke, Fabian Marti, Nucleo, Elisa Sighicelli, Michael E. Smith, interventi di Enzo Mari, Patricia Urquiola, Richard Wentworth, e con la collaborazione di Marco Cendron (POMO) per il design.

Nella conversazione che segue, Gianluigi Ricuperati ci racconta in dettaglio i temi della mostra.

ATP: Hai iniziato a ragionare sugli argomenti di questa mostra nel testo “Translate into art”, che hai scritto per la prima edizione di T-A-X-I. Nel testo citavi due mostre che si basavano sulla traduzione di una narrazione nello spazio espositivo. In che modo “So Much More than the Sum of its Tropes” ne continua il discorso?

Gianluigi Ricuperati: In modo logico. Uso questo aggettivo perchè quando si parla di narrazione e di narrativa, la connessione logica tra gli eventi è uno degli aspetti significativi che noi tutti diamo per scontato, e che invece è un po’ lontana dal modo che abbiamo di fruire le mostre e in generale le opere d’arte, non tanto dalla logica intesa in senso matematico, quanto dal concatenarsi di eventi che ci aspettiamo quando usufruiamo di una narrazione. In quel caso le due mostre che avevo indicato erano due tentativi, entrambi riusciti a mio parere, di fare questa stessa cosa. Entrambe si muovevano in un territorio ancora inesplorato, ossia quello del legame cogente, necessario, tra il testo narrativo e l’opera. Noi abbiamo cercato di esplorare e affermare questo legame da una parte commissionando molte opere direttamente a partire dal testo, e dall’altra scegliendo delle opere che non avessero bisogno di una eccessiva sovrainterpretazione e che nel contempo fossero leggibili ma non didascaliche.

Abbiamo poi usato lo spazio come un costruttore di logica narrativa, chiedendo al visitatore di muoversi in modo da mimare lo stesso tipo di percorso che fa un lettore quando mima il percorso di un personaggio. Abbiamo usato la colonna della galleria come una specie di colonna di Traiano su cui abbiamo riportato un testo che ho redatto in prima persona. Il testo racconta sia la trama che il legame tra la trama e l’opera. E’ un testo performativo, cioè che chiede allo spettatore di guardare le opere e creare connessioni tra ciò che legge e ciò che è installato – e di farlo girando attorno alla colonna, usando un espediente vecchio come il mondo ma che paradossalmente ci sembrava abbastanza inedito nel mondo dell’arte. Quello che ci interessava era di far compiere allo spettatore una sorta di metamorfosi nello spazio, che è esattamente una mimesi di ciò che succede quando sei immerso nella narrazione.

ATP: Potresti approfondire questo punto?

GR: Quando ti immergi nella narrazione compi un percorso di metamorfosi: se il testo è significativo, quando ne esci sei diverso da quando sei entrato. Volevamo rappresentare questo facendo muovere le persone nello spazio, anche perchè dopo un po’ che giri ti può venire un po’ di vertigine. E’ anche una mostra che riflette sul tema della lettura e l’importanza del libro, ma soprattutto su come la mente trasforma delle energie in qualcosa di reale, che esiste.

ATP: Mi pare che questo aspetto faccia anche parte della trama dei “Cristalli Sognanti”.

GR: E’ esattamente questo il punto. La storia dei cristalli sognanti è una vicenda di tipo fantascientifico in cui questi cristalli propagano la propria intelligenza millenaria e minerale generando con i propri sogni, la loro unica attività, creature e repliche di oggetti e fenomeni presenti in Natura, talvolta sbagliate. Questa trama assolutamente visionaria del libro nella mostra viene analizzata su vari livelli. Quello che mi interessava è che questa analisi fosse di forte coesione tra forma, contenuto, intenzione e narrazione, che faccia in modo che lo spettatore esca come investito da una serie di nodi concettuali, verbali, immaginari, immaginifici, che poi si traducono anche in un’esperienza fisica, come un qualcosa che si materializza dal testo. E’ come una seduta spiritica di oggetti fatta a partire da un libro. Il libro di Sturgeon secondo me è una bellissima metafora di come funzionano i sogni della finzione: il grande sogno della fiction è proprio quello di installare dentro di te delle immagini che vengono seminate nel sogno a occhi aperti della lettura e che poi crescono all’improvviso dopo molto tempo. A volte queste hanno una connotazione di tipo etico o morale. In questo senso sono dei tropi, cioè dei luoghi metaforici e retorici che ritornano e che sono molto importanti nella costituzione dei valori culturali, spirituali, etici ed estetici.

E’ per questo che la creazione e il consumo di storie sono importanti, anche al di là del mondo letterario. Questo è un esperimento di cross-disciplina. La cosa “difficile” a volte può essere quella di portare gli artisti, che non ragionano in termini narrativi, a prestarsi ad un disegno più grande. In questo caso, invece di una mostra tematica, si vuol far fare un percorso trasformativo. Il nostro modo di pensare è stato fortemente influenzato da “Le Metamorfosi” di Ovidio, che sono anch’esse una straordinaria metafora di come funziona la finzione, l’invenzione, e di come questa si trasforma in mito e il mito influenza la realtà.

ATP: In che modo avete disposto le opere nello spazio della galleria?

GR: Lo spazio della galleria è stato utilizzato come uno spazio transumante, che verte su uno spostamento organizzato. Nella prima stanza si rappresentano le figure del libro – “figure” intese in senso latino, cioè le immagini profonde, i temi più importanti, che sono raccontati in questo testo che gira attorno alla colonna. Nell’altra stanza è un po’ come se lo spettatore, istigato dalle figure, dai temi e dalle parole, visualizzasse il libro “fatto”: nella stanza ci sono le opere di Elisa Sighicelli, quindici diverse edizioni de “I Cristalli Sognanti” trasformate e cristallizzate, e la sedie di Patricia Urquiola, che simboleggia l’atto del leggere. Durante l’opening, e una volta a settimana durante il periodo di apertura, una giovane filosofa, Clara Madaro, farà una visita guidata per sottolineare i vari temi della mostra e il legame tra la storia e le opere.

ATP: Come avete scelto gli artisti? In base alla loro ricerca o ad un particolare lavoro?

GR: Abbiamo esploso dal libro alcuni temi, tropi, figure e nodi che ci sembravano significativi. A partire da questi abbiamo iniziato a commissionare i lavori, e quando non sono stati commissionati si sono trovati dopo lunghe ricerche. Ci siamo concentrati su una serie di artisti, designer e architetti che hanno tutti espresso qualcosa che ci sembrava legato in modo intelligibile alla storia del libro. I tre elementi che collidono in questa mostra infatti sono la letteratura, l’espressione artistica contemporanea e l’architettura, e per farli dialogare io, Norma Mangione, Annalisa e Elisa Troiano abbiamo lavorato in modo davvero multidisciplinare, collaborativo al 100%. Se ci sono delle cose sbagliate è colpa mia, però se ci sono delle cose giuste è merito di tutti.

Io lavoro in modo un po’ serendipico, nel senso che mi lascio molto guidare dalla casualità del talento delle altre persone, lascio che la cosa accada, e spesso funziona. Il caso di Raphael Danke ne è un esempio, perchè ha realizzato un’opera non commissionata per la mostra, ma che sembra fatta apposta. La mano di Danke sembra uscita dal romanzo di Sturgeon, visto che il patrigno del ragazzino protagonista lo picchia a sangue schiacciandogli tre dita e costringendolo a fuggire da casa.

ATP: Che differenze ci sono tra il vedere la mostra avendo e non avendo letto il libro?

GR: Sono due esperienze diverse. Se non lo hai mai letto, la mostra ti dà gli elementi sufficienti per gustartela e farne esperienza. Se invece hai letto il libro, è come se facessi un’evocazione del libro stesso. Funziona in entrambi i casi. Quello che può fare l’arte contemporanea è creare una specie di parco di divertimenti della cultura. In modo un po’ rozzo, ma anche con un’intuizione abbastanza geniale, Banksy ha capito questa cosa facendo il suo parco di divertimenti. Immagina di poter fare la stessa cosa con un grande romanzo, come “La ricerca del tempo perduto”. E’ il nuovo cinema, sono esperienze liminali tra un’arte e l’altra che a loro volta sono una specie di linguaggio.

ATP: Sempre nel testo che hai scritto per T-A-X-I, in chiusura dici due cose: la prima è, cito, “Le arti visive e quelle narrative dialogano con difficoltà perchè si esprimono per mezzo di procedimenti pre-linguistici opposti”. La seconda è il commento di Richard Price, che vedendo la serie di mostre ispirate al suo Lush Life dice: “In tutta franchezza non vedo alcuna relazione con il libro, ma non è male”.

GR: Hai citato due cose molto importanti, perchè secondo me sono proprio i due problemi principali che io volevo affrontare, e in cui magari dire qualcosa di nuovo con questa mostra. Da un lato il tema della differenza tra artisti e narratori, che hanno proprio due menti che lavorano in modi diversi. L’unico modo per costruire un codice di trasmigrazione tra queste due menti era conoscerle a fondo e riconoscerne le differenze, anche rispettandole e, talvolta, anche forzandole, sapendo che un linguaggio comune è sempre frutto di rinunce delle singole individualità. Dall’altra parte, quel commento è proprio il problema principale di mostre come queste. La colonna serve a rendere più esplicito e chiaro il legame tra l’intuizione e la scelta curatoriale e ciò che esprime l’artista. Quando sogni, tutto ti sembra strano, però tutto ti sembra anche abbastanza fluido. Nell’equilibrio tra estraneità e fluidità sta il segreto di un sogno ben riuscito, e il nostro desiderio era quello di orchestrare un sogno ben riuscito.

Fino al 28 Ottobre.

normamangione.com

 

Raphael Danke,   Ego,   2013,   concrete,   metal,   plastic,   pigment,   24 x 17 x 7 cm,   Courtesy Norma Mangione Gallery,   Torino Photos by Sebastiano Pellion di Persano

Raphael Danke, Ego, 2013, concrete, metal, plastic, pigment, 24 x 17 x 7 cm, Courtesy Norma Mangione Gallery, Torino Photos by Sebastiano Pellion di Persano

Installation view: Patricia Urquiola,   Enzo Mari,   Courtesy Norma Mangione Gallery,   Torino Photos by Sebastiano Pellion di Persano

Installation view: Patricia Urquiola, Enzo Mari, Courtesy Norma Mangione Gallery, Torino Photos by Sebastiano Pellion di Persano

Theme developed by TouchSize - Premium WordPress Themes and Websites