Intervista di Carola Provenzano —
Carola Provenzano: Sacro è – La mostra inaugurata a Marzo che hai curato a Torino in Fondazione Merz, è anche l’inizio di quasi tutte le poesie che il poeta Franco Arminio compone e racchiude nella sua raccolta Sacro Minore. Il componimento, che rappresenta una delle ispirazioni che ha dato modo a questa mostra di prendere forma, è di fatto un insieme d’immagini che per il poeta evocano quel tipo di sentimento che abbiamo imparato a chiamare Sacro, e che sembra accumunare tutti gli esseri umani. Il sacro di Arminio è da lui chiamato Minore, rimanda dunque per opposto, a qualcosa di più alto, ad un Tutto, che a quanto pare, noi esseri umani non possiamo evitare di percepire. Eppure, non sembra che questo sentimento, per la sua stessa natura più che divina, sia una cosa tutta umana?
La ricerca di una parte manchevole, che più che trovare, possiamo solo riconoscere in un sentimento che non fa altro che rimandare a noi stessi.
Giulia Turconi: La mia ricerca intorno al sacro nasce da una riflessione profonda conseguente il periodo che tuttǝ noi stiamo vivendo: un tempo fortemente segnato dall’odio e dall’indifferenza di fronte al dolore umano e all’ingiustizia; un tempo di repressione della parola che dovrebbe essere libera; un tempo in cui la cultura fa quasi paura e viene fermata, taciuta. Con la mostra “Sacro è” il mio obiettivo era quello di suggerire un ritorno al sacro, di spronare le persone a fermarsi e riflettere su cosa può essere sacro nella vita di tutti i giorni, su ciò che, appunto, “ti commuove e non sai perché”.
Sacro per definizione appartiene all’esperienza di una realtà totalmente diversa dalla nostra, che non può essere raggiunta e di fronte alla quale l’uomo si ritrova atterrito e spaventato. In molte tradizioni religiose, infatti, un elemento come il fuoco ne è il simbolo: qualcosa che attrae e insieme spaventa. Franco Arminio sente quindi l’esigenza di rivolgersi a un “sacro minore”, un sacro minuscolo, minimo, che può essere ritrovato nelle pieghe più invisibili di una qualsiasi quotidianità. Selezionando otto artistǝ di una generazione molto giovane, il mio tentativo è proprio quello di sviluppare una ricerca che si muova in questo senso e che provi a restituire una visione contemporanea di sacro.
CP: Ad ogni artista hai chiesto una personale definizione di Sacro. Come fosse un proseguimento del titolo della mostra. Con le loro parole, ma soprattutto tramite le opere, hanno mostrato invece che il senso del sacro è già nel titolo. Sacro è, e non vuole complemento. Il gioco dell’arte che avete messo in scena, non suggerisce una pretesa di definire in unico enunciato il senso del sacro. Suggerisce piuttosto, il tentativo di mostrare, i differenti modi di ricercare o percepire qualcosa, la cui essenza sta nel suo stesso esistere. Questo è da subito percepibile nell’opera che introduce la mostra. Il drappo rosso di Matilde Cassani con su scritto: Tutto.
GT: Matilde Cassani ha ideato il suo drappo nel 2018, presentandolo a Palermo in occasione di Manifesta: ricordo ancora il rosso lucente stagliarsi sopra le scale di Palazzo Costantino. Il lavoro, nel titolo “Tutto”, esprimeva la volontà di mescolare persone, differenze ideologiche, elementi della tradizione popolare, il passato e il presente, in un unico vortice dal quale si ritorna alla vita in uno stato di rinnovata consapevolezza.
Qui in Fondazione, posizionato all’ingresso, diventa una soglia da varcare, che il profano attraversa avvicinandosi, e introducendosi, al sacro. Diventa si, una sorta di risposta alla domanda implicita del titolo: sacro può essere tutto. Da qui comincia il viaggio introspettivo tra le opere che mostrano differenti immagini e sentimenti in relazione a questo tutto: Per l’apertura della mostra Giuseppe Di Liberto insieme al fratello Davide Di Liberto costruiscono una performance riflettendo sul tema della morte e delle sue celebrazioni. Ciò che resta della performance Sparge la morte, avvolge adesso il pubblico nel fruscio dei teli di plastica in cui si infondono le luci fioche dei neon e le frequenze dei canti madrigali. Per Quynh Lâm ciò che è sacro è sfuggente, “obliquo”, riprendendo l’aggettivo della poesia di Emily Dickinson, il sacro quindi deve essere svelato con il passare del tempo. GianMarco Porru si domanda come gli esseri umani possano raggiungere uno stato di “segreta estasi”, trova risposta nella comunione come celebrazione e concepisce una piscina dove viene esaltato il sentimento del santo, dell’acqua e, insieme, il segreto del fuoco. Tiphaine Calmettes celebra l’ inaspettato, con una costante curiosità a farsi sorprendere; anche il suo lavoro risponde all’uso di un’estetica relazionale in cui il sacro è collegato all’idea di condivisione e comunità. Con Lorenzo Montinaro torniamo a un sacro collegato al tema della morte, dell’assenza, del silenzio. Un luogo di preghiera in cui raccogliersi, in cui riflettere sull’assenza che porta con sé un forte sentimento di resistenza. Ed è così che ci si avvicina all’epilogo della mostra, dove Tommy Malekoff con la sua opera video si concentra sullo spazio del parcheggio come non luogo e che diventa palcoscenico di accadimenti straordinari e inaspettati. Scendendo le scale, il lavoro di Lena Kuzmich ci accompagna alla conclusione del viaggio in cui il sacro è protendersi per ascoltare l’altro con genuino interesse, è abbattere le barriere che abbiamo imposto con la natura e ritornare a una profonda connessione con essa.
Qui si ritrova la sintesi del mio pensiero: Sacro è qualcosa che si riconosce in luoghi in cui non ci saremmo aspettati, deve stupirci e trovarci impreparati.
CP: Tra le attività che hai proposto in occasione della mostra, una è stata la proiezione di Teorema di Pasolini: il racconto di una famiglia borghese che viene sconvolta dall’arrivo di un’ospite straniero. Egli rivela, con il suo semplice mostrarsi, il profondo desiderio di ognuno di loro.
Nel testo Pasolini ripete che, affinché questo desiderio possa realizzarsi, ogni individuo deve: “.. agire prima di decidere”; lasciando da parte, ammesso si possa fare, il senso politico e ideologico della narrazione. È Emilia: di origine contadina e immune alla morale borghese, l’unica a compiere il miracolo di una scelta non pensata. Questo tipo di azione di cui parla Pasolini ha a che fare con la rinuncia di ogni aspettativa razionale e dunque della possibile ricompensa che ne risulterebbe. La decisione libera, spezza la logica razionale di causa-effetto, di destino-necessità, di colpa e peccato: “ Emilia, insomma, è sospesa nel cielo. E se ne sta là, senza nessuna ragione, a braccia aperte”.
Così come l’esperienza di Emilia, Il valore delle opere presenti in questa mostra sta nell’esperienza del suo stesso compimento: non è forse da questo che ne deriva il loro carattere sacro?
GT: Ho scelto di inserire Teorema di Pasolini come fil rouge che fosse in grado di raccogliere e custodire le diverse sfumature di sacro che vengono fuori da tutte le opere in mostra. Pasolini, infatti, riteneva che l’unica cosa che rende l’uomo veramente grande è il fatto che un giorno muoia, la sacralità, quindi, viene individuata come qualcosa che tiene legati i due estremi di vita e morte. La sua era una indagine che si concentrava sulla sacralità nascosta, non tanto la forma del sacro quanto il sentimento, la paura della sua assenza.
Nel romanzo, verso la fine dell’opera, Pasolini scrive: “ Io sono pieno di una domanda a cui non so rispondere” Più avanti continua: “perché guardo fisso davanti a me come vedessi qualcosa?”
Riprendo la tua domanda, riprendo quella di Pasolini, e ne aggiungo una terza: Sacro non è forse ciò che ci avvicina alla bellezza e alla gentilezza dell’universo, avvolgendoci in un turbine di riflessione che celebra l’autenticità e un forte sentimento di gratitudine nei confronti dell’esistente?
Sacro è, mostra curata da Giulia Turconi aperta fino al 16 Giugno a Torino in Fondazione Merz