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È questione di non sbattere le palpebre: Steve McQueen al Pirelli HangarBicocca

Parte da lontano Steve McQueen per raccontare la sua passione per il cinema. Fin da bambino, quando passava il tempo con matite e pastelli, aveva ben presente come il mondo da immaginare fosse dentro un quadrato –  il foglio di carta – incorniciato in una prospettiva ben precisa. Da adulto ha riconosciuto come anche allora, quando disegnava, tutta […]

Steve McQueen Caribs’ Leap, 2002 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 Commissionato da documenta e Artangel, con il supporto di Heinz & Simone Ackermans © Steve McQueen. Courtesy l’artista, Thomas Dane Gallery, Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio
Steve McQueen Static, 2009 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 © Steve McQueen. Courtesy l’artista, Thomas Dane Gallery, Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Parte da lontano Steve McQueen per raccontare la sua passione per il cinema. Fin da bambino, quando passava il tempo con matite e pastelli, aveva ben presente come il mondo da immaginare fosse dentro un quadrato –  il foglio di carta – incorniciato in una prospettiva ben precisa. Da adulto ha riconosciuto come anche allora, quando disegnava, tutta la realtà fosse una questione di ‘prospettive’, di punti di vista su come guardare (inquadrare) il mondo. 
Dal disegnare, al dipingere, al filmare: sono atti che, sottolinea l’artista – in occasione della sua bellissima mostra Sunshine State ospitata al Pirelli HangarBicocca fino al 31 luglio, a cura di Vicente Todolí – vanno di pari passo con l’osservare, il vedere. 
Mosso da una sorta di irrequietezza nel ‘catturare’ il mondo, Steve McQueen, nelle sue opere video, ha sempre cercato di restituire la ‘tattilità’ delle immagini, di renderle degli spazi scultorei. Da qui la necessità di non guardare i suoi video in maniera passiva, bensì ‘attivarci’ in prima persona, quasi come se l’artista avesse l’ambizione di farci “toccare” le immagini. 
Ed è così che viviamo la mostra all’Hangar, attraversando le grandi Navate, camminiamo letteralmente tra proiettori e schermi, li sorpassiamo, ci giriamo attorno. Inizia la mostra Static (2009) che, maestoso, ci chiede di guardarlo frontalmente; più intimi Cold Breath (1999) e Charlotte (2004), che sono installati ad altezza ‘uomo’; ci imbattiamo nell’opera che da il titolo alla mostra Sunshine State (2022) che ci accoglie con due sedute opposte. 

Cambiamo registro con Caribs’ Leap (2002) che ci impone di sollevare la testa per una visione decisamente alta. Per finire infine in una classica sala cinematografica, dove è proiettato Western Deep (2002) che ci impone di abbassare lo sguardo e fruire le drammatiche scene quasi ad occhi bassi.  Sono tante le azioni che dobbiamo compiere per vedere questa mostra, ognuna delle quali è necessaria per la comprensione stessa del video, per stabilire empatia con le immagini e, come dice l’artista, per poterle completare, per dar loro un significato ulteriore.
Tra la selezione di sei video, è esposta anche una sola scultura, anch’essa esigente di uno sguardo dedicato, in questo caso abbassato, quasi a volerci invitare al raccoglimento. La scultura ha come titolo Moonlit (2016) e consiste in due rocce di marmo disposte a terra l’una accanto all’altra rivestite da una lamina di foglia d’argento. Anche in questi caso, l’artista espande la semplice forma verso un’apertura immaginifica: l’opera, infatti, rimanda all’asteroide Chicxulub, che 66 milioni di anni fa provocò catastrofiche distruzioni sulla Terra. Queste due rocce, in relazione alle opere video, suggeriscono un ampio spettro di significati, che vanno dalla visione dispotica del reale a un’apertura più visionaria che evoca mondi lontani e misteriosi.
Definire  McQueen uno sperimentatore è quasi un eufemismo. Più azzeccato considerarlo un irrequieto appassionato della realtà. Presentando la mostra, l’artista ha più volte sottolineato come da studente, insofferente per gli studi troppo accademici  e tecnici, preferiva “buttare la cinepresa in aria e vedere cosa succede”, fare un “salto nel vuoto”, perchè “l’arte è una delle cose più difficili da fare nel mondo, non ci sono regole, non ci sono dogmi, c’è solo la forza di gravità (…) perchè bisogna decidere in autonomia e partire ogni volta da zero”. Ed è per questa sua consapevolezza che McQueen sostiene che per produrre un’opera d’arte’ si debba compiere tantissima fatica per riuscire a  “navigare attraverso le forme della realtà per poter raccontare, infine, una storia”.

Steve McQueen Charlotte, 2004 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 © Steve McQueen. Courtesy l’artista, Thomas Dane Gallery, Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio
Steve McQueen Sunshine State, 2022 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 Opera commissionata per l’International Film Festival Rotterdam (IFFR) 2022 © Steve McQueen. Courtesy l’artista, Thomas Dane Gallery, Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Ed è con la metafora della navigazione che cita il toccante e struggente Western Deep: 24 minuti di andata e ritorno nell’infermo della miniera d’oro di TauTona in Sudafrica. Nei primi 10 minuti siamo avvolti nel buio della salta, rotto da pochi e indistinti bagliori, inghiottiti da un assordante rumore di ferraglia. Si intuisce che questo è il suono delle discesa agli inferi, in quella che è considerata una tra le più profonde miniere esistenti. 
L’artista sottolinea anche che ciò vediamo (e sentiamo) è ciò che lui ha visto e vissuto, perché le riprese video registrano – pedissequamente – come lui ha attraversato questa estrema esperienza ad un profondità di 3 Km. Ecco allora che i corpi dei minatori, la polvere degli scavi, i tubi e la roccia fanno un tutt’uno con la stessa grana della pellicola del film girato con una Super 8 mm. Ma al di là di ciò che vediamo, spesso fuori fuoco, sgranato, troppo ravvicinato o troppo buio, è il suono che diventa un’esperienza quasi fisica, tattile: fruscii, botti, scorrimento di acciaio, rumore di ferraglia che sbatte, martelli pneumatici che scavano, cancelli che scorrono, sirene che urlano ad intermittenza. A tutti questi rumori si intervalla un silenzio totale dove, l’unico suono che udiamo, è quello ansimante del nostro respiro, segno inevitabile che siamo testimoni, emotivamente coinvolti, di questa drammatica realtà lavorativa. 
Dalla profondità e pesantezza di Western Deep, possiamo alle piccolissime forme che si percepiscono in lontananza nel video Caribs’ Leap (2002), opera suddivisa in due parti, una all’esterno su uno schermo Led e l’altra proiettata  nello spazio interno: racconta, per suggestioni, il drammatico momento storico della conquista francese di Grenada, l’isola dei Caraibi da cui provengono i genitori di McQueen, nel 1651. Piuttosto che sottostare al governo coloniale, alcuni dei resistenti e ribelli locali preferirono gettarsi da una scogliera (Caribs’ leap), scegliendo la morte piuttosto che la prigionia e la schiavitù. Il film affronta il tema della razzializzazione e disumanizzazione del corpo nero e indigeno, colonizzato e schiavizzato. 
Sono percepiti come un abbraccio i video Charlotte (2004) e Cold Breath (1999), dove l’artista riduce lo sguardo a due frammenti del corpo: un close-up sull’occhio dell’attrice Charlotte Rampling nell’opera del 2004, sul capezzolo dello stesso artista nella proiezione del 1999. Intime e sensuali, queste due opere raccontano due visioni ravvicinate di un corpo mostrato solo per un breve frammento. Evidente la sottile violenza in entrambi: il dito dell’artista che cerca di toccare la pupilla dell’attrice, l’ossessivo movimento di stringere e strizzare il proprio capezzolo. 
L’opera che da il titolo alla mostra, Sunshine State, è un video a due canali visibile sia di fronte che dal retro. Consiste in una sequenza continua di immagini e in una narrazione orale della durata dell’intera proiezione. L’opera inizia con un’immagine dai lentissimi movimenti che mostra il sole in tutti i suoi dettagli. Giocando sempre con la doppia proiezione, una mostra il sole fino ai minimi dettagli, l’altra si allontana piano piano da esso. Mentre guardiamo sentiamo sussurrare l’artista “Sunshine on me Sunshine State, shine on me”. A queste immagini seguono immagini estratte dal musical The Jazz Singer: film del 1927, in cui il protagonista è il celebre cantante Al Jolson (1886-1950) e primo lungometraggio sonoro della storia del cinema.
Questo video è una riflessione sugli esordi del cinema hollywoodiano e su come il grande schermo abbia influenzato profondamente la percezione e la costruzione dell’identità. 
Per una sincera comprensione di questa mostra magistrale, direi di seguire il commento di Steve McQueen (estratto da un’intervista con Kirsty Young, Desert Island Discs, BBC Radio 4, 2014):

“Non mi interessa influenzare lo spettatore, completamente l’opposto. Sono attirato da una verità… alle volte le cose più terribili avvengono nei luoghi più meravigliosi… Io non posso mettere un filtro alla vita. È questione di non sbattere le palpebre”. 

Steve McQueen Western Deep, 2002 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 Commissionato da documenta e Artangel, con il supporto di Heinz & Simone Ackermans © Steve McQueen. Courtesy l’artista, Thomas Dane Gallery, Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio