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Intervista con Stefano Arienti ☞ #MadeinFilandia2014

E’ in corso fino a domenica 15 giugno l’edizione 2014 di MadeinFilandia. Molti gli artisti partecipanti, tra cui Stefano Arienti. Alcune domande all’artista. ATP: Partiamo da questa residenza in Madeinfilandia. Come ti trovi qui? Cosa presenti per questo progetto? Stefano...

Stefano Arienti,   MadeinFilandia2014
Stefano Arienti, MadeinFilandia2014 foto: Degal

E’ in corso fino a domenica 15 giugno l’edizione 2014 di MadeinFilandia. Molti gli artisti partecipanti, tra cui Stefano Arienti.

Alcune domande all’artista.

ATP: Partiamo da questa residenza in Madeinfilandia. Come ti trovi qui? Cosa presenti per questo progetto?

Stefano Arienti: È prima di tutto una scoperta, non sono mai stato in questo posto. È inoltre una sorpresa essere in questa zona della Toscana. C’è già attiva qui una piccola comunità fatta da artisti e non e, dunque, mi sento ospite. Non ho avuto molti contatti col resto del territorio: il tempo è breve e non ce n’è a sufficienza per andare in scoperta del paesaggio circostante o per conoscere la gente che qui vi abita. Ma è una caratteristica propria di tale residenza l’essere intensiva. È tutto molto informale: ci sono già opere di artisti venuti negli anni passati, ci son artisti già arrivati o che arriveranno, che conosco oppure no. Tutto è fluido. In questo clima può nascere un progetto estemporaneo, che proprio qui si crea. Oppure può derivare da opere precedenti; e nel mio caso avvengono entrambe le cose.

Presento un’opera costituita da calchi eseguiti direttamente sul corpo utilizzando la pellicola d’alluminio per alimenti. L’idea è di esporla all’esterno: la presenterò sotto il pergolato. Non ci sono né una forma né elementi precisi. Sono calchi sia del mio corpo sia di quello di alcuni ragazzi che mi hanno aiutato. L’opera nasce nel ’96/’97, quando stavo preparando un lavoro temporaneo per una mostra assieme ad Hossein Golba nella collezione Gori, a Santomato presso Pistoia. Si può rifare più volte, la ricetta è semplice: pezzi leggerissimi e fragili, con la sola impronta del corpo. Frammenti di scultura classica, fatti però con materiali fragilissimi, contrariamente all’opera fatta in bronzo.

Vi è poi un secondo intervento, che metto a disposizione a noi della residenza: lascio il mio pc con delle cuffie e una piccolissima parte della mia collezione di cd, a cui se ne sommano alcuni nuovi comprati in questi giorni a Firenze e in provincia di Arezzo. Tutte le volte che vado in giro cerco nei negozi quello che sto collezionando. È una collezione che faccio a partire dalla realizzazione di alcune opere. Il tutto inizia con una grande proiezione per il sipario frangifuoco del Teatro La Fenice a Venezia, che ho proiettato in contemporanea, sempre con la Fondazione Bevilacqua la Masa, a “Custodie vuote”, una mostra che vede del le copertine di cd di musiche provenienti da tutto il mondo, alternate ad alcuni loro involucri vuoti,  a muro. L’anno scorso ho fatto evolvere questo lavoro con un’istallazione (Ragamala) alla Galleria S.A.L.E.S. di Roma, sempre con custodie vuote, ma in numero doppio. Tutte le volte che l’opera evolve cambia nome. Così, in questi giorni, ci saranno per la prima volta anche le musiche dei cd che queste cover dovrebbero contenere, cosa che in futuro forse non sarà più possibile. Solo per noi residenti, sabato smantellerò tale progetto.

ATP: Ora passiamo ad una visione più generica del tuo lavoro. Quali sono i principi cardine che ruotano attorno alla tua produzione?

SA: Non lavoro da solo. Mi piace lavorare con cose che ci sono già. Il mio lavoro è molto libero, faccio anche io fatica a descriverlo. Mi sono permesso il lusso di fare tante cose diverse, senza una formula o uno stile precisi, lontano da una determinata area tematica.

ATP: Quali materiali prediligi? Come li rielabori e reinterpreti?

SA: Mi piace molto avere a che fare con cose trovate e che esistono già, che abbiano già un certo grado di trasformazione o realizzazione proprie. Non cerco elementi grezzi, ma già formati e contraddistinti. Come un’architettura, una cartolina, un gioco di società o un cd.

ATP: Cosa erediti dell’Arte Povera e dell’Arte Concettuale?

SA: Molto e molto poco. Sono due movimenti artistici che hanno cercato di attuare una riduzione. E io, sebbene abbia ripreso molti elementi da essi, all’opposto faccio un ampliamento. Loro volevano l’essenziale, la poeticità delle cose primarie. Spesso lavoro anche con cose semplice e pure per sottrazione e non per accumulo. Nell’arte contemporanea c’è più volte l’idea di ammasso: a me piace lavorare con la densità. Complessità invece di complicazione, raccolta invece che accumulo.

ATP: Come definiresti il tuo processo di crescita e di evoluzione che hai compiuto a partire dai manifesti di puzzle dell’89 sino ai manifesti del 2013?

SA: Vedo la mia evoluzione come quella di un artista che scopre di ricevere l’investitura da una piccola comunità che lo riconosce in quanto tale, e da qui lo porta a diventare un artista professionista. Arrivo a creare opere presentate attraverso mediatori (gallerie, musei, curatori, etc.), grazie ai quali raggiungo poi gli amatori dell’arte, che ti sostengono anche per andare avanti. C’è poi, nel mio lavoro, una parte didattica, di trasmissione artistica che avviene a tutti i livelli, passando da autoapprendimento ad apprendimento verso altre persone, grazie anche ad istituzioi preposte. Altro elemento della mia evoluzione, che prosegue ormai da quindici anni, è la presenza della committenza (associazioni, aziende, piccole comunità, privati, etc.), che è scomparsa con l’arte moderna e contemporanea. È invece una dimensione molto bella. In Italia mancano figure professionali che si occupino della committenza. È un mondo più indefinito e che sto scoprendo e imparando piano piano. Ho affrontato in questa dimensione diversi progetti belli: come con la Fondazione Zegna, Foscarini, Alberta Ferretti, la città di Torino (per un progetto di arte pubblica permanente), la parrocchia di Sedrina (con un opera permanente in una chiesa del Quattro-Cinquecento), il progetto a Bergamo per la realizzazione di chiesa per il nuovo ospedale, etc.

ATP: Mi dai una tua definizione di arte?

SA: Vedo quello che riesco a fare e quello che fanno gli altri attraverso una percezione che deriva dall’esperienza. Ho visto che sono riuscito a fare cose diverse che non pensavo nemmeno fossero arte. È una continua scoperta che si snoda in una dimensione fertile e legata a fatti contingenti. Difficilmente ho fatto un lavoro di teorizzazione prima di iniziare le cose. Teorizzo per mettere a fuoco l’esperienza fatta da me o da persone che conosco.

ATP: Un libro, un’opera, un cd e un cibo che consigli?

SA: Ho una biblioteca enorme, in cui abbondano più saggi legati alla scienza contemporanea che narrativa. Faticherei a scegliere un libro. In fin dei conti la mia formazione intellettuale è più vicina al sapere scientifico, quindi leggo testi di divulgazione tra i quali non si può scegliere un solo libro: il discorso si snoda in più tappe, e ogni libro è una di queste. Per quanto riguarda il cd proprio non saprei da dove iniziare. Ho una discografia che comprende opere derivanti da tutto il mondo. Ricerco soprattutto quello che passa meno nei canali di comunicazione prediletti. Per il cibo sono di bocca buona, non ho piatti preferiti. Ma non potrebbero mancare frutta e verdura, di carne e tonno in scatole di metallo non me ne farei nulla. Per quanto riguarda l’opera non ne sceglierei necessariamente di mie o necessariamente di altri. Le opere sono probabilmente la cosa a cui rinuncerei più facilmente. Io da solo produco pochissimo, lo faccio più volentieri in compagnia, in cui ritrovo stimoli contingenti, fisici. Sono un po’ l’opposto dell’artista che ha bisogno di lavorare in solitudine e in isolamento. La mia dimensione di lavoro più fertile è quella con tante persone, il rapporto con le quali viene a far parte della mia progettazione. La Filanda è infatti un buon ambiente da cui poter creare lavori, anche se i miei tempi sono molto lunghi e, quindi, sarà proficuo poi. Posso inoltre definirmi un artista stanziale, viaggio poco, sto a Milano da trent’anni. Ma quest’anno ho deciso che cambierò questa abitudine, andrò in giro, visiterò ambienti condivisi, raggiungerò luoghi nuovi.

Intervista raccolta da Marco Arrigoni

Stefano Arienti,   MadeinFilandia2014
Stefano Arienti, MadeinFilandia2014 Foto: Degal
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Stefano Arienti, MadeinFilandia2014 foto: Degal
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