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Staging the Residency vol. II | Alessandro Laita e Chiaralice Rizzi

Intervista di Marta Blanchietti e Anna Del Torchio — Per il periodo di residenza in Viafarini vi presentate come duo artistico. Non è la prima occasione di un dialogo reciproco, come configurate la vostra collaborazione? La pratica artistica è prima di tutto uno strumento di ricerca e in quanto tale ha bisogno della collaborazione. Questa, […]

Ahmet Shurdha – The Memory of the Air, 2022. Courtesy the Artists

Intervista di Marta Blanchietti e Anna Del Torchio

Per il periodo di residenza in Viafarini vi presentate come duo artistico. Non è la prima occasione di un dialogo reciproco, come configurate la vostra collaborazione?

La pratica artistica è prima di tutto uno strumento di ricerca e in quanto tale ha bisogno della collaborazione. Questa, spesse volte, porta ad un lavoro condiviso.

L’archivio è il punto centrale di molti vostri progetti, uno tra questi è The Memory of the Air. Entrare in contatto con storie altrui, farle proprie e trasformarle in altro scardina una certa veridicità e storicità che viene associata tradizionalmente all’archivio. Quali potenzialità scaturiscono, secondo voi, da questa pratica e perchè proprio in questo momento storico c’è un ritorno all’archivio tanto comune e sentito? 

Simone Leigh dice che “per raccontare la verità bisogna inventare quel che può mancare nell’archivio”. Esistono tante memorie, per questo tanti artisti continuano ad avvicinare e reinventare agli archivi nonostante sia una pratica in corso da molti decenni.
L’importanza e l’interesse nei confronti degli archivi è un tratto caratteristico dell’arte moderna perché è un “deposito” in cui la memoria si accumula e può essere recuperata. Pensiamo all’Atlas di Richter, cominciato nel 1962. Ma ancora Christian Boltanski, Ilya Kabakov, Allan Sekula, Marcel Broodthaers, Gianikian/Ricci Lucchi, Harun Farocki, Thomas Ruff, Lorna Simpson, Hans-Peter Feldmann, Adrian Paci, Tacita Dean, The Atlas Group, Zineb Sedira. 

Gjon Shllaku – The Memory of the Air, 2022. Courtesy the Artists
Florian Bjanku – The Memory of the Air, 2022. Courtesy the Artists

Lavorate molto anche con il linguaggio fotografico, attuando una riflessione tra luogo e memoria. Eppure, il concetto di memoria è labile e indefinito e gli archivi sono parziali. Considerando un progetto come Live in the house and it will not fall down, che ruolo assume la fotografia nella registrazione del reale?

Il tipo di fotografia che ci interessa è quella che ragiona sul suo artificio. senza però diventare un semplice esercizio di stile, quella che ci parla, quella che mentre ci racconta qualcosa degli altri racconta anche qualcosa di noi stessi.

La ricerca che sta dietro ai vostri lavori comporta inevitabilmente che il tempo della produzione sia lento e dilatato. Questa lentezza diventa un modo radicale di fare rispetto ai sistemi di mercato?

Lavoriamo con i tempi che richiede la ricerca. Non so se si può definire radicale, però è necessario. Se si vuole andare a fondo nelle cose bisogna scegliere di camminare. 
A noi interessa l’arte che fa attrito con l’esistente e che sia finestra sul mondo più che specchio autoreferenziale.  


Chiaralice Rizzi (1982) e Alessandro Laita (1979) si sono formati presso lo IUAV di Venezia. La loro pratica artistica si articola attorno alle relazioni esistenti tra paesaggio, immagine, memoria e archivio.

Staging the Residency —

Kol Shiroka – The Memory of the Air, 2022. Courtesy the Artists
Leon Nenshati – The Memory of the Air, 2022. Courtesy the Artists