Intervista di di Francesca De Zotti —
Uno degli aspetti chiave all’interno della tua ricerca è il concetto di trasparenza che si declina sia a livello materico, attraverso la scelta di differenti supporti vitrei e ottici attraversabili dalla luce, sia a livello pittorico, grazie all’utilizzo di pigmenti acromatici. Come sei approdato a questo “grado zero” della pittura?
Sono sempre stato affascinato dalla materia che si percepisce solo visivamente e non con gli altri sensi, come la luce. Ricordo il fascino della prima proiezione al cinema e dei giochi di luce delle vetrate sul pavimento delle cattedrali. Ripercorrendo nel tempo il mio immaginario emotivo, quello che apparentemente era un rifiuto fisico nel dipingere ad olio, non era dettato dal medium tradizionale, ma da una sensazione molto più ampia: l’occupazione visiva. La sensazione serafica che mi aveva trasmesso la materia intangibile nasceva da una leggerezza visiva dissimile dall’atto di guardare una scultura in marmo o una tela bianca. Inizialmente, nella serie Atmosphere, dipingevo con colori trasparenti su diversi supporti, come il vetro soffiato o extra chiaro, che non occupavano più di tanto la vista ma, di fatto, il colore rimaneva ben percepibile. Da qui, ha inizio la ricerca sulla materia acromatica, cioè priva di colore, sia nel mondo naturale che artificiale.
In un periodo storico dove la vista è occupata e iperstimolata dalla presenza di immagini, indago, creo e dipingo attraverso la trasparenza, una caratteristica fisica ambigua che vedo e non vedo al contempo. Per fare questo, il contesto e ancora di più lo spettatore assumono un ruolo chiave: da un lato, l’ambiente circostante converge nell’immagine colorandola, mentre la vista dello spettatore abilita e attiva la dinamica percettiva. Il “grado zero” della pittura è quello in-visibile.
Se gli Screen paintings ruotano attorno all’idea di schermo, dove la luce diventa un aspetto imprescindibile per la loro “attivazione”, le serie Cars, Glass windows e Windows non prevedono invece la presenza di una fonte luminosa direzionabile e si fondono con il contesto in cui sono immerse, assorbendo texture e colori ogni volta diversi. In che modo aspetti come la variabilità e la durata, generalmente riferibili all’ambito delle immagini in movimento, si riflettono in queste serie più urbane?
Rispetto alla durata e alla variabilità del dipinto abbiamo: staticità (Screen paintings), casualità (Cars), modulabilità (Glass Windows e Windows).
La serie Cars ha una durata e una variabilità date dal movimento del veicolo e dalle fonti luminose esterne, quindi la variabilità e la durata dell’animazione del dipinto sono potenzialmente infinite e casuali. Nelle serie Glass Windows e Windows, invece, le immagini sono dipinte su supporti statici come una vetrina di un negozio o una finestra domestica ed hanno un movimento limitato. In questo caso, è lo spettatore con la sua vista ad attivarli e, volendo, a creare proiezioni luminose utilizzando anche una semplice flashlight del cellulare puntandola sul dipinto.
Fin dal Rinascimento la produzione artistica è costellata di opere che riflettono sul rapporto tra arte e scienza, privilegiando in alcuni casi l’aspetto scientifico, in altri la dimensione più propriamente estetica. Il progetto Diateca vegetale, iniziato durante la residenza Tagli, fa di questo binomio un punto di indagine privilegiato, traducendosi in immagini in bianco e nero che in apparenza non mostrano alcun legame con il soggetto studiato. Che rapporto c’è tra queste due diversi ambiti in questo lavoro e, in generale, nella tua ricerca?
In Diateca Vegetale il rapporto tra scienza e arte si manifesta sia nel modo di osservare, sia attraverso la documentazione del regno delle piante. Le epidermidi traslucide/trasparenti delle foglie sono gli unici elementi del mondo vegetale ad avere una caratteristica fisica associabile al concetto di trasparenza: essendo prive di pigmenti cromatici, sotto la lente del microscopio non mostrano traccia di colori. Si innesta così un’ambiguità e una connessione tra le vecchie documentazioni ottocentesche in bianco e nero e uno studio estetico contemporaneo, che cataloga scientificamente i campioni osservati selezionando specifiche caratteristiche estetiche.
Tra i progetti in campo nei prossimi mesi rispetto a questo filone di ricerca, c’è una collaborazione con l’Orto Botanico di Palermo, dove avrò modo di osservare diverse epidermidi di foglie, fiori e frutti, per poi documentarle attraverso una serie di microfotografie, portando alla luce l’eterogeneità estetica del tessuto epidermico vegetale.
Durante l’Open Studio di VIR Viafarini-in-residence hai presentato il progetto Serpentine Dance dove, mettendo da parte la classica dialettica immagine-superficie, indaghi le possibilità di una rappresentazione pittorica espansa. Che cosa ti interessa di questa dimensione potenzialmente ambientale della pittura e quali possibili estensioni intendi sperimentare?
Negli ultimi progetti si è fatta più forte la volontà di indagare e sperimentare le diverse possibilità di relazione tra pittura-luce-spazio, il tutto nell’assenza di colore. Nel caso di Serpentine Dance, mi interessa come da un singolo oggetto dipinto si possano ottenere molteplici rifrazioni della singola immagine-matrice sfruttando le potenzialità ottiche del prisma. In altri casi, come The Great Projection, ho voluto portare in luce e giocare con la modulazione luminosa stessa in termini di dimensione e intensità. Da un piccolo dipinto acromatico (20 x 22 cm), The Great Projection si manifesta in una proiezione di 5 metri che riconfigura e lavora sulla percezione dello spazio.
Ultimamente sto indagando ed estendendo altre possibili tecniche di proiezione, come la sperimentazione olografica e schermografica. Un esempio in questa direzione è Cristallino, una sfera di cristallo ottico presentata in un ex-bunker, che catalizza e “cristallizza” le fonti luminose al suo interno. Intendo sempre più portare la mia ricerca a riflettere su come integrare proiezioni luminose atipiche sia nel settore artistico che sociale, portandole all’interno di una discussione estetica sul fascino relazionale tra pittura, luce e spazio.
Nel mio orientamento luminoso e nell’interesse per l’incontro tra diverse discipline, un merito va in particolare ai maestri fiamminghi,aVermeer, Thomas Wedgwood, Francesco Lo Savio, Carla Accardi, Italo Calvino, James Turrell e Aleksandr Sokurov: è grazie a tutti loro se sono legato alla leggerezza, all’in-visibilità, alla trasparenza e alla luce.
Staging the Residency | Rebecca Agnes
Staging the Residency | Raffaele Morabito
Staging the Residency | Eleonora Roaro