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Slow Manifesto: sulla scomparsa del desidero e la sua riappropriazione | A plus A, Venezia

Frammentazione, bisogni indotti e individui iperstimolati diventano i temi cardine della mostra alla galleria A plus A, tra critica al sistema e invito alla lentezza.
Lauren Lee McCarthy, Follower, 2016, costum software, perfomance, photographs, film, text, phones. Courtesy of the artist ph Clelia Cadamuro

Slow Manifesto, ospitata presso la galleria A plus A di Venezia e visitabile fino al 15 luglio,  è curata dai partecipanti della 32esima edizione del Corso in Pratiche Curatoriali e Arti Contemporanee della School for Curatorial Studies Venice. La mostra affronta un tema urgente: la manipolazione del desiderio nella società contemporanea. In un contesto dominato da una mercificazione diffusa e pervasiva, l’individuo fatica a riconoscere i suoi bisogni reali, mentre il desiderio, influenzato dai subdoli meccanismi del mercato, viene trasformato in uno strumento funzionale alla produzione costante e insaziabile. I bisogni immediati, effimeri e momentaneamente appaganti creati dal sistema consumistico, alimentano una macchina produttiva da cui non pare esserci via d’uscita. D’altronde, come affermava Mark Fisher “È più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo”. In questo contesto, anche le facoltà immaginative vengono messe in crisi e il desiderio – da sempre motore di trasformazione – viene deviato, generando così uno stato di disorientamento e paralisi collettiva.
Slow Manifesto propone di invertire questa tendenza. È un invito a riappropriarsi del desiderio come fonte di creazione e cambiamento, in relazione a un necessario rallentamento. Fermarsi, osservare e ascoltare diventano atto politico, gesto poetico e forma di resistenza capaci di generare nuove consapevolezze individuali e collettive.

Questa riflessione si traduce nello spazio espositivo attraverso un articolato percorso visivo e concettuale, che si sviluppa in due ambienti agli antipodi, resi possibili dalla stessa conformazione della galleria. Entrando al piano terra si viene bombardati da una serie di immagini e input visivi, che restituiscono la condizione attuale degli individui sovrastimolati. Lavori video come quelli di Riccardo Benassi, Petra Cortright ed Esther Gamsu dialogano con le pitture di artisti veneziani come Thomas Braida e Nina Ćeranić, in un crescendo di frammenti visivi che diventano metafora del desiderio deviato. Opere seducenti, come quelle di Numero Cromatico e Sylvie Fleury, utilizzano materiali morbidi e frasi rassicuranti per creare un’estetica ambigua, capace di mettere lo spettatore a proprio agio, ma anche di svelare la superficialità delle promesse del sistema. 

SLOW MANIFESTO, exhibition view, 2025, School for Curatorial Studies Venice, A plus A Gallery, ph Clelia Cadamuro
SLOW MANIFESTO, exhibition view, 2025, School for Curatorial Studies Venice, A plus A Gallery, ph Clelia Cadamuro

Lauren Lee McCarthy, con Follower (2016), mette in scena un’opera inquietante sul controllo, la sorveglianza e la volontà di essere visti: su alcuni schermi scorrono le immagini raccolte da uno stalker ingaggiato volontariamente dal pedinato. Il risultato è un’esperienza disturbante, che interroga il nostro rapporto con la visibilità e l’esposizione continua.
Al piano superiore, il tono cambia radicalmente. Si entra in una dimensione più contemplativa, favorita dall’ambiente in penombra e decisamente più silenzioso. I lavori video di Jon Rafman e Rafaël Rozendaal – in cui vediamo immagini lente e simboliche – invitano a riflettere, a riprendere tempo e concentrazione. Tra le opere esposte, Selection from the series Internet (2001-2025) di Rozendaal spicca per intensità e capacità evocativa: ogni giorno viene proiettato un nuovo lavoro, a sottolineare che anche la contemplazione può essere spazio di evoluzione e trasformazione continua.
L’intento di Slow Manifesto è tanto necessario quanto coraggioso. Eppure, persiste un senso di impotenza: le alternative sembrano mancare o risultano impensabili. Come racconta sempre Mark Fisher, la tendenza a considerare il sistema odierno come l’unico possibile impedisce di pensare ad un futuro desiderabile. In questo scenario anche l’arte, – da sempre veicolo di immaginazione e possibilità – sembra perdere la sua forza trasformativa, ma è proprio nella sua capacità di sollevare domande e creare fratture nel pensiero dominante che risiede il suo potenziale. In questo senso, Slow Manifesto non offre soluzioni ma invita a non rinunciare alla possibilità di immaginare, ad aprire spiragli per un nuovo e necessario inizio.

Thomas Braida, Cane, 2024 oil on canvas, wooden frame and resin, 86×139 cm Courtesy of the artist and Monitor, ph Clelia Cadamuro
Rafaël Rozendaal, selection from the series Internet, 2001-2025, digital animation using generative algorithm. Courtesy of the artist ph Clelia Cadamuro