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La riflessione sul tempo è il filo conduttore dei tre artisti della collettiva Silently Close are Some Particles, curata da Marinella Paderni nella galleria Z2O Sara Zanin di Roma (fino al 18 novembre). Silvia Camporesi, Letizia Cariello e Jakub Woynarowski raccontano con le loro opere tre modi differenti ma complementari, una personalissima esperienza del tempo. Dall’universale all’individuale, i loro lavori indagano la complessità dello scorrere temporale dell’esistenza, seguendo un tempo fisico, umano, digitale o storico.
“L’arte ha il potere di rendere universale un accadimento all’apparenza poco importante per la società di oggi, di portare l’attenzione su di esso e di mostrarlo con un approccio inedito”, spiega la curatrice nell’intervista che segue. Ecco allora tre prospettive affascinanti e inconsuete sul concetto, tra i più chimerici, di tempo: un tempo storico e simbolico per Woynarowski; una temporalità mitica ed enigmatica per Camporesi, una temporalità esistenziale per Cariello.
ATP: Nell’introdurre la mostra che curi alla galleria Z2O Sara Zanin, accenni alla capacità degli artisti di guardare “con grande intuizione l’esistenza di fenomeni apparentemente inspiegabili, di piccole magie a cui non si presta più attenzione, di misteri che si ripetono nel tempo”. Su quali basi hai messo in relazione le ricerche dei tre artisti – Silvia Camporesi, Letizia Cariello, Jakub Woynarowski – invitati in galleria?
Marinella Paderni: Pur essendo differenti tra loro per linguaggio e ricerca concettuale, tutti e tre gli artisti trattano il tema del tempo, una materia così indefinibile e complessa, centrale nella vita delle persone, sempre più definita dalle nuove tecnologie. Il tempo fisico, il tempo umano e quello digitale hanno una natura contrastante, non sempre s’incontrano, l’uomo di oggi fatica a viverli senza rischiare di perdersi o sviluppare nevrosi. Poi c’è anche il tempo storico, collettivo, esteso alla dimensione biografica, tanto analizzato oggi dall’arte sia sul piano della memoria che degli archivi.
Il lavoro di Silvia Camporesi, Letizia Cariello e Jakub Woynarowski approfondisce l’esperienza contemporanea del tempo con approcci differenti ma complementari, ciascuno presentando l’immagine del suo tempo, che presenta anche elementi universali, condivisibili con gli altri – la temporalità mitica e enigmatica per Camporesi, una temporalità esistenziale per Cariello, un tempo storico e simbolico per Woynarowski.
ATP: Ognuno dei tre ha un linguaggio sia tecnico che formale molto differente. Penso al quasi esclusivo utilizzo della fotografia da parte della Camporesi e all’abile manualità di Letizia Cariello. Pensi che le forme espressive assecondino la capacità di guardare e approfondire certe tematiche affrontate dagli artisti?
MP: Sì, i linguaggi scelti dagli artisti sono dispositivi di esplorazione del mondo ed esprimono la loro relazione con le realtà che vivono e indagano. Lo sguardo fotografico sopperisce ai limiti analitici dell’uomo e trasforma la realtà in un oggetto da osservare; la scrittura esprime fisicamente il rapporto tra idea e materializzazione di un pensiero, consente di visualizzare il tempo psicologico ed emotivo difficilmente rappresentabile. Il disegno ordina il tempo nel spazio (questo lo fanno anche la scrittura e la fotografia), però lo rende manifesto in un solo colpo d’occhio esprimendo con icone, segni e simboli ciò che la realtà tende a mantenere più nascosta, in particolare quelle trasformazioni che il filosofo François Jullien chiama “silenziose” e che hanno ispirato il titolo della mostra.
ATP: Accomuna le loro opere in mostra “lo sviluppo di un evento nel tempo”. A cosa ti riferisci nello specifico? A quale evento fanno capo i tre artisti?
MP: Si tratta di eventi collettivi che sono presenti nel quotidiano, che più o meno conosciamo ma che sono meno visibili, deflagranti, mediatici di altri. O anche di eventi personali, intimi, che hanno una risonanza nelle vite degli altri e che modellano in modo simile le esistenze. L’arte ha il potere di rendere universale un accadimento all’apparenza poco importante per la società di oggi, di portare l’attenzione su di esso e di mostrarlo con un approccio inedito: ad esempio, Woynarowski ha elaborato una sua teoria della cospirazione studiando la genesi dei linguaggi cifrati, come quello massonico o altri adottati da alcuni artisti del passato. Oggi non ci si sofferma a pensare quanto questi codici siano presenti nel linguaggio comune e nelle immagini quotidiane; anche se rimangono apparentemente silenti, hanno degli effetti sulla percezione della realtà.
L’attenzione, invece, data dalla Camporesi alle vite di personaggi poco noti al grande pubblico – che hanno sfidato le convenzioni con le loro intuizioni e le loro imprese -raccontano come le loro azioni di allora hanno una ripercussione nelle vicende odierne. Come Nicola Bendandi, pseudoscienziato faentino che ha elaborato una sua teoria sui terremoti senza fondamento scientifico, rivelatasi vera con i recenti sismi italiani.
ATP: Entrando nel merito delle opere in mostra. Per Silvia Camporesi parli di “sguardo oggettivante”. Mi introduci meglio questo concetto?
MP: Nel lavoro immaginifico di Silvia Camporesi vengono indagati fenomeni scientifici singolari, enigmi irrisolti o imprese controcorrente avvenute nel passato. L’artista ricorre allo sguardo oggettivizzante e documentario della fotografia per dare una consistenza reale a vicende inspiegabili razionalmente, mostrando allo stesso tempo i limiti di un dispositivo non sempre capace di andare oltre l’apparenza del visibile. Questo nuovo lavoro fotografico ha un titolo evocativo, Almanacco sentimentale, che dice subito quanto le immagini presentate siano espressioni di una sua raccolta nel tempo di appunti e memorie affettive. L’artista ha trovato queste immagini casualmente nel corso degli anni e le ha riprodotte solo oggi, prima riproducendole con piccoli set, poi fotografandoli per dare un’aura di verità alle nuove fotografie. La sua ricerca è molto vicina al pensiero di Susan Sontag sulla banalità diffusa generata dalla fotografia e dalla “cecità” contemporanea davanti alla verità delle immagini.
ATP: Come viene formalizzato o accennato il “tempo interiore” di Letizia Cariello, nelle opere che espone in mostra?
MP: Letizia Cariello scrive calendari da molto prima di diventare artista, impiegando diversi supporti e modalità di rappresentazione. A Roma presenta due nuovi calendari circolari, su cui vi ha aggiunto elementi inediti, come delle piume cucite su alcuni giorni. La sua scrittura è un portare fuori da sé il tempo della sua vita, ordinando un anno secondo una sequenzialità circolare di lettere e numeri scritti su lenzuoli da corredo, che ricordano un cifrario segreto. È un lavoro di numerologia personale atto a rendere fisicamente concreto, visibile il suo tempo interiore. Mentre lo scrive, la sua memoria si muove tra passato, presente e avvenire; riscrivendo il tempo vissuto, emerge una diversa consapevolezza del suo esistere. Lo spettatore può ritrovare parte del suo tempo personale in quello dell’artista proiettandosi nel suo flusso.
ATP: Quali “schemi visivi ricorrenti” hanno colpito l’immaginazione di Jakub Woynarowski, tanto da metterli in relazione con il tempo presente?
MP: L’artista approfondisce da tempo i simboli visivi ricorrenti nella storia dell’arte e in special modo impiegati dalle filosofie occulte, dalla teosofia, dai cifrari massonici. I suoi grandi diagrammi a parete (realizzati con la tecnica del wall-drawing) creano relazioni e affiliazioni concettuali tra immagini e tempi del passato: le immagini riproducono spesso luoghi misteriosi, quali giardini popolati da architetture geometriche, foreste di solidi geometrici, cimiteri, piazze deserte arredate con i simboli dell’alchimia o della massoneria. In ognuno di questi disegni lo spettatore può scoprire la presenza ricorrente di icone e simboli che dall’antico Egitto ad oggi vengono utilizzati per esprimere l’occulto, il misterioso e ciò che non è ancora definibile. I diagrammi realizzati finora sono tre e riportano tutti il titolo di Ordo Novus Seclorum. Quello di Roma è sviluppato su due pareti contigue: seguendo lo schema visivo dell’artista, si percorre una sorta di tassonomia simbolica in cui si vede il valore gnoseologico della geometria data dalle filosofie antiche ad oggi nel tentativo umano di regolare gli elementi e le forze misteriose del mondo.