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Short interview with Guido van der Werve | Auto Sacramental, FuturDome, Milano

[nemus_slider id=”73426″] — Breve intervista di Mattia Solari / Testo di Marco Arrigoni Sort interview with Guido van der Werve —  ATP: Your first retrospective in Milan is titled “Auto Sacramental”, “sacramental act”, these were devotional plays produced in Spain since...

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Breve intervista di Mattia Solari / Testo di Marco Arrigoni

Sort interview with Guido van der Werve — 

ATP: Your first retrospective in Milan is titled “Auto Sacramental”, “sacramental act”, these were devotional plays produced in Spain since middle age about sacred issues. What have these holy parades to do with your show?

DvdW: I didn’t come up with that name, so for there was no meaning.

ATP: Could you disclose any detail of the upcoming performance you will stage at Futurdome on April 9th?

DvdW: We will perform live some music that I wrote with an orchestra and conductor.

ATP: In the exhibition we will see twenty works of yours, did you devise an itinerary throughout Futurdome? Do you structure the exhibition along chronological or thematic way? How do you use space when you display multiple videos?

DvdW: The curators and me walked through the building to come up with a way to show the work not chronically but more emotionally.

ATP: You have been studying music, archaeology and industrial design among others, how have all these different disciplines influenced your artistic practice?

DvdW: I found a way to combine all of my different interests in art.

ATP: Your work has been sometimes compared to that of Chris Burden or Bas Jan Ader, as an art that test life limits, physically and conceptually, and its fragility with an ironical and poetical approach, so I’m left to wonder what happens once you reach the border, is there ever a sensation of fulfilment or is it just the journey its reward?

DvdW: The journey is its reward, I run a lot and see the finish line only as the start of the next race.

FuturDome ospita una grande personale dell’artista nederlandese Guido van der Werve (1977, Papendrecht, Paesi Bassi), in programma fino al 12 aprile 2018. La curatela è di Atto Belloli Ardessi e Ginevra Bria.

Sono presenti, nelle diverse stanze del palazzo, venti opere, tra film, videoinstallazioni e composizioni musicali, che percorrono un arco temporale di circa un ventennio.
Van de Werve crea video in cui domina un sentimento diffuso di malinconica inadeguatezza nei confronti del mondo, di nostalgico rapporto con le musiche dei compositori romantici, di instancabile messa alla prova del corpo umano. Si tratta spesso di video in cui la resistenza fisica, la lotta con le condizioni climatiche e lo studio fisionomico diventano metafore della pratica artistica. Come ottusi da un velo di nebbia, passando da un lavoro all’altro ci resta addosso un fastidioso interrogativo, il solito e banale ma più antico sull’essere umano: quello sulla fragilità, sull’insensatezza, sulla forza del pericolo come motore per ridire la nostra vita.
A volte sembra che van de Werve appaia come una vittima che non si arrende, che non cede all’assenza di risposta, e per trovare un possibile presupposto non di rivincita ma di sopravvivenza accetti sfide scandite e ritmate dalle musiche che lui compone per provare ad andare un po’ più in là.

Come incipit l’opera che introduce la mostra, una delle sue più famose, in l’artista è filmato mentre cammina sullo strato di un mare ghiacciato seguito da un’enorme nave che rompe la superficie e crea dietro di sé un canale di acqua gelida. Il rischio è evidente: lui potrebbe cadere per un rallentamento involontario o ad un aumento di velocità imprevisto della nave, e finire tra le eliche velocissime. Lui indossa un cappotto elegante e aperto, come se stesse camminando in città. Il contrasto tra la normalità che lui incarna e l’assurdità della scena dà un’importanza assoluta all’atto quotidiano del camminare, pregando che non gli ceda un ginocchio o gli venga un crampo. Camminare senza fermarsi mai. L’opera è Nummer acht, everything is going to be alright, 10’10”, 16 mm film to HD, Gulf of Bothnia FI, 2007.
Sempre sul ghiaccio, ma al Polo Nord, sull’asse del mondo, Van de Werve si fa filmare per 24 ore mentre sta in piedi immobile per non muoversi con la Terra, ma facendola girare intorno a lui. Come sottofondo c’è una composizione per piano interpretata dall’artista stesso. Sembra quasi una prova del nove. Ha corso, ha scalato, si è sparato, ha modificato la propria camminata…e se rimanesse fermo, totalmente fermo, più fermo del mondo? L’opera è Nummer negen, the day I didn’t turn with the world8’40 (time-lapse photography to HD video, Geographic Northpole, 2007).

L’artista cerca anche di deformare il suo corpo per esacerbare modalità di visione e di stasi nel mondo. Ne è un esempio il video The Walking Pigeon del 2001, molto breve (1’43”), dove lui indossa un dispositivo meccanico in legno che gli impone una camminata e un posizionamento del corpo sicuramente non naturali. Come dice il titolo, uno degli obiettivi è quello di attuare la marcia del piccione, con l’andirivieni del cranio e il piegamento della zampe. Van de Werve dà importanza allo sguardo, “che attraverso l’obiettivo della telecamera incorpora la prospettiva di un altro piccione, con punto di vista dal basso e visione periferica tremolante: lo spettatore stesso”.
Un altro aspetto tipico dei suoi lavori è l’attenzione riposta all’espressività pressoché assente che lui esprime, come essenza di uno stadio di impassibile e indisturbata messa alla prova dei prerequisiti vitali per giungere ad un risultato forse almeno scientifico, forse almeno psichico. Sembra non esserci mai un’aspettativa, e anzi forse domina anche la pacifica attesa della mancanza di cambiamenti. A questo proposito si potrebbe citare il video Suicide no 8945 till 8948 (2001, 1’06’’) in cui van de Werve ripete per quattro volte il gesto di spararsi alla testa, che comporta l’azionarsi di una pompetta dietro al sua testa che spruzza sangue magenta sulle foglie di una felce d’appartamento. Lo spettatore capisce subito la finzione che supporta il gesto, e ne trova conferma nel viso impassibile e nello sguardo vuoto dell’artista. Non accade niente, e forse riprova quattro volte per accertarsi che davvero in lui non ci sia spostamento. “Componendo una sorta di commento ironico sulla sua professione; suggerendo che qualunque sia il suo gesto da artista, anche se è l’atto o il suicidio, l’effetto potrebbe essere inesistente, indifferente al mondo. Ma il dramma semplicemente si rifiuta di trasformarsi in tragedia”.

Un altro video che tratta il tema della morte e del suicidio è Nummer twee, just because I’m standing here doesn’t mean I want to (03’08”, 35mm, Papendrecht NL, 2003) in cui van de Werve viene ripreso mentre cammina indietreggiando (per guardare lo spettatore) nel traffico, fino ad essere investito e rimanere a terra privo di sensi, o morto. Arriva poi un furgone della polizia da cui scendono cinque ballerine in tutù rosa che eseguono sulla strada una coreografia studiata per il Concerto fatto per la notte di Natale di Arcangelo Corelli.

Guido van der Werve, Nummer veertien, home, 54’00”, 4k video, diverse locations and countries, 2012_Courtesy Monitor Lisbon, Rome
Guido van der Werve, Nummer veertien, home, 54’00”, 4k video, diverse locations and countries, 2012_Courtesy Monitor Lisbon, Rome

Non bisogna dimenticare il titolo della mostra: Auto Sacramental. Come ben spiegato nel comunicato stampa, (in spagnolo “auto” si traduce atto) [e il titolo] evoca i componimenti drammatici ciclici, messi in scena all’aperto e in atto unico, nati in Spagna agli inizi del Trecento, poi sviluppati nel medioevo in tutta Europa. Gli autos sacramentales svolgevano una funzione dialettica durante le processioni trecentesche del Corpus Christi, esprimendosi con grande forza teatrale, unita a una naturale espressività, il mutamento della transustanziazione del corpo e il mistero della fede. Ogni auto sacramental, interpretato da attori non specializzati, si basava sull’uso di figure allegoriche e di simboli che si materializzavano durante le azioni sceniche, nel pieno rispetto della gerarchia di valori esistenti tra l’uomo e le forze soprannaturali. Nei secoli, venendo meno anche il valore originario di composizione drammatica religiosa, molti autos hanno assunto un argomento profano, glorificando non tanto un evento passato, quanto la materializzazione di un miracolo presente. All’interno del quale la tensione estrema del corpo, tra nascita e rinascita, si manifesta come memento nei confronti delle polarità della vita. 

Per promuovere la mostra è stato scelto un fermo immagine del video Nummer zestien, the present moment (58’00”, 3 channel 4k video, Amsterdam, 2015); a livello estetico si discosta dalla linea generalmente riconosciuta negli altri lavori, sebbene proponga un discorso riconducibile alle corde di van der Werve. Si tratta di un video a tre canali disposti su tre pareti della prima sala della mostra. Sono filmati donne e uomini, prima vestiti di nero e poi tutti nudi, che camminano, si guardano, si siedono, stanno fermi, scopano. I tre video sono una sorta di specchio impreciso delle tre età dell’uomo e la rappresentazione di tre suoi stati mentali: il primo gruppo mostra la vulnerabilità della nostra esistenza, il secondo contempla la pace interiore e l’equilibrio, mentre l’ultimo gruppo incarna il corpo dell’intimità. Anche qui regna quel senso di impassibilità, di vuoto e assenza che si ritrova negli altri lavori. Il contesto scenico aiuta ancora di più questo aspetto: sfondo nero e pavimento nero. “I tre video indagano tre livelli di coscienza codificati: id, ego e superego. Il film è strettamente strutturato su diversi assi di tempo: giorni, mesi, anni. Ci sono dodici atti, corrispondenti ai dodici mesi dell’anno. I movimenti della telecamera (sincronizzati attraverso tutti e tre gli schermi) durante ogni atto seguono i disegni schematici delle dodici costellazioni zodiacali presentate all’inizio di ogni atto. L’umore esistenziale dell’opera è reso più tenero dalla partitura musicale scritta da van der Werve, un peana composto in dodici parti nei dodici tasti principali; una registrazione dell’artista che, per la prima e unica volta, in questo primo film non appare fisicamente”.

In mostra ci sono anche le seguenti opere: Nummer vier, I don’t want to get involved in this. I don’t want to be part of this. Talk me out of it (11’49”, 35mm, Zandvoort, Siitama & Enschede, NL, 2005); Nummer zes, Steinway grand piano, wake me up to go to sleep and all the colours of the rainbow (17’09”, 35mm, Amsterdam NL, 2006); Nummer zeven, the clouds are more beautiful from above (8’48”, HD video, Amsterdam NL, 2006); Nummer twaalf, variations on a theme; the king’s gambit accepted, the number of stars in the sky, and why a piano can’t be tuned, or waiting for an earthquake, (40’00”, 4k video, 2009); Nummer dertien, emotional poverty in three effugium (2011); Nummer veertien, home (54’00”, 4k video, diverse locations and countries, 2012).

Guido van der Werve, Nummer vier, I don’t want to get involved in this. I don’t want to be part of this. Talk me out of it. 11’49”, 35mm, Zandvoort, Siitama & Enschede, NL, 2005_Courtesy Monitor Lisbon, Rome
Guido van der Werve, Nummer vier, I don’t want to get involved in this. I don’t want to be part of this. Talk me out of it. 11’49”, 35mm, Zandvoort, Siitama & Enschede, NL, 2005_Courtesy Monitor Lisbon, Rome
Guido van der Werve, Nummer zestien, the present moment, 58’00”, 3 channel 4k video, installation with pianola. Amsterdam, 2015_Courtesy Monitor Lisbon, Rome
Guido van der Werve, Nummer zestien, the present moment, 58’00”, 3 channel 4k video, installation with pianola. Amsterdam, 2015_Courtesy Monitor Lisbon, Rome