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Short interview n. 8 > Alessandro Piangiamore

Una conchiglia vuota gocciola su un pavimento di cemento, 2011 Untitled Se la terra è pesante, 2011 Due solo due, 2011 Untitled*** Art * Text * Pics: Mi spieghi la mostra in poche righe?Alessandro Piangiamore: Premetto sempre che non sono...

Una conchiglia vuota gocciola su un pavimento di cemento, 2011


Untitled
Se la terra è pesante, 2011
Due solo due, 2011
Untitled
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Art * Text * Pics: Mi spieghi la mostra in poche righe?
Alessandro Piangiamore: Premetto sempre che non sono mai stato un manierista. O meglio: non mi è mai interessata la maniera relativa alla forma quanto più, quella di approccio alle cose.
È sempre difficile parlare del proprio lavoro, probabilmente perché composto di immagini, le quali, per loro natura, sono difficili da comunicare.
Ci sono diversi lavori, tutti realizzati con mezzi differenti: ” Una conchiglia vuota gocciola su un pavimento di cemento” consiste in una lastra in cemento in cui è incassata una conchiglia, il cui interno è sempre pieno d’acqua. Mi piacciono i coralli e le conchiglie, è un’affezione che mi ha trasmesso mia madre. Sono degli elemtni che appartengano a quella componente di mondo che, per essere esplorata, richiede uno sforzo in più, un adattamento.
Durante l’inaugurazione della mostra, inoltre, ho chiesto a quattro miei amici molto cari di sollevare ripetutamente la lastra (pesa 200 Kg) in maniera continuata, provando a non far cadere l’acqua. Un’azione apparentemente inutile e dispersiva ma che per me ha il valore di sacrificio. Le persone che hanno realizzato l’azione sono, come dicevo, degli amici, sempre presenti nel mio percorso di vita e di lavoro. Sono i miei giganti. Farlo fare a degli attori non avrebbe avuto alcun senso.
Poi ci sono undici incisioni, riproduzioni di immagini, alcune mie, altre trovate nel corso del tempo. Non saprei definire il meccanismo che mi ha portato a selezionarle. Forse il fatto che mi sembrano delle immagini incerte, non collocabili in una precisa sfera temporale: è difficile e arbitrario definirle. Solo alla fine, quando tutto era pronto, mi sono reso conto che tutte e undici hanno come caratteristica comune l’elevazione.
Inoltre, tradurle in incisione – che è una tecnica sulla quale lavoro da un po’ di tempo – deriva dal fatto che l’incisione calcografica è stata il mezzo che ha permesso la diffusione delle immagini e del testo in tempi remoti. La tiratura in due esemplari crea invece quello scarto minimo tra ciò che è un disegno e appunto, la sua possibilità di essere riprodotto.
L’opera “Se la terra è pesante” consiste in una grande tenda, delle dimensioni di un’intera parete, sulla quale è stampato un ghiacciaio. E’ curioso il fatto che anni fa realizzai uno dei miei primi paesaggi divisi in due, dandogli come titolo “Fastitocalon”, che è una balena che compare ne “Le mille e una notte”. La bestia in questione aveva come caratteristica quella di prendere le sembianze di un’isola, aspettando che i marinai vi approdassero, e quando questi si addormentavano, si immergeva.
C’è un lavoro, forse un po’ più criptico, che se dal mio punto di vista richiede solamente un leggero sforzo da parte di chi lo guarda. Si chiama “Due solo due” ed è una riproduzione nei sette colori dell’iride di un occhio leggermente sovradimensionato, quasi ciclopico. Era una vecchia pubblicità di un collirio e la scritta “due solo due” era pre-esistente.
Unica nota: è installato leggermente più in alto dell’occhio di chi guarda.
ATP: Nel testo che hai scritto in occasione della mostra, parli di come le opere nascano da dei ‘presagi’. Cosa intendi?
AP: …dico che non invento nulla a parte ciò che esiste. Le opere sono il risultato, a volte immediato, di una stratificazione che avviene nel tempo. I presagi di cui parlo sono sensazioni personali, in relazione al vissuto, al modo di guardare. Viene tutto dal mondo. Un po’ come in “Brevi storie di cadute”. Nulla di stupefacente, sono cose che appartengono a tutti, ad ognuno a suo modo.
ATP: Perchè sei alla continua ricerca di archetipi?
AP: Direi che sono alla continua ricerca di nuovi archetipi, è di per sé, una contraddizione in termini. L’archetipo, per sua definizione, è qualcosa di preesistente nella coscienza di ognuno, oltre la conoscenza diretta che si possiede di una cosa specifica. Un archetipo, insomma, non può essere inventato, tutt’al più può essere scoperto. E’ una ricerca finalizzata a realizzare immagini che possano permeare me stesso prima di tutto, come se avessero sempre fatto parte del mio vissuto, per poterle poi lasciarle libere di andare in giro.
ATP: ‘Tutto ciò che è stato fatto dagli uomini ha sempre potuto essere rifatto dagli uomini’. (Walter Benjamin) Lo pensi davvero?
Lo penso veramente, si. Se si concepisce qualcosa è perchè quella cosa è possibile.
Fare non corrisponde necessariamente a concretizzare. Come dire : qualcosa inizia ad esistere nel momento stesso in cui è concepita, al di là della sua materialità. Così come una storia comincia ad esistere nel momento in cui viene raccontata.
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Alessandro Piangiamore
Testimone di fatti ordinari
08/06 – 15/09
Magazzino, Roma
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