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Short interview n. 6 > Flavio Favelli ‘Hotel Giappone’

*** Flavio Favelli – HOTEL GIAPPONEa cura di Antonio Grulli Art * Texts * Pics: Mi racconti la mostra in poche righe?Flavio Favelli: Lo spazio di Farnè è dove c’era il Grand Hotel Brun di Bologna bombardato nell’ultima guerra. Con...

Flavio Favelli – HOTEL GIAPPONE
a cura di Antonio Grulli

Art * Texts * Pics: Mi racconti la mostra in poche righe?
Flavio Favelli: Lo spazio di Farnè è dove c’era il Grand Hotel Brun di Bologna bombardato nell’ultima guerra. Con Bologna ho un rapporto conflittuale, la famiglia di mia madre era molto bolognese, dei parenti avevano lavorato all’Hotel Brun che era uno dei primi centri commerciali di lusso. Gli hotel poi per me sono stati sempre i viaggi, quando mia madre mi portava via da casa, i set, le carte da lettere intestate, le cartoline, mi sembrava che fosse una realtà parallela, più libera, indipendente, lontana dai problemi di famiglia.
Oltre ad essere una mostra che ha a che fare con gli hotel è una mostra sui miei ricordi e sulle mie immagini rispetto agli hotel. C’è una grande insegna con neon fucsia HOTEL, c’è un pavimento rialzato nero e decorato con disegni avorio, ci sono dei miei disegni su carte intestate originali di hotel. Ho disegnato il logo El Al sulla carta del King David di Gerusalemme, amo queste immagini.
ATP: Non è la prima volta dove affronti il tema dell’hotel. Perchè questa scelta?
FF: Come ho detto certi termini, certi luoghi, certi nomi mi catturano per il fatto che sono stati decisivi nel mio passato. Mia madre decise, quando avevo 8 anni, di farmi viaggiare con lei per tutto il paese e poi l’Europa. La vita, pensava, era meno triste con l’arte, era un’evasione dai problemi della mia famiglia. Captavo da qualche parte il vero motivo di queste visite: era legato allo stare lontano, anche con i pensieri, da casa. L’arte nascondeva, ma alla fine dava risalto, al dramma familiare. La mia infanzia e la mia adolescenza furono un continuo fuggire coi viaggi d’arte da quello che c’era in casa. Gli hotel erano i complici di questa fuga.
ATP: Spesso recuperi avvenimenti, ricordi, memorie per far rivivere oggetti desueti. Perchè?
FF: Perchè provo piacere. Tento di ricostruire immagini e ritagli delle immagini della mia memoria personale e tutto questo è molto forte e mi dà un piacere speciale. Ho passato la mia infanzia e la mia adolescenza in mezzo a delle forti tensioni familiari. Da figlio unico, spesso solo, nella casa dei miei genitori prima a Firenze poi a Bologna e in quella dei miei nonni e poi nella casa delle vacanze sull’Appennino. La casa dei miei nonni era un emporio di oggetti e cose antiche, mio nonno amava possedere. Tutti quegli oggetti parlavano, le radiche, le ceramiche, gli avori, i cristalli, le cornici, la tavola imbandita. Mi ricordo tutto perchè gli incubi e i sogni ballavano con gli arredi e i tappeti e le frange delle poltrone. L’unico regalo che ho fatto a mio nonno per tutti i suoi compleanni è stata l’acqua di colonia Roger e Gallet, la metteva nel fazzoletto ogni mattina. Quel periodo secondo me tutto andò molto male. E’ come se lo volessi ricostruire, riportare in vita, forse per farlo andare bene o forse per tentare di riviverlo e basta, come si vorrebbe rivivere certi momenti passati per rimetterci le mani. Gli oggetti, i pavimenti, i mobili, gli arredi a volte fanno riapparire tutto ciò.
ATP: Le tue mostre hanno sempre un’atmosfera ‘d’altri tempi’. Pensando anche ad altre tue opere passate, ho la sensazione che se viste in un’ideale dimora fatta di tante stanze, le tue opere andrebbero a formare una dimora sospesa nel tempo. Cosa pensi di questa ipotetica grande casa? O grande opera totale?
FF: Sì sono luoghi legati ad un immaginario del mio passato.
E’ come se mi voltassi sempre indietro. Tutti questi ricordi messi insieme e riproposti in forma di oggetti e ambienti possono diventare delle intere case….Ogni cosa che ho a casa proviene da una scelta precisa e così è per le mie opere che sono quasi sempre costituite da oggetti originali e spesso irripetibili e che comunque non ci sono più; spesso per molte mostre ho cambiato il pavimento e le luci perchè sono due elementi determinanti in uno spazio, non mi vanno mai bene i faretti o il cemento verniciato così porto spesso dei lampadari, dei neon, dei tappeti, interi parquet. Quello che passa il convento è sempre spesso troppo regolare. Fra poco inizierò un’opera -forse totale-: il progetto che ho per l’esterno di casa mia. Diventerà una grande scatola-teca fatta con vecchi infissi, telai e finestre, una grande assemblaggio-accatastamento con una cupola che ricorderà l’Atomic Dome di Hiroshima e il Mausoleo di Teodorico. Sarà il mio mausoleo, una grande baracca.

EX-BRUN – FARNESPAZIO©
Galleria del Toro, 1 primo piano
Bologna

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