Short Interview / Gino De Dominicis / …

24 Gennaio 2012
L’artista e il suo doppio, anni ottanta tecnica mista su foto, 23, 5 x 36 cm Collezione privata, Tezze di Arzignano

Calamita cosmica, 1988-1989 – gesso, polistirolo, resina sintetica, anima di ferro, collante vinilico, 8, 7 x 24 x 6, 3 cm

Collezione Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno
 Senza titolo (I gemelli), 1973 Persone viventi fotografia, 14 x 14 cm Collezione Silvio Sansone, Salerno Curtesy Lia Rumma
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Al bookstore della Triennale, mercoledì 25 gennaio è presentato il primo Catalogo Ragionato dedicato all’opera di Gino De Dominicis. Ci troviamo là alle 18.30.


Franco Fanelli: Signor De Dominicis, lei ha recentemente sottolineato l’estraneità di certi linguaggi all’arte visiva. A quali canoni, secondo lei, deve corrispondere l’identikit dell’artista contemporaneo?
Gino de Dominicis: Nonostante la rarità di importanti opere d’arte oggi nel mondo, solo chi riuscirà a stabilire un rapporto non superficiale e più rispettoso per le arti maggiori, pittura, scultura (opere tridimensionali) e architettura potrà capire e decidere il proprio futuro, il proprio presente e il proprio passato. Per quanto riguarda l’identità dell’artista e delle mostre d’arte, va detto che ogni espressione artistica nasce da una peculiare mentalità e da un desiderio che la differenziano ulteriormente da tutte le altre. In particolare la pittura, la scultura e l’architettura che sono immobili, materiali e mute, hanno origine dalla non accettazione della corruttibilità e della morte. Creano forme che non assecondano il tempo e fondano e perpetuano il desiderio di immortalità. Le altre espressioni invece si svolgono nel tempo, lo accompagnano e non confrontandosi con la materia non creano la forma.
FF: Chi considera oggi “artisti”?
GdD: Oggi si crede che chiunque, approfittando delle facilitazioni date dall’ambiente dell’arte, possa entrare a far parte del mondo dei grandi artisti e che con questi verrà confrontato anche se si esprime esclusivamente con performance, video, installazioni multimediali, fotografie, moda ecc. Si scambia la creazione con la creatività. Nelle ultime edizioni della Biennale di Venezia sono stati invitati a esprimersi: registi, fotografi, ballerini, ecologisti, giornalisti, scenografi, poeti, attori, critici, galleristi, stilisti, sociologi, musicisti, commediografi, performer, filosofi, video artisti ecc., e spesso è stato loro addirittura concesso uno spazio maggiore di quello riservato agli artisti visivi. Si crede anche che gli spazi deputati all’arte visiva abbiano il potere di compiere il miracolo di tramutare in opera d’arte qualunque cosa vi venga esposta. E per finire in bellezza, sono stati assegnati il premio per la migliore pittura a un video, il premio per la scultura a delle fotografie e ancora il premio per la pittura a una scultura. Tutte queste balordaggini evidenziano l’incomprensione e la mancanza di interesse per le opere d’arte visiva da parte di chi se ne vuole occupare. Negli spazi che dovrebbero essere destinati all’arte il pubblico, come in un incubo, ritrova invece proprio quei linguaggi che dominano e assorbono ormai quotidianamente l’immaginario collettivo occidentale. Linguaggi più congeniali e forse anche praticabili dagli organizzatori di mostre così da potersi sentire finalmente anche loro un po’ artisti.
  Tentativo di Volo, 1970

FF: Pur essendo per scelta uno degli artisti più appartati tra quelli oggi attivi, sia pure da grande solitario per antonomasia avrà galleristi, critici, collezionisti, colleghi che sente (o sono fattivamente) vicini al suo lavoro. O no?
GdD: Io non lavoro, non ho abbastanza tempo libero per farlo. Creo delle opere e questo posso farlo da solo.
FF: Come vive in un ambiente che reclama dai suoi protagonisti presenzialismo a oltranza?
GdD: Bene. Ho notato invece che nelle occasioni e nei luoghi più interessanti non erano mai presenti persone del cosiddetto mondo dell’arte.
FF: In sostanza, perché ha scelto di “chiamarsi fuori” da anni dal cosiddetto circuito?

GdD: Il “circuito” tra l’altro sforna periodicamente dei piccoli personaggi (che avrebbero molto interessato Sigmund Freud) che vogliono provare il brivido di scocciare gli artisti. Adesso è il turno di Bonito Oliva che non fa altro che parlare di me. Se continua così dovrò disdire l’abbonamento all’“Eco della Stampa” altrimenti il mio studio sarà invaso da ritagli di giornale pieni delle sue banalità.
Ritratto di A. Canaletti
FF: Che rapporti ha con critica, musei, mercato, quotazioni, vendite e tutto ciò che fa dell’arte un lavoro?
GdD: Non mi piace né esporre né vendere le mie opere. Ogni tanto però lo faccio. Ho sempre cercato di non diventare famoso per poter poi un giorno ricomprare le mie opere a poco prezzo. Comunque le opere d’arte per esistere e per avere un buon rapporto con il mondo non avrebbero neanche bisogno di esser viste, e non essendo partecipi della dimensione temporale sono tutte contemporanee.
FF: Da un artista che appare rarissimamente in pubblico e che non concede interviste, il lettore si aspetta qualche ragguaglio… biografico. Qual è stata la sua formazione di artista?
GdD: Si sbaglia, sin da piccolo appaio tutti i giorni in pubblico e, come vede, rilascio interviste. Ho sempre dipinto e disegnato e anche realizzato opere tridimensionali. A 17 anni, in una mostra personale, ho esposto un centinaio di opere che in quell’occasione furono tutte vendute.
FF: Quali sono i suoi progetti futuri? A cosa sta lavorando attualmente?  
GdD: Un extraterrestre disse ad un Sumero: “Non è mai esistita e mai potrà esistere un’astronave senza un quadro”. Farò alcuni viaggi con Clementina.

Estratti dell’intervista tra
Franco Fanelli e Gino de Dominicis. Si prega di non disturbare gli artisti, in “Il Giornale dell’arte”, n. 136, settembre 1995, p. 7 dal Catalogo Ragionato Gino De Dominicis, 2012, Skira
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