Sono quattordici gli artisti riuniti nella collettiva Sharing Our Dreaming Room presso la galleria z2o Sara Zanin, in corso a Roma sino al 4 novembre. Le opere di Ahmed, Antufiev, Bettineschi, Calzolari, Camporesi, de Cataldo, Guido, Kaikkonen, Kintera, Kronenberg, Nagasawa, Panikanova, Pediconi, Poli Maramotti si susseguono all’interno dello spazio espositivo mettendo in scena un dialogo multidirezionale che innesca un raccordo a più voci, frutto di un rapporto di lunga durata tra la galleria e i suoi artisti.
È aspetto ormai noto e più volte ribadito quello intrinsecamente legato alla necessità sempre più evidente di dar voce a progetti che in qualche modo esplicitino l’urgenza dei tempi odierni; Sharing Our Dreaming Room è nata, nelle parole della direttrice Sara Zanin, dalla contiguità del dialogo con gli artisti durante i mesi di lockdown così come dall’esigenza di dar voce a una multiformità di linguaggi che si compenetrano armoniosamente, pur mantenendo, in maniera puntuale, tutta la loro specificità. Estetiche e ricerche apparentemente inconciliabili dimostrano, invece, il tentativo di scandagliare le molteplici declinazioni del fare arte oggi.
Dalla pittura all’installazione site-specific, passando per la scultura e la fotografia, le opere degli artisti in mostra testimoniano una linea di ricerca che percorre, sperimentalmente, i territori della memoria e della storia, tracciando le infinite tangenze che è possibile innescare in un percorso punteggiato di aspetti cangianti, a dimostrazione di quanto l’arte, in special modo quella contemporanea, sappia parlare di attualità attraverso un lessico specifico, spesse volte familiare, e sempre rinnovato. Alcuni dei lavori in mostra sono stati realizzati dagli artisti durante i mesi di chiusura forzata, altri entrano a pieno nell’indagine estetica e concettuale che essi conducono da sempre; in entrambi i casi, lo scambio e la continuità che emergono sono funzionali a rievocare un dialogo mai sopito tra l’opera, l’artista e chi si accinge a scrutarla.
È forse il tempo, nella sua accezione più variegata di dimensione non esclusivamente sottoposta all’ordine cronologico dei fatti e delle cose, a costituire una costante che subisce infinite declinazioni attraverso una selezione molto ampia di lavori; dalla riscoperta dei Piumari degli anni Ottanta realizzati da Mariella Bettineschi alla quotidianità delle “piccole cose” nelle fotografie di Silvia Camporesi, sino ad arrivare al tempo subliminale dei dipinti della giovane Nazzarena Poli Maramotti, tutto è pensato per essere parte di un disegno equilibrato che fa della condivisione dello spazio, sia fisico che mentale, il tramite principale della continuità tra artisti e opere.
C’è chi, come Beatrice Pediconi nella serie Anamnesis, imprime del gesto-segno i contenuti mnestici di cui l’opera diventa portavoce, e chi, come Giovanni de Cataldo, ribalta ironicamente la nostra percezione del contesto attuando delle strategie di depotenziamento dell’oggetto familiare; e ancora, c’è chi come Giovanni Kronenberg dilata lo spazio con una costellazione formale che impreziosisce il tempo e lo espande attraverso una forza centrifuga che ammalia con le tracce dell’inconsueto, di ciò che è misterioso, di qualcosa che è qui e ora senza che nessuno se lo aspetti.
Non è un caso che il testo che accompagna la collettiva si richiami a un evento tanto drammatico quanto incisivo nella storia e nella storia dell’arte; il bombardamento di Kassel e la prima edizione di Documenta, la rassegna d’arte contemporanea fortemente voluta da Arnold Bode nel 1955, costituiscono la sottotraccia, narrativa e storica, per comprendere ancora di più l’operazione condotta. Rinnovamento e rinascita, nel segno della condivisione, sono gli aspetti che in maniera preminente conducono a un progressivo discernimento, e con esso a una conoscenza più approfondita di ciò che ci circonda, delle rivoluzioni, spesso sotterranee, che subiscono la cultura e la società – anche grazie, ai linguaggi mutevoli e non normativi dell’arte.