Intervista con Sara Enrico | The Jumpsuit Theme al Mart di Rovereto

"A Rovereto le sculture evocano corpi appisolati, o colti in un momento di svago. Le posture sono quelle di una gestualità minima, quasi involontaria, quella che ci fa sentire di avere un corpo, al di là della sua abituale operatività."
31 Luglio 2019
Sara Enrico, The Jumpsuit Theme – Veduta mostra Mart, Trento e Rovereto, ph. credits Mart, Alessandro Nassiri, courtesy Mart e l’artista

Ha approfondito lo studio delle loro vite, ne ha messo a fuoco la rivoluzionaria portata e ha ‘tradotto’ un’esperienza vestimentaria in forme scultoree. Sara Enrico espone al Mart di Rovereto The Jumpsuit Theme, un progetto che in origine è composto da due parti, Intermezzo e Camerino, allestite rispettivamente al Mart – a cura di Denis Isaia – e alla Národní galerie Praze (Galleria Nazionale di Praga).

Vincitrice della IV edizione di Italian Council, promosso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, l’artista ha compiuto un’approfondita ricerca nell’Archivio del ’900 del Mart scoprendo e rivisitando due importanti interpreti della sartoria modernista: l’artista Ernesto Thayaht (1893-1959), inventore nel 1919 del capo rivoluzionario TuTa, del quale il Mart conserva sculture e fondi d’archivio, e la stilista francese Madeleine Vionnet (1876-1975), fondatrice di una delle prime e più prestigiose maison dell’alta moda e precorritrice di quella trasformazione dei costumi che concorrerà all’emancipazione femminile.

Rifacendosi all’approccio sartoriale di Thayaht e Vionnet nel concepire un abito, ovvero riprendendo l’idea di lavorare un tessuto in maniera armonica con il corpo che lo abita, e seguendone la vocazione all’interdisciplinarità, Sara Enrico ha riflettuto su come trasporre quella modalità nella sua pratica artistica. (da CS)

Segue l’intervista con l’artista

Elena Bordignon: Mi racconti come nasce questo tuo interesse per il capo vestiario? Nello specifico per  la tuta?

Sara Enrico: Prima dell’interesse per l’abito c’è stato quello per il tessuto nel momento in cui, lavorando con la tela da pittura, volevo sperimentare la portata tridimensionale e scultorea che si poteva generare dalla sua piattezza e flessibilità, attivandola e vedendo nella piega un gesto intuitivo per definire una forma e di conseguenza uno spazio. In fin dei conti, la tela è una stoffa, e come tale rientra in una vicenda enorme, perciò ho rivolto lo sguardo ad alcune, specifiche, storie e riflessioni sulla sartoria, sul rapporto tra abito e corpo, tra abito e spazio (ed architettura) e le naturali implicazioni sociali a partire da queste. Ma intanto ho riguardato molto Marcel Duchamp, il suo modo di vedere il rivestimento e il cartamodello. Ribaltamenti del punto di vista, i suoi, che suggeriscono la possibile reciprocità e reversibilità dei ragionamenti e la labilità dei confini – tra le discipline ad esempio -. E poi l’immagine, così misteriosa, degli stampi malici, è una pittura incredibile. Del resto sono curiosi i cartamodelli, ho iniziato ad osservarli e alla fine sono nati dei lavori. Un cartamodello è stata la prima immagine della TuTa a T di Ernesto Michahelles, detto Thayhat e da quello sono arrivata a consultare del materiale sulla mostra che il Mart aveva dedicato all’artista nel 2005, e avevo pensato (era il 2012) che prima o poi avrei fatto qualcosa partendo dalla tuta.

La traduzione di questi pensieri si è formalizzata nel tempo con le sculture in cemento e tela, i Cactus, presentati nel 2014 alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Nella loro superficie e postura, si era rivelata una possibile dimensione antropomorfa, di una particolare qualità, quindi sono arrivati i primi lavori dal titolo The Jumpsuit Theme che dal 2017 sono a Torino, tra le installazioni permanenti del PAV Parco Arte Vivente.
Parte dell’archivio di Thayaht è conservato al Mart, così lo scorso anno ho pensato di approfondire la questione e di sviluppare la ricerca in collaborazione con l’istituzione, lavorando al progetto con la curatela di Denis Isaia, e con la consulenza dell’archivista Federico Zanoner, che mi ha aiutata a districarmi tra i materiali.

Sara Enrico, The Jumpsuit Theme – Veduta mostra Mart, Trento e Rovereto, ph. credits Mart, Alessandro Nassiri, courtesy Mart e l’artista
Sara Enrico, The Jumpsuit Theme, 2019, ph. credits Mart, Alessandro Nassiri, courtesy Mart e l’artista
Sara Enrico, The Jumpsuit Theme – Veduta mostra Mart, Trento e Rovereto, ph. credits Mart, Alessandro Nassiri, courtesy Mart e l’artista

EB: Per The Jumpsuit Theme, hai compiuto delle ricerche su due figure della sartoria modernista: l’artista Ernesto Thayaht (1893-1959) e la stilista Madeleine Vionnet (1876-1975).
Cosa ti hanno ispirato e quali sono i nessi che hai stabilito tra queste due figure?

SE: Madeleine Vionnet è strepitosa, mi è piaciuto leggere di lei, del suo inizio come sarta in un paesino della Francia, e poi gli aneddoti della sua vita privata, le difficoltà che aveva incontrato per poter proporre nuove linee rispetto ai codici della moda vigenti.
Si dedicò al deshabillés, l’indumento intimo, ma anche quello che si porta in casa: questo era il campo che le fu accordato per poter sperimentare i suoi modelli, poiché corrispondeva a logiche più libere rispetto a quelle dell’abito formale. La stilista trattava il tessuto come materia scultorea, senza tagliarlo secondo le forme del corpo, nei suoi abiti il corsetto era abolito e preferiva forme che non avessero immediatamente un segno di genere. Amava la tradizione dell’abito mediterraneo ed orientale, che la influenzarono nell’idea di utilizzare il drappeggio e la piega per modulare il tessuto sul corpo, allontanandosi dal taglio geometrico e costruito tipico della sartoria occidentale. (1)
Thayaht ha avuto una storia diversa, ma si sono incontrati e la loro visione in qualche modo ha chiuso un cerchio. Entrano in contatto perché lui realizza il logo per la casa di moda della stilista francese e successivamente e per un po’ di anni diventa suo collaboratore fisso. La TuTa a T, per la sua forma aprendo le braccia, nasce come indumento universale, di semplice fattura e impiego di materiale.
Vionnet era interessata dunque alla semplicità sartoriale e la forma della tuta di Thayaht era intuitiva nella sua costruzione, tanto da potersela fare da sé (il cartamodello era stato diffuso nel 1920 come inserto del giornale fiorentino ‘La Nazione’).
Da questi spunti ho isolato alcune questioni teoriche e formali: da una visione sartoriale volevo arrivare ad una restituzione scultorea e spaziale.

EB: The Jumpsuit Theme è stato pensato per due spazi: il Mart di Rovereto e Galleria Nazionale di Praga. Accomunate dallo stesso titolo, volevo capire quali differenze e scarti formali e contenutistici intercorrono tra i due progetti.

SE: La presentazione così pensata ha a che fare con un ragionamento più ampio riferito al mio lavoro, che spesso osserva nei processi quegli stadi intermedi e di trasformazione, e per amplificazione sono arrivata all’idea di sospensione e di pausa all’interno di una scena. Un momento di passaggio, non definito, nel quale la vitalità è ancora ‘calda’ e non ha esaurito tutte le possibilità. 
Intermezzo è il sottotitolo che ho scelto per raccontare la parte al Mart: esso definisce un intervallo, uno spazio di tempo posto tra un atto e l’altro d’uno spettacolo, e più in generale  all’interno di un’azione. Camerino rappresenta invece il luogo e il momento della trasformazione in corso, durante la quale l’attore non è ancora personaggio o, viceversa, non è ancora tornato ad essere se stesso.  Le sculture, i personaggi di questa storia, sono l’anello di congiunzione. Il Theme del titolo si riferisce infatti alla variazione su un tema ricorrente,  su un principio costruttivo, sulla modularità da declinare. A Rovereto le sculture evocano corpi appisolati, o colti in un momento di svago. Le posture sono quelle di una gestualità minima, quasi involontaria, quella che ci fa sentire di avere un corpo, al di là della sua abituale operatività. Volevo lavorare su un tempo sospeso, e le sfere- che accompagnano le sculture- si sono rivelate un metronomo, mi hanno aiutata a dare un ritmo ed una musicalità.
A Praga, al Trade Fair Palace, una delle sedi della Galleria Nazionale, occuperò lo spazio che originalmente era la lounge del Presidente.  Il tessuto in questo caso è usato direttamente come elemento formale, tagliato e cucito, e sarà in relazione con altre sculture in cemento, come se le une stessero trasformandosi nell’altro o viceversa.

Sara Enrico, The Jumpsuit Theme, 2019, ph. credits Mart, Alessandro Nassiri, courtesy Mart e l’artista (dettaglio)
Sara Enrico, The Jumpsuit Theme – Veduta mostra Mart, Trento e Rovereto, ph. credits Mart, Alessandro Nassiri, courtesy Mart e l’artista

EB: Le sculture riprendono le forme del corpo, le sinuosità e particolarità. Hai utilizzato il cemento per realizzarle. Perché questa scelta?

SE: Il cemento può calcare a meraviglia ma non lo puoi controllare fino in fondo. L’ho mescolato con pigmenti, per continuare a lavorare anche con la dimensione pittorica.
Le sculture nascono da semplici forme arrotolate per ottenere dei volumi di partenza, immaginando e selezionando poi le pose, gli snodi. Cercavo dei modi per evocare delle posture antropomorfe senza necessariamente arrivare a forme descrittive. Ho realizzato i cartamodelli delle sagome che ho poi fatto confezionare in tessuto. Il contenitore morbido ha accolto il fluire del cemento, dando una naturale sensazione di pelle e corposità, grezza e al contempo sensuale.  

EB: Mi racconti come hai realizzato le cinque stampe di grande formato? Che dialogo si stabilisce con le sculture installate sul pavimento?

SE: Quelle stampe sono il risultato di un’azione reiterata con un elemento ligneo il quale, mosso durante il processo di acquisizione con lo scanner, ha lasciato una traccia digitale dei suoi movimenti. Questi hanno in fotografia una consistenza verticale, come degli elementi che introducono ad uno spazio indefinito, buio, quasi un lato nascosto dello spazio reale. Il vetro dello scanner è un’altra di quelle soglie di contatto per le quali valgono almeno due punti di vista e il principio di reversibilità.

Ho voluto creare un panorama coi lavori, una coralità tra elementi che troviamo in certa pittura. In quella rinascimentale, lo spazio e la prospettiva erano resi dal ritmo di elementi architettonici o naturali messi in sequenza, tanto da apparire come scenografie. Nel dipinto di Paolo Uccello, Caccia notturna, una cornice boschiva quasi nell’ombra è un fondale statico, innaturale e perciò misterioso, inquadra e sottolinea la gestualità e il movimento dei personaggi e degli animali illuminati in primo piano. Allo stesso modo le stampe definiscono una scansione spaziale in armonia con le sculture posate a terra, appisolate e un po’ goffe, e intanto lo spettatore muovendosi può trovare nuove configurazioni di spazi immaginari, nell’impossibilità di ‘chiudere’ l’orizzonte, che è artificiale, ovvero mentale.

Per traslato possiamo riferirci ad un orizzonte etico e poetico, nella misura in cui intendiamo lo spazio contemplativo, non soltanto come momento di riposo o stanchezza necessario in un regime di iperattività richiesto dalla società, bensì come modello quasi pedagogico alla riappropriazione attiva di una facoltà contemplativa.

(1) Riferimenti a M. Vionnet contenuti in Enrica Morini, Storia della Moda XVIII-XXI secolo, Skira 2006.

SARA ENRICO
THE JUMPSUIT THEME

A cura di Denis Isaia
In collaborazione con Národní galerie v Praze
Mart Rovereto, 7 luglio — 10 novembre 2019

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