ATP DIARY

Interview with Ryan McGinley — The Four Seasons

[nemus_slider id=”52859″] English version below Mancano pochi giorni all’inaugurazioni di una delle mostre più attese delle ultime settimane, quella del fotografo statunitense Ryan McGinley, “The Four Seasons”. Nato nel New Jersey nel 1977, McGinley è il protagonista della prima mostra personale in un museo italiano. Ospita una sua ampia selezione di quaranta fotografie, suddivise – come […]

[nemus_slider id=”52859″]

English version below

Mancano pochi giorni all’inaugurazioni di una delle mostre più attese delle ultime settimane, quella del fotografo statunitense Ryan McGinley, “The Four Seasons”. Nato nel New Jersey nel 1977, McGinley è il protagonista della prima mostra personale in un museo italiano. Ospita una sua ampia selezione di quaranta fotografie, suddivise – come suggerisce il titolo – in quattro sezioni che si ispirano alle mutazioni cromatiche e atmosferiche delle quattro stagioni, la Gamec di Bergamo, dal 19 febbraio al 15 maggio 2016. Curatore del progetto Stefano Raimondi che spiega “come la struttura espositiva procede con il ritmo musicale delle Quattro Stagioni di Vivaldi: in ciascuna sala si succedono orizzonti, colori, musicalità e atmosfere completamente diversi ma legati gli uni agli altri”.

Riconosciuto come uno delle voci più originali della fotografia americana degli ultimi anni,   Ryan McGinley ha fatto della sua ricerca fotografica un tutt’uno con le sue esperienze esistenziali, immortalando nel tempo eccessi, bellezza, intimità, sesso e l’esprit du temps delle nuove generazioni del XXI secolo. Musicale, romantica a volte decisamente patinata (ricordiamoci che McGinley ha lavorato per alcuni tra i più importanti marchi della moda tra cui Christian Dior, Calvin Klein, Balenciaga, Missoni, Adidas e Nike), la sua sensibilità all’immagine – e all’immaginazione contemporanea – ha la capacità di raccontare storie e vicende legate alla giovinezza e alla libertà che questa comporta e detiene. A volte estremo come Larry Clark, intenso come Wolfgang Tillmans, ironico come Juergen Teller, divertente (senza essere volgare) come Terry Richardson… McGinley porta a Bergamo quattro sfumature e tonalità dell’animo umano, dal giaccio bianco-blu dell’inverno, al verde tenue della primavera, dai toni accessi (e tempestosi) dell’estate ai rossi-gialli dell’autunno nei boschi a nord di NewYork.

Ryan McGinley è  presente con le sue opere in alcune tra le più importante collezioni al mondo: Solomon R. Guggenheim Museum di New York, il San Francisco Museum of Modern Art, lo Smithsonian National Portrait Gallery di Washington, il Whitney Museum of American Art di New York, l’Ellipse Foundation in Portogallo, il Museo de Arte Contemporáneo de Castilla y León in Spagna, la Queensland Art Gallery in Australia.

Ryan McGinley_The Four Seasons_CS

In occasione della sua mostra Four Seasons gli abbiamo posto alcune domande.

ATP: Ne è passato di tempo dalla tua importante (e fortunata) pubblicazione The Kids Are Alright (1999). Oltre quindici anni in cui i ‘kids’ sono sicuramente cresciuti. Cosa è cambiato da allora nel tuo modo di fotografare le persone, siano esse tuoi amici stretti o persone sconosciute?

Ryan McGinley: Beh, purtroppo molti dei “kids” sono morti. Da allora ho aperto il mio studio, che è composto da un team di sei impiegati e molti tirocinanti. Ho iniziato la mia serie sui viaggi su strada, che ha significato lavorare fuori New York ed essere sulla strada per tre mesi ogni anno. Ho iniziato a scegliere persone per le mie fotografie, invece di ritrarre soltanto i miei amici. Ho viaggiato intorno al mondo seguendo il tour di Morrissey e nel frattempo ho fotografato i fans ai festival musicali per la mia serie sui concerti. Ho incominciato vari progetti per cui ho scattato in grotte, ritratto animali, composto classici ritratti in bianco e nero in studio. Comunque il mio approccio fotografico rimane lo stesso; sono sempre interessato a catturare il movimento e l’energia e ritrarre i giovani artisti.

ATP: Sei stato definito da molti come il portavoce di una generazione. E’ senza dubbio una grande responsabilità. Se dovessi indicare a chi ti sei ispirato per il tuo percorso professionale, chi sceglieresti? Immagino non solo fotografi, ma anche registi, scrittori, musicisti ecc.

RMG: Sono stato fortunato a incontrare così tante persone interessanti e stimolanti durante la mia carriera. Ho imparato molto lavorando con Kathy Ryan (New York Times Magazine) e Shane Smith (Vice). George Pitts, il mio professore preferito alla Parsons, è stato l’insegnate del corso che più mi ha influenzato durante il periodo del college, dal titolo “Nudo, bellezza e sessualità in fotografia”. Viaggiare con il tour di Morrissey e osservare il meccanismo del tour è stato davvero importante quando ho iniziato a tentare di pianificare i miei primi viaggi su strada. Guardare Mike Mills realizzare il suo film, “Thumbsucker”, mi ha dato un’idea migliore su come lavorare su produzioni di più larga scala e con una troupe. Il mio gallerista, Jose Friere della Team Gallery, mi aiuta e guida ogni giorno nel fare un lavoro migliore e pensare a mostre migliori.

ATP: Giovinezza, edonismo, eccessi, bellezza: queste sembrano essere coordinate sostanziali delle tue prime fotografie. Nell’ultima serie esposta nella mostra a Bergamo “The Four Seasons”, è molto presente la “natura”. Come hai scelto i luoghi per i tuoi scatti?

RMG: Cercare le location e una ricerca intensiva riguardo diversi paesaggi in tutto il paese è una parte estremamente importante del mio lavoro. Negli ultimi dieci anni ho viaggiato attraverso gli Stati Uniti per alcuni mesi ogni estate. Avendo lavorato in tutte queste diverse aree per avere accesso a vari paesaggi, ho un’idea abbastanza precisa di dove devo andare per realizzare le fotografie che immagino. Sogno i cipressi del Sud, i colori del Rio Grande in Texas, le sfumature delle dune di sabbia, la vegetazione muscosa del Nordovest sul Pacifico, e la palette di colori psichedelici delle profondità delle grotte. Li usiamo tutti come il nostro campo giochi.

ATP: Hai dichiarato lo spirito estremamente ‘romantico’ della tua produzione fotografica. Mi racconti un po’ meglio cosa intendi?

RMG: Tutte le mie fotografie hanno bisogno di un senso di romanticismo e poesia. Per cominciare, c’è qualcosa di sostanzialmente romantico nel corpo nudo. Sono anche molto influenzato dalla pittura romantica, in particolare dalle opere di Caspar David Freidrich e i suoi paesaggi. La poesia di Walt Whitman è un’altrettanto importante forza creativa che sta dietro al mio lavoro. In più, c’è sempre musica sul set, e balliamo, quindi il sottofondo costante fornisce il suo proprio umore e lirismo alla creazione.

ATP: Perché avete deciso di suddividere la mostra nelle quattro stagioni? Oltre a una suddivisione ‘cromatica’ ci sono anche altre significati?

RMG: Le fotografie sono divise in modo da distinguere tra le palette delle stagioni, e l’umore e l’atteggiamento dei modelli inclusi nelle immagini. E’ anche interessante pensare al paesaggio come un personaggio, che costantemente muore, congela e rinasce. La divisione è pensata per aiutare il pubblico a immedesimarsi nello sguardo del fotografo che affronta le stagioni, e per enfatizzare l’esperienza come artista.

ATP: Siamo dei sostenitori curiosi del tuo account Instagram (ci rallegrano molto le canzoncine di tua madre e ci fanno tenerezza alcuni scatti del tuo cane). I nuovi social media ti hanno influenzato? Che rapporto hai con loro?

RMG: Vado su Instagram ogni giorno. Penso sia uno strumento eccellente per aiutare le persone a esercitare la propria creatività. Fa anche riflettere milioni di persone su cosa significa essere un fotografo, e a sviluppare uno stile fotografico. Alcuni dei miei account Instagram preferiti sono di cani e altri animali domestici (I love @jiffpom). Salvo molte immagini diverse che mi ispirano – esterni, foto d’avventura, cose di questo genere. Come fotografo, credo sia interessante essere capaci di scorgere un lato nuovo in una persona. E invecchiando mia madre ha iniziato a cantare sempre e ovunque, e noi ci divertiamo moltissimo a registrarla, e lei è contentissima di condividere questa sua passione con gli altri. Uso anche Snapchat, adoro le loro strane funzionalità di mappatura facciale. Sono sempre pronto a partecipare e a tenermi aggiornato sui social media e le tecnologie e il modo in cui influenzano e fanno evolvere la fotografia. Sono sempre pronto per qualcosa di nuovo!

ATP: Ultima domanda. C’è un fotografo italiano che conosci e che hai seguito? Cosa ti interessa del suo lavoro?

RMG: Adoro il lavoro di Maurizio Cattelan e Pierpaolo Ferrari con Toilet Paper Magazine. Il loro stile fotografico è davvero diverso e facilmente riconoscibile. Mi piace molto anche l’edicola del curatore Lele Saveri al MoMA. Ha trovato delle 8-Ball fanzine, e ha ricreato il suo chiosco dei giornali sottoterra dentro al MoMA, conosciuto come The Newsstand, che originariamente era ospitato in una vetrina abbandonata all’incrocio tra le stazioni metropolitane di Lorimer e Metropolitan a Brooklyn.

(Ha collaborato Martina Odorici)

Ryan McGinley,   Peepers,   2015 C-print 152 x 229 cm Courtesy l’artista e Team Gallery
Ryan McGinley, Peepers, 2015 C-print 152 x 229 cm Courtesy l’artista e Team Gallery

 Interview with Ryan McGinley

From 19 February to 15 May 2016, GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo presents an extensive show of works by Ryan McGinley, the first solo exhibition by the famous American artist at an Italian institution and the first one that GAMeC has devoted to a young photographer on the international scene.  McGinley is considered one of the most important contemporary artists, so influential that the Whitney Museum and MoMA P.S.1 in New York devoted a solo exhibition to him in 2003 and 2004, respectively. In 2007 he received the Young Photographer Infinity Award from the prestigious International Center of Photography in New York.

Ryan McGinley_The Four Seasons_PR

ATP: It’s been a long time since you published your important (and lucky) printing of The Kids Are Alright (1999). More than fifteen years during which the “kids” surely grew up. What did change since then in your way of taking pictures of people, friends or strangers?

RMG: Well, sadly, a lot of “the kids” are dead. Since then I began my studio, which includes my team of six employees and several interns. I started my road trip series, which involved shooting outside of New York City and being on the road for three months every year. I started casting people for my photographs, rather than exclusively shooting my friends. I travelled the world with Morrissey’s tour while photographing fans at music festivals for my concert series. I began various projects where I shot in caves, shot with animals, shot classic black and white portraits in the studio. However, my photographic approach remains the same; I’m just as interested in capturing movement and energy and photographing young artists.

ATP: You’ve been defined as a spokesperson of a generation by a lot of people. This is surely a huge responsibility. If you had to point at someone you got inspiration from for your professional path, who would you indicate? I guess that these people won’t be photographers only, but also directors, writers, musicians and so on.

RMG: I’ve been fortunate to meet so many interesting and inspiring people throughout my career. I’ve learned a lot through working with Kathy Ryan (New York Times Magazine) and Shane Smith (Vice). George Pitts, my favorite professor at Parsons, taught the most influential class I took in college, called “Nudity, Beauty and Sexuality in Photography.” Traveling with Morrissey’s tour and watching his touring operation was hugely inspiring when trying to plan my first road trips. Watching Mike Mills make his film, “Thumbsucker”, gave me a better idea of how to work with a larger scale production and crew. My gallerist, Jose Friere of Team Gallery, helps guide me every day in making better work and creating better exhibitions.

ATP: Youth, hedonism, excess, beauty: these seem to be substantial coordinates of your first pictures. In the last series, shown in the exhibition in Bergamo “The Four Seasons”, nature is massively present. How did you choose the places for your shots?

RMG: Location scouting and extensive research into different landscapes all over the country is an extremely important part of my work. In the last ten years, I’ve travelled across the United States for a few months every summer. Having shot in all these areas in order to access various landscapes, I have a pretty good idea of where I need to go in order to make the photographs I envision. I dream about the cyprus trees of the South, the tans of the Rio Grande in Texas, the different shades of the sand dunes, the mossy greenery of the Pacific Northwest, and the psychedelic color palette of deep inside caves. We use them all as our playground.

ATP: You declared your production has an extremely “romantic” soul. Would you like to tell me more on your idea of that?

RMG: All of my photographs need to have a sense of romanticism and poetry to them. To begin with, there’s something inherently romantic about the nude body. I’m also very influenced by the romantic period of painting, particularly the works of Caspar David Friedrich and his landscapes. Walt Whitman’s poetry is also a significant creative force behind my own work. Additionally, we always have music playing and dancing on set, so the constant soundtrack supplies its own mood and lyricism.

ATP: Why did you decide to divide the exhibition into the four seasons’ sections? Are there other meanings, beyond the chromatic one?

RMG: The photographs are divided in order to distinguish between the color palette of the seasons, as well as the mood and demeanor of the models within the images. It’s also interesting to think about the landscape as a subject, one that’s constantly dying, freezing, and being re-born. The division is for the viewer to really think about viewing the different seasons as the photographer, and emphasizing the experience as an artist.

ATP: We are curios supporters of your Instagram account (we really like your mother’s cheerful songs and the tender shots of your dog). New social media influenced you? Which kind of relationship do you have with it?

RMG: I look at Instagram every day. I think it’s a great tool for helping people exercise their creativity. It also makes millions of people consider what it means to be a photographer, and develop a photographic style. Some of my favorite Instagram accounts are of dogs and pets (I love @jiffpom). I screenshot a lot of different inspiring imagery — the outdoors, adventure photos, that sort of thing. As a photographer, I think it’s interesting to be able to see a different side of a person. And growing up, my mom was always singing everywhere all the time, so we have so much fun recording her, and she’s excited to share that with people. I also use Snapchat, I love their weird face mapping features. I’m always trying to participate and keep up with social media and technology and the ways in which they evolve and influence photography. I’m ready for more!

ATP: Last question: is there an Italian photographer you know and which you followed? What do you find interesting in his work?

I love Maurizio Cattelan and Pierpaolo Ferrari’s work with Toilet Paper Magazine. Their photographic style is so distinct and easily recognizable. I also enjoy curator Lele Saveri’s Newsstand at MoMA. He founded 8-Ball Zines, and recreated his underground magazine kiosk known as The Newsstand, originally housed in an abandoned storefront at the intersection of the Lorimer and Metropolitan subways stations in Brooklyn, inside of MoMA.

Ryan McGinley_ Wet Blaze,   2013 C-print 72 x 106 inches / 183 x 270 cm Courtesy the artist and Team Gallery
Ryan McGinley_ Wet Blaze, 2013 C-print 72 x 106 inches / 183 x 270 cm Courtesy the artist and Team Gallery
Ryan McGinley_ Wet Blaze,   2013 C-print 72 x 106 inches / 183 x 270 cm Courtesy the artist and Team Gallery
Ryan McGinley_ Wet Blaze, 2013 C-print 72 x 106 inches / 183 x 270 cm Courtesy the artist and Team Gallery