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Dreamer they never learn… | Chris Martin a New York

[nemus_slider id=”56194″] New York, testo di di Paola Gallio Oggi ho comprato il nuovo disco dei Radiohaed invece di digitare il nome della band nella barra di ricerca di Spotify, come di consueto. E’ interessante che quest’occasione coincida con un’altra altrettanto bizzarra: dopo anni scrivo di un artista. Erano entrambe cose che usavo fare con […]

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New York, testo di di Paola Gallio

Oggi ho comprato il nuovo disco dei Radiohaed invece di digitare il nome della band nella barra di ricerca di Spotify, come di consueto. E’ interessante che quest’occasione coincida con un’altra altrettanto bizzarra: dopo anni scrivo di un artista. Erano entrambe cose che usavo fare con disinvoltura, ma il tempo, le male abitudini, la tecnologia….eccezionalmente quelli di oggi credo siano buoni investimenti, quindi compro un disco e scrivo di arte. 

A New York è terminata da qualche giorno la settimana dedicata a Frieze e alla miriade di eventi satellite. La lista di cose da non perdere era interminabile. Non sono molto brava a scegliere e spesso nemmeno a gestire il tempo, che in questa città sembra essere il 50% più veloce che altrove, ma giovedì scorso, sfidando le temperature autunnali di questa prima settimana di maggio, ho viaggiato per un’ora sulla linea del treno 6 in direzione Harlem. Non ci vado spesso nonostante si stia trasformando esponenzialmente nel nuovo hot spot dell’arte in città, ma questa era un’occasione speciale: la mostra di quello che Jerry Saltz ha definito “the artist’s artist” nello studio/abitazione di Ugo Rondinone.

Poco più di un anno fa Rondinone ha acquistato e ristrutturato una chiesa abbandonata su 5th avenue trasformandola nel suo headquarter Newyorkese. In occasione dei cinque giorni di Frieze, in quello che abitualmente è lo spazio dove lavora, ha avuto un ospite d’eccezione: Chris Martin.

Quando mi sono trasferita a New York, insieme a tutti i cambiamenti cui mi sono adattata, ho dovuto imparare e abbracciare l’idea che gli artisti Americani non sono spaventati dalla pittura. Dopo un decennio, occupandomi prevalentemente di installazione minimal e iperformalista, ho dovuto imparare a “leggere”  un medium con cui raramente ho lavorato in Europa. Ogni galleria visitassi e ogni artista incontrassi esponeva o era un pittore ed io non ero sufficientemente preparata per poterlo gestire. Ho dovuto ricominciare da capo e imparare. Dopo qualche mese dal mio arrivo ho ripreso a fare studio visit con giovani artisti, e alla rituale domanda “…quali sono i riferimenti cui la tua pratica pittorica s’ispira?” il nome di Chris Martin si ripeteva continuamente. Io non avevo idea di chi fosse. Mi sono documentata, il suo lavoro rimaneva ostico ma attraente (forse perché alle ragazze i glitter piacciono sempre). Poi ho iniziato a vedere opere in giro per mostre, fiere e collezioni, ho letto gli articoli scritti su di lui e quelli scritti da lui ed ho iniziato a capire le ragioni di tale rispetto e ammirazione.

Chris Martin ha 61 anni. Dopo aver lasciato Yale al primo anno, si trasferisce a New York nel 1974, e ci resta. E’ rispettato e noto nella scena dell’arte Newyorkese da sempre, ma il riconoscimento commerciale e istituzionale è avvenuto pochissimi anni fa. Incredibilmente il Whitney Museum non possiede nessuno dei suoi dipinti. Ha lavorato tutta la vita, prima downtown e poi si è trasferito a Williamsburg prima che fosse l’epicentro della creatività locale. Ha dipinto migliaia di tele di grande formato nel retro di un vecchio negozio in Grand Avenue, e quando lo spazio non era abbastanza, le posava sul tetto del palazzo e lavorava all’aperto. E’ conosciuto da tutti e ha conosciuto tutti qui a New York. E’ un uomo molto generoso e gentile e quindi, dopo averlo incontrato una miriade di volte in giro per la città, l’ho approcciato con una scusa ed ho chiesto se potessi andare a trovarlo in studio. Poco più di un mese fa ero lì.

Chris di recente è molto impegnato. Dopo la mostra “Painting Big” in Washington DC alla Corcoran Gallery of Art nel 2011, e quella della Kunstalle di Dusseldorf nel 2012, ha finalmente due importanti gallerie che lo rappresentano: Anton Kern a NY e David Kordansky in L.A.

Chris Martin,   2016,   Studio Rondinone,   New York,   NY,   Installation view Courtesy of David Kordansky Gallery,   Los Angeles,   CA and Anton Kern Gallery,   New York,   NY Photography: Thomas Mu?ller
Chris Martin, 2016, Studio Rondinone, New York, NY, Installation view Courtesy of David Kordansky Gallery, Los Angeles, CA and Anton Kern Gallery, New York, NY Photography: Thomas Mu?ller

Il suo studio è un luogo mitologico. Nella parte che da’ sulla strada, è zeppo di libri d’arte e di tappeti per praticare yoga, sul retro c’è lo studio; un universo di strati di glitter e pittura secca accumulata da anni. In quel momento preparava i lavori per lo show di Harlem. Le tele erano cosi grandi che le ha dipinte appoggiate in orizzontale e per guardarle ci siamo sdraiati su di un lato sul pavimento. Ho potuto vedere solo tre dei pezzi. Per ragioni di spazio, quelli finiti erano sistemati alle pareti dietro alle tele a cui stava lavorando. Abbiamo parlato a lungo degli elementi di collage inseriti nella pittura e della spontanea associazione che questi avessero, senza attingere da nessuna wittgensteiniana intenzione. Ero con il padre della nuova generazione della pittura di Brooklyn e di fronte avevo il più giovane e libero artista che avessi mai incontrato. Parlammo a lungo di come il fallimento fosse stato una costante nella sua vita artistica e come, nonostante il rifiuto e la difficoltà, il senso appartenenza alla comunità artistica di NY avesse sopperito. Parlammo di come fosse strano per lui essere considerato un iniziatore della tendenza artistica di Brooklyn e di come questa cosa fosse però un incentivo. Mi fece mille domande sulla pittura in Europa e chi fossero i giovani pittori italiani da tener d’occhio. E’ stata un’esperienza incredibile e sono uscita da quello studio innamorata dell’arte di nuovo. Qualche giorno dopo di è arrivato un invito per la mostra allo Studio Rondinone.

Giovedì 5 maggio, con gli artisti Jared Deery, Alessandro Teoldi e Giorgio Guidi, abbiamo preso il treno 6 e abbiamo viaggiato un’ora in direzione 5th ave. e 126th St. Siamo entrati nell’atrio e la visuale della sala centrale era bloccata dal retro di un’enorme tela. Siamo entrati in questa grande stanza con la volta a padiglione e alle pareti c’erano quattro lavori verticali di grande formato e quattro più piccoli agli angoli. Centinaia di persone al centro. Tutti gli artisti di New York erano li, nello stesso momento, e il brusio di voci era amplificato dalla naturale acustica dell’architettura. Sono rimasta senza fiato per qualche secondo, come di fronte alla Rothko Chapel a Houston. Le tele dilatavano la struttura della stanza che conserva le finestre a bifora sui quattro angoli. Qui quattro tele di medio formato tracciavano un immaginario ottagono. A estremità opposte la costellazione dei Gemelli, The Twins, (342, 9 x 299, 7 cm) su fondo nero e un collage arcobaleno, Buzz (6 Rainbows 4 Ugo), (485, 1 x 307, 3 cm), agli altri due angoli un monocromo oro con inserti geometrici Gold Painting (342, 9 x 299, 7 cm) di fronte a una tela tecnica mista con collage e stoffe con pattern a foglie di marijuana nei colori della bandiera giamaicana, Swamp Music, (342, 9 x 299, 7 cm). Chris mi ha detto in studio che lavorava a quel pezzo da qualche tempo. Spesso ridipinge sulle tele per svariate volte. Il tessuto incollato su tutta la superficie del dipinto proviene da un paio di vecchi jeans di sua moglie, Tamara Gonzales, e disse “ho pensato di mettere un po’ di joints già pronti nel pezzo che con la tasca, così all’inaugurazione gli ospiti potranno fumare…” credevo scherzasse…

Alle pareti erano esposte quattro altre tele con atmosfere naturali in contrapposizione. Il paesaggio psichedelico all’ingresso Sunset (579, 1 x 342, 9 cm), e di fronte un collage su fondo arcobaleno, Landscape with Diamond Ring (619, 8 x 342, 9 cm). Ai lati opposti October (599, 4 x 342, 9 cm), un pezzo astratto e gestuale con colori forti e pennellate violente, di fronte Untitled (579, 1 x 342, 9 cm) a una pittura nera opaca con inserti in glitter blu e argento. La sua pittura ha un costante riferimento alla musica e sono noti i lavori in memoria di James Brown del 2005. In questa nuova generazione di dipinti il personaggio ricorrente è Amy Winehouse. Nonostante fossi a conoscenza dell’amore di Chris per il Jazz, consideravo singolare la scelta di ritrarre la Winehouse. Mi disse che per lui Amy rappresenta la decadenza della figura dell’artista contemporaneo e come, nonostante la sua pubblica agonia, non sia stato possibile salvarla dalla fine.

Le atmosfere pop e psichedeliche di Chris Martin rendono omaggio a musica, letteratura, cinema unite alla sensibilità figurativa dei modernisti, l’apporto gestuale dell’astrattismo americano, il minimalismo dell’arte concettuale degli anni 70, il lifestlyle degli anni 80 e il sensazionalismo degli anni 90. Nel suo lavoro coesiste Alfred Jensen, Julian Schnabel, Mary Heilmann, Forrest Bess, Mark Rothko, Milton Avery, Sol LeWitt, Barnett Newman, Jean-Michel Basquiat, interagisce con Katherine Bradford, Peter Acheson, Joe Bradley, Eddie Martinez, ispirando i più giovani, Matteo Calligari, JJ Manford, Yevgeniya Baras, Brian Belott.

L’album dei Radiohead ha un pezzo intitolato Daydreaming. Il primo verso dice: “Dreamer, they never learn…”. Per me -che sono un adolescente degli anni 90- suona così dolce e doloroso e Thom Yorke ha perfettamente ragione: i sognatori non imparano mai, sono fallimenti seriali e cadono sulle stesse debolezze e illusioni. Nel caso di Chris Martin, un dreamer certificato, sognare ha avuto il suo risultato, insegnando alla nuova generazione di artisti newyorkese che fallire è consentito e sognare è gratuito.

Chris Martin,   2016,   Studio Rondinone,   New York,   NY,   Installation view Courtesy of David Kordansky Gallery,   Los Angeles,   CA and Anton Kern Gallery,   New York,   NY Photography: Thomas Mu?ller
Chris Martin, 2016, Studio Rondinone, New York, NY, Installation view Courtesy of David Kordansky Gallery, Los Angeles, CA and Anton Kern Gallery, New York, NY Photography: Thomas Mu?ller
Chris Martin,   2016,   Studio Rondinone,   New York,   NY,   Installation view Courtesy of David Kordansky Gallery,   Los Angeles,   CA and Anton Kern Gallery,   New York,   NY Photography: Thomas Mu?ller
Chris Martin, 2016, Studio Rondinone, New York, NY, Installation view Courtesy of David Kordansky Gallery, Los Angeles, CA and Anton Kern Gallery, New York, NY Photography: Thomas Mu?ller