Una telecamera mi fissa e canticchia, “I really really want to catch your eyes”, tra luci stroboscopico e musica sincopata. Siamo nel bel mezzo del mondo di Meriem Bennani (Rabat, 1988), inscenato nel video Guided Tour of a Spill (CAPS Interlude) 2021. Iniziata alcuni anni fa, la serie di video CAPS evoca un mondo tecno-futurista in cui il teletrasporto incontra delle realtà militarizzate. Questo progetto è nato come reazione al divieto di viaggiare emesso dall’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump nel 2017. Subìto in prima persona, questa costruzione hanno istigato l’artista marocchina (di casa a New York) a concepire un mondo parallelo sotto forma di isola offshore chiamata appunto CAPS. L’isola immaginaria è tenuta in scacco dalle truppe americane che detengono teletrasporti illegali. il CAPS non è un normale centro di detenzione: a metà tra il parco dei divertimenti e un campo para-militare, questa isola collocata in un non precisato punto dell’Atlantico è animata dalla musica techno e da telecamere di sicurezza ammiccanti che si muovono al ritmo di melodie di Alicia Keys.
Una episodio della serie CAPS è esposto alla mostra Role Play ospitata dalla Fondazione Prada nella sede di Osservatorio a Milano, a cura di Melissa Harris. Guided Tour of a Spill (CAPS Interlude) ha come narratore Fiona, un coccodrillo parlante che ricorda vagamente il logo Lacoste. Nel video scorrono le immagini di soldati che si addestrano con mosse mirabolanti, per resistere alla polizia di frontiera. Mischiando le stranezze ipertestuali dell’estetica internet con riprese più documentaristiche, Bennani ci racconta con umorismo e ironia un mondo estremo dove temi come la prigionia, il controllo da parte dei governi, la circolazione o la fuga di notizie catastrofiche vengono centrifugate in un video che potrebbe diventare virale. Oppressione e manie festaiole si fondano come se stessimo esistendo ad un buffo cartone animato che istiga alla ribellione a ogni forma di reclusione, sia sociale che culturale.
Di storie come queste la mostra Role Play ne racconta molte, tante quanti sono gli artisti invitati dalla curatrice. Per l’esattezza sono 11 le narrazioni che grazie a video, fotografie e performance, si sviluppano negli spazi di Osservatorio, per l’occasione immersi in una irreale luce blu, che richiama – inevitabilmente – i riverberi degli schermi accesi a notte fonda. A rimarcare l’atmosfera immersiva, oltre alla luce e alle tante immagini in movimento proveniente dai video, degli strategici pannelli specchianti che ci coinvolgono non solo nelle varie storie, ma ci appiattiscono facendoci diventare, a nostra volta icone, dentro a delle schermi.
Ho preso l’opera esemplare di Meriem Bennani e il suo mondo parallelo per introdurre il tema di una mostra che per molti versi ribadisce un tema molto caro alla storia dell’arte, soprattutto quella del XX secolo: i processi di ricerca, proiezione e creazione di possibili identità alternative, in bilico tra sé autentici, idealizzati e universali. La mostra abbraccia un arco di tempo di circa 20 anni, con opere pionieristiche datate 2001 dell’artista giapponese Tomoko Sawada alle produzioni più attuali come quelle realizzate per la mostra da Beatrice Marchi.
L’aspetto più rilevante di questo progetto, al di là del tema che, ripeto, è quasi un classico nella storia dell’arte, è la capacità della curatrice – affiancata da Eva Fabbris – nell’individuare come il tema delle ‘identità alternative’ sia stato sviluppato ai tempi dei social media, nella loro uso e abuso, nell’onnipresente e onnisciente presenza delle realtà virtuali. Il fenomeno del multi-player online role è un fenomeno dalla vastissima portata tanto che anche il sistema dell’arte non poteva non restarne immune.
La mostra, di fatto, apre proprio con un video dell’artista cinese Cao Fei, Cosplayers del 2004 che riprende dei ragazzi che indossano nella vita reale il costume di un personaggio di un videogioco. Ecco allora che tra piazze di città reali, ma anche tra distese di erba e fiori, combattono questi fantomatici supereroi contemporanei che per poche ora vivono come posseduti da poteri magici che li allontanano – illusoriamente – dalle loro vite quotidiane.
Un altro mondo che oscilla tra reale e virtuale è quello di Juno Calypso, artista londinese presente con la serie di fotografie di un bunker scoperto in Nevada, fatto costruire durante la Guerra Fredda da un milionario. Lo stile dominante è decisamente camp, eccentrico e appariscente, dove dominano i toni che vanno dal rosa pallido a fucsia. Qui l’artista si immortala nei vari ambienti, diventando a sua volta parte dell’arredo, confondendosi tra eccessi e artifici.
Il tema della fuga dalla propria identità, la messa in discussione del proprio ruolo – sociale, ma anche sessuale -, l’esasperata mistificazione degli stereotipi imposti non solo dal vivere civile, ma soprattutto dalla presenza massiccia di piattaforme come Instagram, ha inevitabilmente cambiato il nostro modo di relazionarci con il mondo.
Una delle artisti che più di altri può essere definita antesignana del fenomeno delle ‘influencers” è senza dubbio l’argentina Amalia Ulman, presente in mostra con Excellences and Perfections (2014). Presentato come la documentazione di una performance online della durata di 5 mesi, composta da immagini, video, didascalie e commenti, questa opera è presentata dalla stessa artista come “un palcoscenico per esistere come personaggio, per interpretare un ruolo”. Estetizzando la propria vita, Ulman ha esasperato il concetto stesso di fare del proprio corpo non solo un oggetto, ma anche la sua stessa esistenza è diventata merce al pari di prodotti comprabili e vendibili.
Gioca sul cambio di identità e la sua falsificazione anche la serie fotografica OMIAI♡ (2001), di Tomoko Sawada (1977, Kobe, Giappone). L’arista si trasforma in trenta diversi personaggi con l’uso di costumi, parrucche, trucco e aumentando di peso. Il titolo fa riferimento all’usanza tradizionale giapponese dell’omiai, ovvero il primo incontro di coppie frutto di matrimoni combinati, durante il quale le famiglie si scambiano le foto dei loro figli.
Parte da figure immaginarie Beatrice Marchi: l’artista da vita a personaggi irreali come la cameriera con le chele, un cane umanizzato o donne con occhi sulle natiche. Per questa mostra Beatrice presenta Katie Fox, uno degli avatar dell’artista, un’adolescente smaniosa di successo dal carattere contraddittorio e schiacciata dalla voglia di emergere a tutti i costi. Presentata grazie ad una serie di performance, Katie si esibisce a Osservatorio con la sua band per festeggiare un perenne Natale, festa che tempera gli animi cattivi e annulla lo spirito contraddittorio dell’esistenza.
Chiude idealmente la mostra il bellissimo video di Mary Reid Kelley e Patrick Kelley The Rape of Europa (2021), sorta di risposta degli artisti al capolavoro rinascimentale di Tiziano Rape of Europa (1562).Gli artisti hanno creato un cortometraggio graficamente stilizzato, che combina pittura e performance con la caratteristica poesia satirica dei sue artisti. Nel film, Mary interpreta una serie di personaggi storici e mitici intrappolati tra scenari comici e tragici, stratificati in un collage. I loro dilemmi, espressi attraverso rime e giochi di parole, si riferiscono a questioni sociali di vecchia data intrecciati con echi del recente movimento #MeToo.
Quest’opera e il suo linguaggio sessualmente esplicito appartengono a una lunga tradizione di arte femminista che rivendica, con umorismo e temi misogini, l’oggettivazione delle donne. Dando voce al personaggio di Europa, Mary Reid Kelley e Patrick Kelley la umanizzano e la liberano dal ruolo sottomesso e silenzioso che era stata costretta a ricoprire nell’antico mito descritto da poeti e artisti maschi.
Role Play
A cura di Melissa Harris
Dal 19 febbraio al 27 giugno 2022 nella sede di Osservatorio a Milano – Fondazione Prada
Artisti: Meriem Bennani, Juno Calypso, Cao Fei, Mary Reid and Patrick Kelley, Beatrice Marchi, Darius Mikšys, Narcissister, Haruka Sakaguchi & Griselda San Martin, Tomoko Sawada, Bogosi Sekhukhuni e Amalia Ulman