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Il titolo è mutuato da “Eternal Sunshine Of The Spotless Mind”, film che valse l’oscar per la sceneggiatura a Pierre Bismuth, Charlie Kaufman e Michel Gondry e che è stato tradotto in italiano con “Se mi lasci ti cancello”. Fino al 1 luglio Roberto Fassone presenta alla Placentia Arte: Luce sempiterna della mente pura, una collezione di opere di Giuseppe Abate, Paola Angelini, Riccardo Banfi, Thomas Berra, Enrico Boccioletti, Benni Bosetto, Samuele Cherubini, Danilo Correale, Curandi Katz, Luca De Leva, Alessandro Fogo, Valentina Furian, Riccardo Giacconi, Elena Mazzi, Luca Pozzi, Giacomo Raffaelli, Namsal Siedlecki e Federico Tosi. La raccolta di lavori è la prima collezione dell’artista e “raccoglie le peggiori opere di una serie di artisti italiani acquisite negli ultimi due anni.” L’obbiettivo del progetto è quello di innescare una riflessione sulla valutazione e sulla critica di un’opera contemporanea.
Abbiamo posto alcune domande al team che gestisce la galleria —
ATP: La prima domanda, a quella che sembra una mostra fatta (esclusivamente) per provocare è: cosa intende l’artista per “brutto”?
Placentia Arte: Il progetto ruota proprio intorno alla difficoltà di dare una definizione e un significato univoco all’aggettivo “brutto” in relazione a un’opera d’arte contemporanea, tanto che si preferiscono espressioni come “un’opera non riuscita” o “un’opera che non funziona”. Per Roberto, un’opera “brutta” è prima di tutto un’opera definita come tale dall’artista stesso che l’ha creata, per molteplici ragioni (povertà formale e tecnica, mancanza di originalità, scarsa attinenza al contesto e alle intenzioni originali, banalità concettuale). E’ molto importante sottolineare che agli artisti coinvolti è stata chiesta la loro peggiore opera, mettendo in discussione non solo il valore che ognuno dà al concetto di “brutto” ma anche lo status di “opera d’arte” e ciò che la distingue da un tentativo mal riuscito e poi abbandonato. I pezzi che compongono la collezione di Roberto si presentano infatti come manufatti artistici completi, giunti al capitolo definitivo della loro formalizzazione.
ATP: Con quale criterio – a parte l’amicizia che lega l’artista con gli altri artisti in mostra – Fassone ha scelto le opere esposte? Dubito che abbia cacciato dei soldi per comprarle.
PA: Le opere non sono state scelte dall’artista. Roberto ha selezionato una serie di artisti, dei quali stima e rispetta il lavoro e ha chiesto loro di poter acquisire la loro peggiore opera. In alcuni casi ha effettuato uno scambio, in altri casi gli è stato chiesto di scrivere un testo, in altri ancora di offrire una cifra simbolica o una birra. Infine per alcune opere c’è stata una classica transazione monetaria.
ATP: L’intero progetto sembra una riflessione sulla drammatica, ma anche attraente, ambiguità del giudizio che le opere d’arte suscitano. Sono stati scritte biblioteche intere sull’ermeneutica legata all’arte. Perché l’artista ha scelto un tema così complesso (e irrisolvibile) come tema di una mostra?
PA: Probabilmente per lo stesso motivo per cui, come dici tu, sono state scritte biblioteche intere sul tema: ovvero l’attraente, drammatica, ambiguità del giudizio che le opere d’arte suscitano. Spesso la bellezza dell’arte contemporanea risiede proprio nel porre l’attenzione su temi complessi e irrisolvibili, come questo.
Inoltre, e qui sta la particolare ironia del progetto di Roberto, la mostra riflette sul momento in cui una serie di opere brutte, o ritenute tali dai loro autori, inizia a diventare interessante. Siamo nel territorio di Umberto Eco che, interrogandosi a proposito della forma stilistica di Casablanca, scrisse: un cliché ci fa sorridere, cento ci commuovono (Casablanca, or, the cliches are having a ball in Signs of life in the U.S.A.): a questo proposito sarà sicuramente interessante constatare quali saranno le reazioni del pubblico.
ATP: Perché l’artista ha deciso di vendere tutte le opere in mostra come se fossero un’unica grande opera?
PA: Il lavoro di Roberto da tempo si concentra sull’utilizzo dello spazio creativo offerto da dinamiche e sistemi dell’arte contemporanea. Ha tentato di trasformare in performance studio visit, interviste e portfoli. Allo stesso modo, in questo caso, il suo obiettivo è stato quello di trasformare una collezione in un lavoro unico, in grado di incorporare un’idea, ponendo così tutte le opere collezionate sotto una prospettiva differente.
ATP: Sempre al di là della provocazione, perché Fassone cita “Eternal Sunshine Of The Spotless Mind”, il film che valse l’oscar per la sceneggiatura a Pierre Bismuth, Charlie Kaufman e Michel Gondry? Il film parla di una struggente storia d’amore…
PA: La scelta è stata dettata prima di tutto dall’infelice (e quindi brutta, mal riuscita) traduzione del titolo dall’inglese all’italiano, che diventa simbolo dell’opera brutta. Indagando poi i contenuti del film, si può trovare un’assonanza con il tema della mostra: come i protagonisti cancellano dalle loro vite ricordi ritenuti brutti, così gli artisti cancellano dalla loro esistenza professionale, o mettono in un cassetto, un prodotto artistico mal riuscito, che non risponde alle intenzioni iniziali.